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Politica estera

Trump dichiara guerra ai film stranieri: dazio del 100% e terremoto a Hollywood

L’annuncio su Truth Social scuote l’industria: colpiti contenuti internazionali, anche quelli delle major USA. I mercati reagiscono male, l’industria teme un effetto boomerang. Il cinema mondiale rischia l’isolamento made in America

Trump scuote Hollywood

Trump dichiara guerra ai film stranieri: dazio del 100% e terremoto a Hollywood

Il messaggio è arrivato diretto, senza sfumature e con l’impatto di una bomba nel cuore dell’industria dell’intrattenimento globale. Donald Trump ha annunciato l’intenzione di imporre un dazio del 100% su tutti i contenuti audiovisivi prodotti all’estero e importati negli Stati Uniti, aprendo di fatto una nuova guerra commerciale, questa volta culturale. L’annuncio, lanciato su Truth Social, è già diventato un caso politico ed economico: una misura che, nelle intenzioni dell’ex presidente, dovrebbe proteggere l’industria cinematografica americana, ma che rischia di travolgere l’intero sistema produttivo internazionale, compreso quello a stelle e strisce.

L’impatto immediato è stato evidente sui mercati: Netflix ha perso quasi il 2%, interrompendo una striscia positiva lunga settimane. Warner Bros. Discovery ha lasciato sul terreno il 2%, Paramount l’1,5%. Ma i numeri di borsa sono solo la superficie di un terremoto più profondo. Perché oggi Hollywood non è più un’isola, ma un network globale di produzione e distribuzione, dove le grandi case americane girano film in Europa, in Asia, in Australia, e dove le piattaforme streaming investono miliardi in contenuti prodotti ovunque, dai k-drama coreani alle serie scandinave.

Trump invece ha messo un punto fermo, e lo ha fatto in un momento già critico per l’industria. Nel 2024, Los Angeles ha registrato solo 23.480 giorni di riprese autorizzate, il 5,6% in meno rispetto all’anno precedente, e ben il 31% sotto la media quinquennale. Le serie scripted sono diminuite del 36%, i reality del 46%. Un’industria in contrazione, delocalizzata e fragile, che ora rischia di essere spezzata da un atto di protezionismo estremo.

Le conseguenze potrebbero essere paradossali. Se da un lato la misura mira a frenare l'importazione di contenuti esteri, dall’altro finisce per colpire proprio le major americane, che negli ultimi anni hanno delocalizzato massicciamente per motivi economici. Basti pensare che Netflix ha destinato oltre 8 miliardi di dollari a produzioni internazionali, più della metà del suo budget. Disney ha girato gran parte dei suoi progetti Marvel fuori dagli USA. “Wicked” e “Snow White” sono stati prodotti nel Regno Unito. Tutti questi titoli, oggi, sarebbero soggetti a dazio.

Un’operazione boomerang, quindi, che rischia di compromettere le stesse aziende che il dazio vorrebbe proteggere. Netflix e Disney, con la loro natura ibrida e globale, potrebbero ancora assorbire l’urto, ma Warner Bros. Discovery è tra le più esposte. Mentre i player internazionali come Banijay o CJ ENM, che hanno puntato sull’espansione nel mercato statunitense, si trovano ora sbarrati fuori da quello che è – di gran lunga – il principale mercato dell’intrattenimento globale.

A tutto ciò si aggiunge il nodo degli accordi internazionali: il dazio potrebbe innescare rappresaglie da parte dell’Unione Europea, della Corea del Sud, del Regno Unito, e scatenare un effetto domino su festival, co-produzioni, investimenti incrociati. Il rischio? Un cinema sempre più isolato, localizzato, impoverito nella varietà e nella cooperazione.

Dietro il gesto c’è, evidentemente, anche una forte valenza elettorale. Trump torna a battere la grancassa del “America First”, applicandola stavolta al mondo dell’arte, del racconto, della cultura. Ma può l’immaginario americano sopravvivere chiudendosi dentro i suoi confini? E soprattutto: può un’industria come quella cinematografica, costruita da decenni su coproduzioni, melting pot e libertà creativa, reggere all’urto di una frontiera doganale imposta all’improvviso?

In un’epoca di streaming, piattaforme globali e storie che parlano tutte le lingue, la mossa appare fuori dal tempo, eppure concretissima nei suoi effetti. Il cinema, che da sempre si nutre di scambi, contaminazioni e collaborazioni transnazionali, si ritrova oggi al centro di una battaglia politica, con un futuro incerto e una domanda che resta senza risposta: si può difendere il cinema americano, distruggendo il cinema del mondo?

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