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06 Maggio 2025 - 16:35
La strada non è sicura per i ciclisti: i dati Asaps parlano chiaro
Sessantatré. Tanti sono i ciclisti già morti in Italia dall’inizio del 2025, secondo i dati aggiornati dell’Osservatorio Ciclisti Sapidata-Asaps, l’associazione che affianca la Polizia stradale nella raccolta e analisi delle vittime su due ruote. Un numero che fa rabbrividire e che, come sottolinea il presidente Giordano Biserni, “equivale a metà del gruppo di ciclisti professionisti che partiranno il 9 maggio per il Giro d’Italia”. Un tragico paragone che fotografa con precisione la strage silenziosa che si consuma ogni giorno sulle nostre strade.
Tra gennaio e aprile si è registrato un aumento dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2024: 60 decessi contro 54. E nei primi giorni di maggio le vittime sono già salite a 63, di cui quattro solo nell’ultima settimana. Nel dettaglio: 12 morti a gennaio, 15 a febbraio, 14 a marzo, ben 19 ad aprile, segno che l’arrivo della primavera, con l’aumento dei ciclisti in circolazione, ha portato con sé anche un’impennata drammatica degli incidenti mortali.
Il profilo delle vittime è chiaro e sconfortante: 59 uomini e 4 donne, ma soprattutto ben 27 avevano più di 65 anni, a conferma del fatto che gli anziani sono tra gli utenti più esposti e vulnerabili. L’altro elemento ricorrente è la presenza di pirati della strada: otto ciclisti sono stati travolti da automobilisti che non si sono fermati a prestare soccorso, tra cui un 27enne migrante ucciso a Mesagne, nel brindisino.
Incidenti
Le regioni con il maggior numero di decessi sono Emilia-Romagna e Lombardia (12 ciascuna), seguite dal Veneto con 8. Un trend che non conosce tregua e che ripropone con urgenza il tema della sicurezza stradale per i ciclisti, troppo spesso relegati ai margini dell’asfalto, senza infrastrutture protette, senza rispetto, senza tutele.
I numeri dell’Asaps si sommano a quelli ufficiali Istat del 2023, che contavano 212 decessi tra gli utenti a due ruote, e alle stime preliminari del 2024 che parlano di 204 vittime. Ma il dato fornito dall’Osservatorio ha una portata ancora più realistica, perché include anche quei decessi avvenuti oltre i 30 giorni dal sinistro, spesso esclusi dalle statistiche ufficiali. Come nel caso di un bimbo di 9 anni morto a Gela dopo oltre un mese di agonia. “Per noi – spiegano da Asaps – sono vittime a pieno titolo della strada e dei comportamenti umani, e come tali vanno ricordate”.
La fotografia dell’Asaps, cruda ma necessaria, impone una riflessione collettiva: perché in un Paese che dice di puntare sulla mobilità sostenibile, pedalare resta un’attività ad alto rischio?. Le piste ciclabili sono spesso discontinue, mal progettate, invase dalle auto in sosta. I limiti di velocità sono sistematicamente disattesi, i controlli sulle strade secondarie quasi assenti. E la cultura del rispetto reciproco è ancora un miraggio.
Il paradosso è evidente: proprio mentre il Giro d’Italia infiamma l’opinione pubblica, e i grandi campioni si sfidano lungo le strade tricolori, decine di ciclisti comuni continuano a morire nell’indifferenza generale. Non servono solo dati, ma scelte politiche coraggiose: più zone 30, corsie ciclabili sicure, campagne educative nelle scuole, investimenti nei centri urbani e soprattutto una legislazione che riconosca pienamente la fragilità dell’utenza ciclistica.
La bicicletta è un simbolo di salute, ecologia e libertà. Ma sulle strade italiane, si trasforma troppo spesso in una trappola mortale. E finché le istituzioni non sapranno invertire la rotta con decisione, ogni nuova vittima sarà anche una sconfitta collettiva. Biserni lo dice chiaramente: “Non possiamo accettare che sia normale contare 60, 70, 200 ciclisti morti l’anno. Servono azioni immediate, non commemorazioni postume”.
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