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Resistenza e memoria: il documentario che racconta la lotta in Valle Orco

Anna Albertano e la storia dei partigiani del Canavese nel nuovo docufilm

Castellamonte

Davide Motto e Maria Cristina Fenoglio Gaddò

Con l’avvicinarsi del 25 aprile e dell’80° Anniversario della Liberazione, si moltiplicano le iniziative per ricordarlo in modo efficace e non retorico. A Castellamonte, ultima di tre serate particolarmente interessanti, venerdì 11 aprile è stato proiettato il documentario “I Partigiani Alpini della VI G.L.” che la regista Anna Albertano ha dedicato alla formazione guidata da Gino Viano (il comandante Bellandy). In una lettera letta in apertura di serata da Maria Cristina Fenoglio Gaddò spiega gli intenti che hanno guidato il suo lavoro.

“La Resistenza canavesana – scrive – è stata sempre e solo raccontata per episodi isolati, slegati dal contesto. Ho voluto invece ripercorrerne la storia nel suo insieme, dall’inizio alla fine, basandomi per ogni azione od episodio su più fonti bibliografiche ed accompagnandola con fotografie e filmati in cui i volti dei partigiani si sovrappongono a luoghi e momenti salienti di quelle vicende.”

Il documentario è stato realizzato grazie al Fondo Archivio intitolato a Mario Ceretto, partigiano ed imprenditore cuorgnatese rapito ed ucciso dalla ‘Ndrangheta nel 1975, poche settimane prima delle Elezioni Amministrative, per essersi opposto alla sua infiltrazione nel Canavese. È stata una delle sue figlie, Luisa, ad occuparsi delle ricerche iconografiche, mentre l’introduzione è di Gianluca Stanzani, giornalista e critico cinematografico.

La presenza di Giustizia e Libertà, in questa parte d’Italia, fu fondamentale. Qui la Lotta di Liberazione – si è ricordato – fu davvero fenomeno di popolo e coinvolse anche molte donne, come i filmati documentano: se alla sfilata del 6 maggio 1945 a Torino si videro solo maschi, in quella successiva di Cuorgnè uomini e donne sfilarono insieme “altro segno delle caratteristiche che contraddistinsero la Divisione di Giustizia e Libertà del Canavese”.

In questo territorio eterogeneo, composto da poveri centri montani e da paesi industrializzati, si formarono subito dopo l’8 settembre le prime piccole bande ed una di esse era quella creata a Feletto da Mario Costa (detto “Il Diavolo Nero” per la sua abilità nelle azioni rapide ed infallibili) e da Gino Viano, di ritorno dal fronte francese, che mise a frutto l’esperienza maturata in guerra. Altri gruppi si formarono sopra San Colombano Belmonte, Ingria, Castellamonte, Pont, Fornolosa, Chiesanuova.

Il Comitato Antifascista di Cuorgnè, nato in precedenza e guidato dall’instancabile Gimmy Troglia, forniva supporto, aiutando gli sbandati e collegando fra loro le varie bande. C’erano ex-militari, ex-prigionieri di guerra inglesi e slavi, ebrei croati che tentavano di andare in Svizzera, e ragazzi che d’istinto rifiutavano di arruolarsi nell’esercito repubblichino.

Dopo la morte di Costa, Bellandy si spostò verso zone meno insicure ed approdò nella Valle di Ribordone ponendo il comando al Santuario di Prascondù. La storia di quella che diventerà la VI Divisione di Giustizia e Libertà è interessante per molti aspetti, non ultimo il buon rapporto che instaurò da subito con le popolazioni.

Nel documentario si ripercorrono le vicende della primavera-estate 1944, quando le sue file s’ingrossavano rapidamente e le aree controllate aumentavano; le battaglie dell’estate contro le soverchianti forze nazi-fasciste; i ripiegamenti successivi; la dura vita nell’autunno-inverno 1944-45, con la tragedia del Colle Galisia e le corvée verso la Francia liberata per accompagnarvi gli ex-prigionieri e tornare carichi di equipaggiamenti, armi, munizioni.

Ad un pubblico molto attento e coinvolto (anche se composto da ben pochi giovani) il documentario ha proposto aspetti noti e meno noti del movimento resistenziale canavesano e si è concluso con il discorso di commiato che Massimo Mila rivolse ai suoi compagni di lotta al momento di deporre le armi e di tornare alla vita civile. Ascoltare quelle parole, così come le poesie recitate da Davide Motto, nei momenti difficili che le democrazie di tutto il mondo stanno vivendo, avrà probabilmente provocato in molti qualcosa in più della normale emozione destata dalla Storia: il monito di Massimo Mila agli Uomini Liberi suona come un messaggio di scottante attualità.

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