AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
06 Maggio 2025 - 17:04
ISRAELE LI HA UCCISI QUESTA NOTTE A GAZA
Lettera ai sindaci
Luigi Sergio Ricca, Bollengo
Ernesto Marco, Colleretto
Giulia Claudi, Fiorano
Matteo Chiantore, Ivrea
Ellade Peller, Nomaglio
Roberto Balma, Parella
Domenico Mancuso, Salerano
Sonia Cambursano, Strambino
C’è un momento preciso in cui il ricordo diventa comodità. E quando accade, smette di essere memoria e si trasforma in rito. Un rito che non interroga, non provoca, non scuote. Un rito che consola — ma non cambia nulla. Forse è questo che è accaduto a Lace, dove otto sindaci dell’eporediese hanno deciso di togliersi la fascia tricolore e andarsene prima ancora che il 25 aprile diventasse, come ogni anno dovrebbe essere, una giornata viva, politica, scomoda.
Perché sì: la memoria è scomoda. Deve esserlo. E se una cerimonia partigiana non fa alzare almeno qualche sopracciglio, allora significa che qualcosa è stato addomesticato.
I sindaci se ne sono andati, dicono, perché non condividevano il programma, perché non sapevano chi avrebbe parlato, perché non volevano restare ad ascoltare interventi ritenuti “divisivi”, “violenti” o addirittura “ai limiti dell’antisemitismo”. Parole pesanti, che vanno prese sul serio. Ma parole che – se non supportate da contenuti precisi – rischiano di diventare pretesti per un atto ben più grave: la pretesa di controllare il significato della memoria, di dettarne limiti e paletti, come se la Resistenza fosse un terreno neutro, asettico, senza conflitti, senza analogie con l’oggi.
E invece no. La Resistenza è stata l’azione di donne e uomini che hanno saputo disobbedire. Disobbedire allo Stato, alle regole imposte, alla violenza travestita da ordine. Disobbedire anche al quieto vivere. E chi oggi si ispira alla loro eredità – e lo fa parlando della Palestina, delle guerre, dell’ingiustizia – non tradisce lo spirito della Resistenza. Lo rinnova. Lo porta nel nostro tempo. Lo toglie dalla polvere e dalla cerimonia.
È davvero un paradosso, ed è doloroso dirlo: rifiutare di ascoltare la parola “Palestina” in una commemorazione partigiana significa ridurre l’antifascismo a un’etichetta di comodo. Come se denunciare i massacri, anzi no il genocidio che sta compiendo Israele nella Striscia di Gaza fosse una bestemmia, una mancanza di rispetto, un’invasione indebita. Come se ricordare i morti di oggi offendesse i morti di ieri. Ma non è così. Lo sappiamo, nel profondo.
Visualizza questo post su Instagram
In realtà, è proprio nei momenti come questo che si vede chi crede davvero nella libertà e chi la teme. Perché la libertà, quando è vera, disturba. Non fa comodo, non si fa gestire da una scaletta. Non si piega a chi chiede “di cosa parlerete?” prima di decidere se restare o andarsene. È facile dirsi antifascisti con la Costituzione in mano; è più difficile esserlo davvero, quando ti trovi ad ascoltare parole che non condividi. Ma è lì che si gioca la partita: restare e ascoltare. Anche dissentendo. Soprattutto dissentendo.
Negare oggi lo spazio alla parola “Palestina”, rimuovere il massacro in corso, tacere per non urtare, non è solo un segno di debolezza culturale. È un pericoloso gesto di rimozione politica. In altri tempi, si faceva lo stesso con l’Olocausto, per non turbare i tedeschi. O con le foibe, per non turbare gli italiani. Ma la storia non funziona così. La storia vera chiede di essere detta tutta, con tutte le sue contraddizioni e le sue ferite aperte.
E allora, se oggi qualcuno si indigna perché a Lace si è parlato anche di Gaza, non è un problema di contenuto. È un problema di coraggio. Perché la pace, quella vera, comincia quando si ha il coraggio di nominare le ingiustizie, anche se fanno male, anche se dividono, anche se costringono a prendere posizione.
Se il 25 aprile deve essere soltanto una parata silenziosa, una foto ricordo da mettere sui social, allora davvero i sindaci fanno bene a sfilarsela, quella fascia. Ma se invece vogliamo che sia ancora la festa di chi ha scelto la parte giusta della Storia, allora non possiamo permettere che diventi una cerimonia di consenso.
La libertà – quella vera – non chiede permesso. E chi crede nella democrazia dovrebbe essere il primo ad accettarlo. Anche quando non gli piace quello che sente.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.