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Leone XIV, il Papa che non ti aspetti (e che Trump non avrebbe votato)

Un Papa americano che rompe le aspettative: Leone XIV porta un messaggio di giustizia sociale e dialogo, lontano dalle logiche populiste e dai favori dei potenti.

Leone XIV, il Papa che non ti aspetti (e che Trump non avrebbe votato)

Leone XIV, il Papa che non ti aspetti (e che Trump non avrebbe votato)

La storia è servita, ancora una volta, nel piatto della sorpresa. Il 267° successore di Pietro si chiama Robert Francis Prevost, ma ora il mondo lo conosce come Papa Leone XIV. È il primo Papa statunitense. Il primo yankee sulla sedia più antica del mondo. Ma non illudetevi: non è il Papa di Donald Trump.

Sì, è nato a Chicago, ha studiato negli Stati Uniti, parla un perfetto inglese e, sulla carta, potrebbe sembrare il sogno di ogni repubblicano cristiano. Ma chi ha vissuto per vent’anni tra le baracche del Perù, chi ha imparato lo spagnolo prima ancora di ricevere un incarico romano, chi ha speso la sua vita accanto agli ultimi e non accanto ai miliardari dei country club, difficilmente può essere etichettato come “America First”.

Dall’altro lato dell’oceano, in qualche campo da golf della Florida o nella suite dorata della Trump Tower, The Donaldavrà inarcato un sopracciglio. Perché il Papa americano, quello “che ci somiglia”, non è per niente uno dei suoi. Non è un uomo da slogan, non è un bullo da conferenza stampa, non è neanche un businessman. È un religioso con la schiena dritta e il volto segnato dalla fatica, che conosce il significato della parola “sinodo” meglio di quello di “deriva woke”. E che, soprattutto, non ha mai fatto affari con i miliardari.

Leone XIV non promette muri al confine con il Messico, ma ponti tra le Americhe. Non strizza l’occhio ai negazionisti climatici, ma raccoglie l’eredità ecologica di Francesco. Non cita la Bibbia per dividere, ma la vive come chi ci ha creduto davvero. È un Papa che ascolta più che parlare, che preferisce pregare invece di twittare, e che ha usato la sua prima apparizione pubblica per restare in silenzio davanti alla folla. Già questo, per Trump, è probabilmente un segnale di debolezza.

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Eppure, proprio in questa apparente “debolezza”, si nasconde una forza che potrebbe cambiare molto. È un Papa che viene dalla periferia della periferia, ma che ora siede nel cuore della Chiesa. Un uomo che non ha mai giocato in prima fila nei talk show, ma che ha saputo conquistare fiducia, anche a Roma, con l’umiltà e la competenza.

Gli elettori del MAGA lo troveranno troppo latino, troppo missionario, forse anche troppo sinodale. Ma il nuovo Pontefice non deve piacere ai sondaggi del GOP. Deve solo camminare con un miliardo e mezzo di fedeli, alcuni dei quali pregano in spagnolo, portoghese, tagalog o swahili. E molti di questi, nel mondo reale, vivono più vicini al dolore che all’oro. Più alle Ande che a Manhattan.

Donald Trump, sempre che abbia ancora tempo per occuparsi di ciò che accade in Vaticano, probabilmente avrebbe preferito un Papa che cita la Bibbia come un meme, che tuona contro i migranti e difende la famiglia tradizionale mentre sposa la terza moglie. Al contrario, Leone XIV arriva dalla scuola di Papa Francesco, e ne raccoglie l’umanesimo. Non sarà un Papa ideologico, ma sicuramente sarà un Papa spirituale. E questo, nel tempo della confusione morale, è già una notizia.

L’America ha ora un Papa, ma non è quello che Fox News sperava. È un uomo che conosce il Nord, ma ha scelto il Sud. Che viene dal Midwest, ma ha il cuore tra i campesinos. Che ha studiato a Villanova, ma ha capito tutto nella polvere del Perù. E che ora, con passo silenzioso e voce ferma, porta nel nome di Leone XIV un’eredità che promette giustizia sociale, dignità umana e dialogo autentico.

Un Papa troppo evangelico per piacere ai populisti. Troppo umano per i calcoli della geopolitica. E, proprio per questo, forse il Papa di cui abbiamo davvero bisogno.

E chissà se Trump, davanti alla TV, avrà esclamato: “Another rigged election"

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