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Sessualità in carcere: si parte con i colloqui intimi in 32 istituti, ma è polemica

Via libera ai primi spazi per l’affettività tra detenuti e partner. Il Dap definisce regole e limiti, ma i sindacati penitenziari attaccano: “Rischi sanitari e strutture inadeguate”

Sessualità in carcere

Sessualità in carcere: si parte con i colloqui intimi in 32 istituti, ma è polemica (foto di repertorio)

Dopo anni di dibattito e una storica pronuncia della Corte Costituzionale, la sessualità entra ufficialmente negli istituti penitenziari italiani. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha approvato le prime linee guida che regolano i colloqui intimi tra detenuti e i loro partner stabili, nel rispetto di un principio definito dalla Consulta come un “vero e proprio diritto soggettivo.

La misura prende avvio in via sperimentale in 32 istituti, tra cui Brescia, Trento, Bologna, Civitavecchia, Secondigliano a Napoli e Sollicciano a Firenze. Le nuove stanze dedicate saranno arredate con letto e servizi igienici, non saranno chiudibili dall’interno e saranno sottoposte a controllo esterno da parte della polizia penitenziaria, che vigilerà nel rispetto della privacy. La biancheria sarà portata al colloquio dalle persone autorizzate, mentre le operazioni di pulizia e sanificazione saranno affidate ad altri detenuti preposti.

Ogni incontro potrà durare al massimo due ore e potrà sostituire i tradizionali colloqui visivi. A usufruirne potranno essere esclusivamente il coniuge o la persona stabilmente convivente del detenuto, anche più di una volta al mese, in base a criteri di valutazione stabiliti caso per caso. La priorità sarà data ai detenuti che non godono di permessi premio o benefici simili, in particolare a coloro che stanno scontando pene lunghe o che sono reclusi da molto tempo. Saranno elementi di valutazione anche la buona condotta e le condizioni di sicurezza. Il beneficio sarà invece escluso per chi è detenuto in regime di 41-bis e per chi viene sorpreso con droga, telefoni cellulari o oggetti atti a offendere.

La misura, accolta come un passo avanti sul fronte dei diritti, si scontra tuttavia con forti limiti strutturali. Lo stesso ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha dichiarato che, su 189 istituti penitenziari, solo 32 dispongono di spazi potenzialmente idonei, mentre gli altri 157 hanno dichiarato di non avere ambienti adeguati, salvo pesanti interventi edilizi. Miracoli non ne possiamo fare”, ha commentato.

Ad opporsi con fermezza è l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, che ha chiesto il ritiro immediato della direttiva. Secondo il segretario Leo Beneduci, il provvedimento presenta rischi devastanti in termini igienico-sanitari, a fronte dell’assenza di protocolli di sanificazione specifici e di garanzie sulla salubrità degli ambienti. Il sindacato denuncia inoltre la mancanza di personale e di risorse adeguate, sottolineando come in molti istituti manchi persino l’acqua calda. Grave anche, secondo Beneduci, l’assenza di indicazioni sulla presenza di personale medico specializzato, “fondamentale in un contesto di intimità.

Il tema dell’affettività in carcere si conferma quindi delicato e complesso. Il provvedimento del Dap rappresenta un passaggio simbolico importante, ma mette in luce la distanza tra il riconoscimento di un diritto e la sua concreta attuazione. In un sistema penitenziario cronicamente afflitto da carenze strutturali, logistiche e di organico, garantire davvero la sessualità e l’intimità come dimensione della dignità umana resta, almeno per ora, un traguardo tutto da costruire.

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