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"Sembra un carcere!": la rivolta degli abitanti di via De Gasperi contro il nuovo supermercato

La parete prefabbricata alta 10 metri e lunga 40 del nuovo supermercato spacca il quartiere come una ferita: “Deturpa tutto, è un pugno in faccia allo spirito olivettiano”.

"Sembra un carcere!": la rivolta degli abitanti di via De Gasperi contro il nuovo supermercato

A Ivrea, nel cuore di quella che fu capitale della bellezza industriale e del pensiero urbanistico moderno, è spuntato un muro che pare uscito da un istituto penitenziario. Rosso, di mattoni, un prefabbricato alto dieci metri, lungo quaranta, senza finestre, né verde, né uno spiraglio di luce o respiro. Solo cemento e tristezza.

Sta nascendo davanti ai campi da tennis, lungo via De Gasperi, dove è in costruzione un nuovo supermercato. Ed è lì che i residenti sono insorti. Una protesta crescente, accorata, spontanea, con un nome e un volto: Luigi Ampollini, eporediese doc, 50 anni passati nella stessa strada, testimone della trasformazione lenta e oggi deluso: “Vivo qui da mezzo secolo e me l’hanno rovinata. Cos’è diventata Ivrea? Altro che patrimonio Unesco... questa è una vergogna architettonica.

Quel muro che affaccia direttamente sulla via – lo stesso asse che collega quartieri storici, scuole e impianti sportivi – ricorda più un istituto di detenzione che un centro commerciale. “In confronto, la vera prigione di Ivrea è una villa”, sbottano gli abitanti. E non c’è ironia, ma amara constatazione. Perché in una città che si fregia del titolo Ivrea la bella, dove ogni angolo urbanistico dovrebbe portare il segno dello spirito olivettiano – fatto di armonia tra spazi, persone, lavoro e paesaggio – ritrovarsi con una parete cieca e incombente è uno schiaffo alla memoria collettiva.

Non ci sono decorazioni, non c’è una siepe, non una vetrina, non un mosaico, non una pensilina che attutisca l’impatto. Solo blocchi prefabbricati come quelli usati nei capannoni industriali, ma qui buttati nel mezzo di un quartiere residenziale, dove vivono famiglie, anziani, ragazzi. “Potevano fare una cosa bella, invece hanno fatto una cosa brutta. E quando sbagli l’estetica, sbagli tutto. L’ambiente in cui viviamo non è neutro, ci cambia l’umore, ci segna lo sguardo”, continua Ampollini. Lo dice con voce amareggiata, guardando il muro che cresce ogni giorno di più.

L'arte, ad Ivrea, è sempre stata una questione pubblica, condivisa, un patrimonio vivo. Qui nascevano fabbriche immerse nel verde, uffici in dialogo con le colline, scuole pensate per crescere cittadini e non solo alunni, opere architettoniche firmate da Figini, Pollini, Gardella. Qui Adriano Olivetti insegnava che la bellezza è parte della giustizia sociale. E adesso? Adesso c’è un muro che sa di incuria e di pigrizia progettuale. “Ma chi l’ha approvato? Chi ha pensato che andasse bene una cosa così in una città patrimonio dell’Umanità?”, si chiedono in molti.

Non si tratta solo di gusto, ma di visione urbana, di rispetto per chi abita, cammina, gioca in quel pezzo di città. Via De Gasperi non è periferia dimenticata, è un quartiere vivo, attraversato ogni giorno da famiglie, sportivi, studenti. “Ci hanno ignorati. Non ci hanno chiesto nulla. Hanno piazzato questo mostro davanti ai nostri occhi e adesso ci dicono che dobbiamo abituarci. Ma noi non ci abitueremo”, promettono.

C’è chi parla di raccolta firme, chi chiede all’amministrazione un intervento immediato per “ripensare l’impatto visivo”, almeno con rivestimenti, murales, vegetazione verticale. Ma la sensazione, per ora, è quella di una frattura insanabile. Un vuoto, non solo architettonico. Una mancanza di attenzione, di cura, di memoria. Proprio nella città che ha fatto del design urbano una bandiera e che ogni anno si spende per mantenere viva la fiamma del suo riconoscimento Unesco.

Ivrea la bella, si sono dimenticati cosa significa. Questo muro è brutto, invadente, cieco. Non solo non parla al quartiere, ma lo zittisce”, conclude Ampollini. E a guardarlo lì, in controluce tra i palazzi, è difficile dargli torto. Perché non serve molto per fare qualcosa di bello. Serve solo volerlo. E in via De Gasperi, stavolta non lo hanno voluto.

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