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15 Maggio 2025 - 00:10
Andrea Cantoni
Si accende il dibattito che ruota attorno al conflitto israelo-palestinese. Dopo la pubblicazione della lettera aperta firmata dal Presidio per la Pace e dal Comitato Ivrea per la Palestina, inviata al sindaco Matteo Chiantore e all’assessora Gabriella Colosso, è arrivata oggi la durissima replica del consigliere comunale Andrea Cantoni, esponente di Fratelli d’Italia.
Nel mirino, la proposta contenuta nel documento che chiede al Comune di aderire alla campagna SPLAI – Spazi Liberi dall’Apartheid Israeliana, promossa a livello nazionale da BDS Italia, e già adottata da alcune città europee. Una proposta che, stando ai promotori, ha l’obiettivo di trasformare anche Ivrea in un territorio capace di prendere le distanze – simbolicamente e concretamente – da ciò che viene definito “un sistema di oppressione e apartheid ai danni del popolo palestinese”.
I toni della lettera, come riportato nel nostro articolo, si radicano nel lessico della diplomazia internazionale, citando il lavoro di relatori ONU come Francesca Albanese e i pronunciamenti della Corte Internazionale di Giustizia. Ma le parole – come spesso accade in questi casi – generano altre parole. E stavolta hanno acceso una miccia politica destinata a far discutere.
«Questo è il Presidio per la Pace? L’antisemitismo dilaga e si diffonde viscido dietro a un messaggio apparentemente pacifista. Ma questa gente non ha la minima idea di cosa sia la pace» dichiara Cantoni con una posizione netta, definendo “vergognosa” la proposta avanzata e chiedendo all’Amministrazione di “prendere le distanze dalle farneticazioni di chi oggi si dice pacifista”.
Non solo: secondo Cantoni, l’adesione a una simile campagna rischia di alimentare discriminazioni, spingendosi fino a una provocazione volutamente estrema.
«Imporrete una maggiorazione sulla TARI a chi è ebreo o sostiene Israele?», chiede, lanciando un’allusione inquietante che rievoca atmosfere da caccia alle streghe.
E poi ancora....
«Fate attenzione a chi grida ogni secondo al pericolo fascista: probabilmente ha già un po’ di stelle gialle in tasca da attaccare ai vestiti delle persone». Una dichiarazione che richiama simboli drammatici della storia europea .
Va ricordato che il Presidio per la Pace di Ivrea, ogni sabato, da anni tiene una veglia silenziosa sotto l Municipio, e che il Comitato Ivrea per la Palestina è protagonista di numerose iniziative pubbliche, fra cui il progetto “Un ponte con Beit Ummar”, nato per favorire rapporti di scambio e conoscenza con una cittadina palestinese. In più occasioni, entrambe le realtà hanno lavorato in sinergia con il Comune.
Ed è proprio questo rapporto pregresso ad aver reso più denso il significato della nuova richiesta: trasformare la solidarietà istituzionale in impegno concreto, coinvolgendo uffici pubblici, esercizi commerciali, luoghi di aggregazione e spazi culturali in un percorso condiviso di sensibilizzazione.
Nella pratica, l’adesione a SPLAI comporterebbe, secondo i promotori, l’esclusione dalle forniture pubbliche delle aziende coinvolte in operazioni legate all’occupazione dei territori palestinesi, nonché la creazione di una rete di “spazi liberi” visibili anche online. “Un gesto simbolico, ma anche concreto. Un rifiuto consapevole dell’ingiustizia”, si legge nel testo.
Il Comune di Ivrea, dal canto suo, per il momento, si è limitato ad inviareuna lettera alle alte cariche dello Stato, chiedendo il riconoscimento della Palestina e la sospensione degli accordi militari con Israele. Un passo accolto con favore dai movimenti per la pace, ma ritenuto ancora insufficiente dagli stessi, che infatti chiedono di “passare dalle parole ai fatti”.
La presa di posizione del consigliere Cantoni pone ora l’Amministrazione davanti a una scelta delicata che impone domande che toccano i confini della libertà d’espressione, della memoria storica, della legittimità del dissenso.
Da una parte, chi chiede di alzare il livello dell’impegno civile, di non rimanere in silenzio di fronte a quanto accade in Palestina, e di utilizzare anche gli strumenti amministrativi per costruire una cultura della pace.
Dall’altra, chi intravede in queste richieste una deriva ideologica, un rischio pericoloso di discriminazione, e un attacco implicito a Israele che si spinge fino all’accusa di genocidio.
Il dibattito è aperto. E la città – ancora una volta – si trova chiamata a interrogarsi su cosa voglia dire “stare dalla parte della pace”, e fino a che punto le istituzioni possano o debbano farsi portatrici di scelte che dividono.
Noi, da questo punto di vista, quel che pensiamo lo abbiamo già scritto e tutte le sere, con gli occhi lucidi, ci colleghiamo ai tanti profili Instagram su Gaza che raccontano proprio di un genocidio, senza sè e senza ma...
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