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17 Maggio 2025 - 18:33
Arafat, leader dell'OLP
C’è stato un tempo in cui Enrico Berlinguer parlava di Israele come di una conquista socialista, mentre Pino Rauti, il leader dell’estrema destra neofascista, abbracciava la causa palestinese come simbolo della resistenza antimperialista.
Oggi, Giorgia Meloni difende più o meno "a spada tratta" il governo di Benjamin Netanyahu, e una parte della sinistra, quella più radicale ma sempre più isolata, scende in piazza con la kefiah al collo, accusata di antisemitismo da chi, fino a pochi decenni fa, sventolava bandiere con l’effigie di Yasser Arafat.
Quella tra Israele e Palestina è una delle storie che meglio raccontano la metamorfosi della politica italiana, uno specchio che riflette i cambiamenti profondi della sinistra e della destra, delle loro idee, delle loro paure e, soprattutto, delle loro convenienze.
Negli anni del dopoguerra, l’identificazione ideologica era apparentemente netta. Israele, agli occhi del Partito Comunista Italiano, era una nazione fondata dai lavoratori, costruita su esperienze collettive come i kibbutz, animata da spiriti laici e progressisti. Anche l’Unione Sovietica, nel 1948, fu tra i primi Stati a riconoscere Israele. C’era una percezione di affinità ideale, persino di solidarietà storica, tra la causa ebraica e il mondo socialista.
La tragedia della Shoah aveva lasciato una ferita aperta anche nella coscienza della sinistra italiana.
La Palestina? Non pervenuta. Era ancora lontana dalle mappe dell’indignazione, e la Nakba non faceva parte del vocabolario politico.
Nel frattempo, la destra, ancora stretta nella nostalgia del Ventennio, guardava al mondo arabo con disinteresse o, peggio, con il filtro deformante dell’orientalismo coloniale. Ma qualcosa cominciò a cambiare. Negli anni Sessanta, mentre il mondo scopriva la rivolta anticoloniale, la destra radicale iniziava a leggere in chiave terzomondista la lotta dei popoli non allineati.
Ed ecco che la causa palestinese diventava un baluardo antiamericano, antisionista e, soprattutto, anti-NATO. In questo quadro, figure come Pino Rauti e gruppi come Ordine Nuovo o Avanguardia Nazionale iniziarono a coltivare una retorica filopalestinese, non certo per amore del mondo arabo, ma per odio verso l’Occidente. I palestinesi, come i vietnamiti, come i baschi, come gli irlandesi dell’IRA, venivano letti come simboli della resistenza all’impero, per dirla con le parole del tempo. Un’improbabile Internazionale della rivolta, che metteva insieme rivoluzionari comunisti e neofascisti in un abbraccio paradossale.
Il 1967 fu uno spartiacque. La Guerra dei Sei Giorni, vinta da Israele con una rapidità e una forza impressionanti, trasformò agli occhi della sinistra l’ex Stato vittima in potenza occupante. Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est e le Alture del Golan: l’espansione territoriale fece vacillare l’immagine romantica dello Stato ebraico.
L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata da Arafat, cominciò a parlare al mondo in un linguaggio nuovo, tra diplomazia e kalashnikov. La sinistra italiana, soprattutto quella extraparlamentare, scoprì la Palestina.
Il PCI fu più prudente, ma lentamente cominciò a prendere le distanze da Israele, senza mai rinnegare il principio della sua esistenza. Il culmine di questo processo fu raggiunto nel 1982, quando Yasser Arafat fu accolto a Roma con tutti gli onori.
Il PCI, i Radicali, una parte della DC e del PSI, sostennero l’incontro con il leader palestinese, anche in polemica con gli Stati Uniti e con Israele, che in quei mesi erano sotto accusa per il massacro di Sabra e Shatila, perpetrato in Libano sotto l’occupazione israeliana.
