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Le 5 Torri marciscono e la città guarda altrove

Tra degrado, silenzi e speculazioni, un intero quartiere viene abbandonato mentre si costruiscono supermercati e grattacieli. Le Torri potevano essere case, cultura, riscatto. Ora sono solo vergogna.

Le 5 Torri di Settimo Torinese: un simbolo dall’enorme potenziale lasciato abbandonato

Le 5 Torri di Settimo Torinese: un simbolo dall’enorme potenziale lasciato abbandonato

Nel cuore del Villaggio Fiat di Settimo Torinese, svettano ancora — silenziose e spoglie — le cosiddette 5 Torri, un tempo orgoglioso simbolo di modernità, inclusione e impegno sociale. Oggi, invece, si ergono come cattedrali nel deserto: vuote, degradate, dimenticate. Emblema perfetto di un’occasione mancata in una città che avrebbe bisogno, ora più che mai, di spazi per il sociale, la cultura, l’accoglienza.

Le 5 Torri nascono nel contesto delle grandi espansioni urbanistiche del dopoguerra, quando il Villaggio Fiat venne concepito per dare un tetto alle famiglie operaie, agli immigrati del sud, alle giovani coppie. Per anni quel quartiere ha vissuto una vita propria, tra fermento e fatica, tra solidarietà e degrado. Poi, con il tempo, la parabola discendente: problemi strutturali, incuria, mancanza di manutenzione. Fino all’abbandono completo.

Nel frattempo, attorno, il quartiere è cambiato: sono arrivati nuovi centri commerciali, una pista ciclabile, un grande parco urbano, perfino moderni grattacieli. Ma proprio lì, a pochi passi da tutto questo, le 5 Torri restano immobili. Cristallizzate in un tempo che non c’è più. Con l’RSA che per decenni ha accolto centinaia di anziani ormai chiusa, svuotata, lasciata a se stessa.

In una città dove l’emergenza abitativa è in costante crescita — tra sfratti, disoccupazione, povertà crescente — la domanda è inevitabile: come è possibile ignorare un patrimonio edilizio così vasto e centrale? Da anni le associazioni del territorio invocano soluzioni: alloggi sociali, dormitori temporanei, spazi formativi, centri di aggregazione per giovani e famiglie. Le 5 Torri potrebbero essere tutto questo. Potrebbero diventare un modello di rigenerazione urbana partecipata, un laboratorio a cielo aperto di coesione e innovazione sociale.

E invece no. Restano lì. Mura vuote, finestre sbarrate, silenzio assordante.

C’è chi teme — e non a torto — che l’area venga ceduta per far spazio all’ennesimo supermercato, o magari a una filiale di qualche multinazionale. Uno scenario già visto, purtroppo. Un destino triste che rischia di cancellare del tutto il valore simbolico e sociale di questo pezzo di città.

Il futuro delle 5 Torri non può e non deve essere deciso solo da logiche di mercato, da operazioni immobiliari calate dall’alto. Serve un confronto pubblico, un’idea condivisa. Serve ascoltare i cittadini, le associazioni, i giovani. Serve soprattutto una visione politica, quella vera: che metta al centro le persone, non i profitti. Perché gli spazi urbani non sono solo metri quadri da valorizzare: sono identità, memoria, possibilità.

In un’epoca che parla di transizione ecologica, di diritti sociali, di città inclusive, lasciare marcire un intero complesso edilizio è una contraddizione inaccettabile.

La speranza è che le 5 Torri non vengano dimenticate o, peggio, consegnate alla speculazione edilizia. Perché Settimo Torinese non ha bisogno di un altro supermercato. Ha bisogno di casa, dignità, cultura, comunità. E in un momento storico come questo, non possiamo più permetterci il lusso di sprecare ciò che già abbiamo.

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