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Cronaca

"Alessandro è morto due volte": la rabbia della sorella del centauro travolto da un'auto a 31 anni

Valentina Gennaro denuncia una giustizia che non punisce: «Chi ha ucciso mio fratello non farà nemmeno un giorno di carcere. E non ci ha nemmeno mai chiesto scusa»

Alessandro Gennaro aveva 31 anni

Alessandro Gennaro aveva 31 anni

Quando il dolore incontra quella che viene percepita come una terribile ingiustizia, si trasforma in rabbia. E quella di Valentina Gennaro, sorella di Alessandro, morto a 31 anni travolto da un’auto mentre era in sella alla sua moto, è una rabbia che non cerca consolazioni. Non vuole vendetta, ma rispetto. Perché suo fratello è stato ucciso due volte: la prima il 24 settembre 2023, lungo la Pedemontana, in sella alla sua Kawasaki, falciato da un’auto che ha compiuto una manovra vietata e assurda; la seconda, il 24 aprile 2025, dentro un’aula di Tribunale, quando al responsabile è stata inflitta una pena che non sconterà mai.

Due anni con sospensione condizionale della pena. Significa che Domenico V., 72 anni, oggi è a piede libero. Non ha mai passato nemmeno una notte in cella. Non ha partecipato all’unica udienza del processo. Non ha mai alzato il telefono. Non ha mai scritto una riga. Non ha mai chiesto scusa. Nemmeno una parola per la madre di Alessandro, Angela, oggi ricoverata in gravi condizioni dopo un aneurisma cerebrale, sei mesi dopo la morte del figlio. Nemmeno un gesto verso il padre Franco, che quel giorno era a pochi minuti dal luogo dell’incidente. Nemmeno uno sguardo verso Valentina.

«In aula c’è scritto “La legge è uguale per tutti”… Anche no. Non è questa la giustizia in cui ci riconosciamo», dichiara Valentina icon parole che trasudano disillusione e dolore allo stato puro. Alessandro era un ragazzo con la schiena dritta. Aiutava la Pro Loco di Cascinette d’Ivrea, grigliava costine alla festa di Sant’Antonio, montava tavoli, sorrideva sempre. Era conosciuto e amato, uno che non si tirava mai indietro.

Domenica 24 settembre, alle 14.30, stava percorrendo la statale 565. L’automobilista, alla guida della sua Kia Sportage, ha ignorato segnaletica, doppia linea continua, visibilità e buon senso. Ha tagliato la strada in piena intersezione, Alessandro è piombato contro la fiancata. Il suo casco, la sua prudenza, la sua esperienza: tutto inutile. La moto è esplosa in pezzi, lui è stato sbalzato sotto il veicolo. È morto sul colpo.

L’altro motociclista che lo aveva incrociato poco prima è stato il primo a fermarsi. «Mi aveva salutato con il cenno dei centauri», ha detto ai carabinieri. Poi il nulla. Il silenzio rotto solo dalle sirene, dal massaggio cardiaco tentato per tre volte, dall’eliambulanza che non è bastata. Da quel giorno, la vita della famiglia Gennaro si è spenta. E ora si spegne anche la fiducia nelle istituzioni.

La sentenza è arrivata senza processo, senza confronto, senza pena da scontare. Il giudice Andrea Cavoti ha accolto il patteggiamento. Legalmente è tutto corretto. Umanamente, è uno schiaffo. Un vuoto che brucia.

Valentina non ci sta. Né lei, né suo padre. «Lui può uscire, divertirsi, passare il Natale con la sua famiglia… A noi non è più concesso. Ha rovinato una famiglia e non ha mai chiesto scusa. È disumano».

E forse ha ragione lei: a uccidere Alessandro non è stata solo un’auto. È stato anche un sistema che fa fatica a guardare in faccia il dolore.

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