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Sentenza storica della Consulta: le mamme intenzionali potranno riconoscere i figli nati con Pma

Dopo anni di vuoti legislativi e battaglie civili, la Corte Costituzionale cambia rotta e afferma un principio chiaro: vietare il riconoscimento del figlio alla madre intenzionale è incostituzionale. Felici le mamme di Lucca: “È stato un calvario, ma ora siamo una famiglia riconosciuta”

Sentenza storica della Consulta

Sentenza storica della Consulta: le mamme intenzionali potranno riconoscere i figli nati con Pma

Non sarà più possibile negare alla madre intenzionale il diritto di essere riconosciuta come genitore del proprio figlio, nato in Italia tramite procreazione medicalmente assistita (Pma) praticata legalmente all’estero. Lo ha stabilito, con una sentenza destinata a segnare un prima e un dopo, la Corte Costituzionale, dichiarando incostituzionale il divieto di riconoscimento, con cui si violavano i diritti fondamentali del minore e si negava un’intera dimensione affettiva, giuridica e civile. Il pronunciamento è stato depositato il 22 maggio e risponde a un caso sollevato dal Tribunale di Lucca, il primo in Italia a mettere nero su bianco un’inaccettabile discrasia: due bambini nati in contesto familiare identico, ma riconosciuti solo a metà.

A fare da scintilla per questa rivoluzione giuridica sono state Glenda e Isabella, due madri, due mogli, due donne che hanno avuto due figli grazie alla Pma: uno nato prima, regolarmente riconosciuto da entrambe; l’altro venuto al mondo il 3 aprile 2023, poche settimane dopo la circolare del ministro dell’Interno Piantedosi, che di fatto bloccava il riconoscimento del secondo genitore nelle coppie omogenitoriali. La loro storia, oggi, non è più un’eccezione che grida giustizia, ma diventa precedente giuridico.

“La sentenza – si legge nel comunicato della Consulta – si fonda su due pilastri: l’impegno assunto dalla coppia nel decidere insieme di accedere alla Pma, impegno che non può essere abbandonato una volta concepito il figlio; e la necessità di garantire l’interesse superiore del minore, che ha diritto a una piena relazione con entrambi i genitori, non solo con la madre biologica”. Questo principio – dirompente e inequivocabile – spazza via anni di incertezze normative, circolari discriminatorie, pratiche anacronistiche che mettevano le famiglie arcobaleno in una zona grigia di diritto, dove bastava una firma mancata, un registro negato o una nota ministeriale per spezzare legami, identità, protezione.

Sentenza storica in Italia

Il cuore della questione è tutto nel vissuto concreto di Isabella, madre intenzionale del secondogenito: “Avevamo paura, tanta. Se mi fossi trovata sola col bimbo e lui si fosse fatto male, il personale sanitario non mi avrebbe riconosciuto come genitore. Sul piano successorio, nel caso in cui Glenda fosse venuta a mancare, io non avrei avuto alcun diritto. Anche iscriverlo a scuola o andarlo a prendere avrebbe potuto essere un problema. Non per ostilità, ma per assenza di riconoscimento legale. È stato un calvario, ma ne è valsa la pena. Ora siamo finalmente tutte e quattro riconosciute”.

Dietro questa battaglia, durata mesi, ci sono centinaia di famiglie in Italia: genitori che crescono bambini senza tutele formali, figli che vivono con due figure genitoriali ma che la legge, fino a ieri, considerava legati solo a una. Per la Consulta, questo lede il diritto all’identità personale del minore, lo espone a discriminazioni affettive, sociali e giuridiche e pregiudica l’effettività dei suoi diritti: essere mantenuto, istruito, curato e assistito moralmente da entrambi i genitori, mantenere un rapporto continuativo con tutti i familiari, inclusi nonni e parenti del ramo non biologico.

Il pronunciamento arriva in un momento politico delicatissimo, con continue pressioni per limitare il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali, e rappresenta un contrappeso fondamentale. Non è una sentenza ideologica, ma un richiamo fermo alla centralità del minore, che va oltre le convinzioni personali o le appartenenze partitiche. Non si tratta di “allargare i diritti” a nuovi soggetti, ma di non sottrarli ai più fragili, i bambini, a causa del modo in cui sono nati.

A conferma della storicità della decisione, la Corte Costituzionale ribadisce che la madre intenzionale non può sottrarsi alle responsabilità assunte nel momento in cui, insieme alla partner, sceglie di dare vita a un figlio tramite Pma: “La genitorialità non è più solo un fatto biologico, ma un atto di volontà e corresponsabilità, e come tale deve essere riconosciuto dalla legge”.

La notizia ha generato una valanga di reazioni. Le associazioni per i diritti civili parlano di svolta epocale, la Rete Lenford, che da anni difende le famiglie omogenitoriali nei tribunali, ha celebrato la decisione come “un riconoscimento della realtà”. Dall’altra parte, c’è chi già si prepara a nuove battaglie politiche, anche nel Parlamento europeo, dove il tema della registrazione anagrafica dei figli delle coppie omosessuali resta ancora divisivo. Ma la Consulta ha parlato chiaro, con parole che non lasciano spazio alle interpretazioni: non è più tempo di negazioni, ma di tutele.

Intanto, a Lucca, Glenda e Isabella si godono il giorno più bello da quando hanno deciso di essere madri insieme. “Non ci aspettavamo di essere le prime, ma siamo felici di esserlo state. Ora, il nostro bambino ha due madri. E non solo nel cuore, anche nella legge”.

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