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21 Maggio 2025 - 12:47
È accaduto dove meno ce lo si aspetta. Nel cuore pulsante della cultura italiana, tra libri, lettori e dibattiti su verità, giustizia e diritti. Proprio lì, al Salone Internazionale del Libro di Torin
È accaduto dove meno ce lo si aspetta. Nel cuore pulsante della cultura italiana, tra libri, lettori e dibattiti su verità, giustizia e diritti. Proprio lì, al Salone Internazionale del Libro di Torino, edizione numero 37, un gruppo di cinque persone, tutte di origine rumena, ha messo in scena una truffa tanto spudorata quanto calcolata, approfittando non solo della generosità dei presenti, ma dell’essenza stessa di ciò che il Salone rappresenta.
Il piano era tanto semplice quanto infame: presentarsi con biglietti regolari, fingere di essere sordi, mostrare cartelli e tesserini fasulli, e chiedere offerte ai partecipanti. Un teatro della pietà recitato con disinvoltura, sfruttando il cuore tenero di chi vive di parole e valori, di chi è disposto a tendere la mano al prossimo. Settecento euro raccolti in pochi giorni, secondo la polizia, che è intervenuta solo a manifestazione conclusa, denunciando i cinque e sequestrando il denaro.
Ciò che fa più rabbia, però, non è solo il raggiro in sé, ma il fatto che nessuno se ne sia accorto prima. Non un addetto alla sicurezza, non un volontario, non un responsabile dell’organizzazione. Possibile che in un evento da centomila presenze, con badge elettronici, controlli agli ingressi e steward a ogni corridoio, si possa ancora raggirare il pubblico come nei peggiori mercatini di periferia?
Truffa la Salone del Libro
Il Salone del Libro è un tempio civile, non un mercato delle illusioni. Eppure, lo è diventato per alcuni, almeno per qualche ora. Un episodio che offende le persone con disabilità reali, i volontari autentici, e chi ogni giorno combatte davvero contro l’indifferenza. Offende anche i visitatori che hanno dato quei soldi in buona fede. Non c'è colpa nell'aiutare, ma l’ingenuità di un pubblico che crede ancora nei gesti solidali non può diventare il bersaglio preferito di chi lucra sul finto disagio.
La reazione della città è stata netta, tra amarezza e indignazione. Ma ora servono fatti, non solo comunicati di circostanza. Servono regole chiare per impedire che simili episodi si ripetano, serve che le grandi fiere culturali non si affidino solo al “buon senso” o alla “spontaneità”, ma mettano in campo dispositivi reali di prevenzione e controllo.
Perché il Salone è cultura, sì. Ma cultura vuol dire anche educazione civica, etica pubblica, rispetto dei luoghi e delle persone. Non può essere solo una passerella di buone intenzioni.
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