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Emergenza alluvione: Renato, ottant’anni e una casa nel fango. “Spalerò da solo, a costo di lasciarci la vita”

In 54 anni di lavoro aveva raccolto una collezione musicale sterminata, oggi sepolta nel fango insieme alla sua casa

Renato, ottant’anni e una casa nel fango

Renato, ottant’anni e una casa nel fango: “Spalerò da solo, a costo di lasciarci la vita” (foto di repertorio)

Una vita costruita su sacrifici, rispetto e fiducia. Poi la frana. E con la frana, la sensazione atroce di essere diventato invisibile.

Renato Aggio, quasi ottantenne, è uno dei tanti volti rimasti dietro le righe nel bilancio dell’emergenza maltempo che ha devastato San Raffaele Cimena. La sua casa – quella in cui viveva dal 1983 – è stata invasa da terra, fango e acqua, cancellando stanze, ricordi, e una parte importante della sua identità: una collezione musicale frutto di 54 anni di lavoro, centinaia di vinili, CD, musicassette. Tutto distrutto.

Non cerca pietà Renato. Scrive con amarezza, ma soprattutto con rabbia. “Ho sempre rispettato le regole, tutte. Ma ora mi è stato proibito di entrare a casa mia per tre settimane”, racconta. E se avesse bisogno di un paio di calze? Di un documento? Di un farmaco dimenticato? La risposta ufficiale è una procedura che prevede di passare per il vicesindaco Vincenzo Demasi, l’unico che – a detta dello stesso Renato – “mi ha almeno parlato”. Nessun geologo visto sul posto, nessun tecnico che abbia varcato quel cancello. Solo ordinanze, chiusure, promesse e silenzi.

L'emergenza maltempo che ha colpito il territorio del chivassese

Quello che gli è stato negato è il diritto di rientrare in casa sua. Quello che ha deciso di fare, da oggi, è prendere una pala e tornare dentro, spalando da solo. Non per incoscienza, ma per disperazione. “Spalerò tonnellate di terra e fango, a costo di lasciarci la vita. Mi informerò bene su chi avrebbe potuto aiutarmi e non ha voluto farlo”. A ottant’anni. In un Comune dove si paga l’IMU, la TARI, e ogni altra imposta. In una casa che è privata solo quando conviene.

Renato non nega l’emergenza. Sa bene cosa sta accadendo nel suo paese, piegato da frane, strade sventrate, ponti a rischio e case isolate. Ma non riesce ad accettare che, in mezzo alla macchina organizzativa che si definisce sempre presente, lui non sia mai stato considerato. “Loro, se io interverrò, dicono di non saperne nulla”, continua. Parole che pesano. Che graffiano. Che interrogano.

Mentre si celebra la prontezza operativa della Protezione Civile e dell’A.I.B. – sacrosanta e concreta – emergono storie individuali che mettono in discussione la narrazione unanime della solidarietà. Storie come quella di Renato, che non chiede celebrazioni, ma aiuto. Non pretende eroi, ma un sopralluogo. Non cerca riflettori, ma una mano vera.

Questa testimonianza spacca il velo dell’efficienza perfetta e solleva una questione che nessuna emergenza può ignorare: che fine fanno gli ultimi, quando gli sforzi collettivi non li raggiungono? Chi veglia sulle case che non fanno rumore, sugli anziani che non sanno farsi largo tra i protocolli?

Renato Aggio, oggi, non è più disposto ad aspettare. E non dovrebbe esserlo nemmeno la coscienza pubblica.

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