Eppure, anche in quel momento, la destra neofascista era idealmente accanto ai palestinesi. Non era raro, tra i giovani del Fronte della Gioventù, trovare volantini di solidarietà con l’OLP. Alcuni neofascisti – basti pensare a Stefano Delle Chiaie – si ritrovarono addirittura coinvolti in vicende internazionali oscure, in cui l’intreccio tra terrorismo rosso, nero e arabo lasciava intravedere linee comuni che oggi sembrano inverosimili.
Il nemico era lo stesso: Israele, come simbolo dell’imperialismo ebraico-americano. Il linguaggio era spesso carico di ambiguità, ma la simpatia per la causa palestinese era reale.
Con gli anni Novanta, tutto cambiò. Caduto il Muro di Berlino, dissolta l’URSS, implosi i grandi partiti storici, la politica italiana si riconfigurò.
La destra post-fascista, con Alleanza Nazionale, cercò di ricostruirsi una rispettabilità, e con essa arrivò l’abbraccio con Israele. Gianfranco Fini, nel 2003, si recò a Gerusalemme, definì il fascismo “il male assoluto” e descrisse Israele come “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Era l’inizio della fine di ogni retaggio rautiano. La nuova destra, che guardava agli Stati Uniti come modello, vedeva in Israele un alleato strategico, soprattutto in chiave anti-islamica.
La sinistra, invece, si spaccò. I Democratici di Sinistra, poi confluiti nel Partito Democratico, abbandonarono progressivamente la questione palestinese, mantenendo posizioni moderate, legate al linguaggio dei diritti umani e del diritto internazionale, ma senza più la forza ideale del passato. Restava invece forte la mobilitazione tra i movimenti pacifisti, i centri sociali, i Verdi, Rifondazione Comunista. In quelle piazze si continuava a gridare “Palestina libera”, si indossava la kefiah, si denunciava l’occupazione, si criticava il Muro, si condannava l’assedio di Gaza. Ma quella era già una sinistra marginale, frammentata, incapace di parlare alla politica istituzionale.
Enrico Berlinguer
Pino Rauti
E così siamo arrivati a oggi. Oggi, in un’Italia in cui la destra governa, Israele è diventato un totem. Meloni, Salvini, Tajani: tutti parlano di Israele come di un modello, tutti condannano Hamas, tutti difendono Netanyahu anche nei momenti più controversi. L’aggressione a Gaza dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, con migliaia di vittime civili, non ha incrinato il sostegno della destra italiana. Israele ha il diritto di difendersi, si ripete come un mantra, mentre le immagini dei bombardamenti scuotono le coscienze di mezzo mondo. La sinistra, in gran parte, tace. Il PD balbetta. I 5 Stelle si dividono. Solo i soliti, pochi, marginali, continuano a manifestare. Ma vengono accusati di antisemitismo, confusi con i negazionisti, strumentalizzati dalla propaganda.
Il risultato è un rovesciamento totale. La destra italiana, che un tempo parlava con i palestinesi, oggi abbraccia Israele come frontiera dell’Occidente. La sinistra, che fondò la sua identità nella difesa dello Stato ebraico, oggi appare incapace di prendere posizione senza impantanarsi nella prudenza diplomatica. Nessuno vuole più sporcarsi le mani. Nessuno vuole disturbare gli equilibri internazionali. E così la Palestina resta lì, nel limbo dei diritti negati, dei territori occupati, dei civili dimenticati. Non più simbolo della resistenza, ma scoria geopolitica di un mondo che preferisce non vedere.
Chi sta oggi davvero con i palestinesi?
Chi sta davvero con gli israeliani?
Chi sta ancora dalla parte della giustizia, e non solo dalla parte del potere?
Sono domande che attraversano la storia italiana come un’ombra, e che rivelano, ancora una volta, quanto la coerenza sia merce rara in politica. La verità è che oggi nessuno sta più davvero dalla parte di qualcuno. O, forse, tutti stanno dalla parte di sé stessi.
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