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Lavoro
10 Aprile 2025 - 13:31
Imprese straniere in crescita a Torino: la nuova linfa dell'economia locale
Sono i nuovi imprenditori immigrati a tenere viva l’economia torinese. Dal 2013 al 2023, la città metropolitana ha perso oltre 30.000 imprese italiane ma ne ha guadagnate 9.313 a guida straniera, arrivando a 34.777 attività registrate da cittadini non italiani. A livello nazionale, Torino si piazza quarta dopo Milano (92.168), Roma (69.343) e Napoli. Un trend che ribalta gli stereotipi e che accende i riflettori su una realtà ignorata o sottovalutata: sono gli stranieri a scommettere sull’Italia, quando gli italiani chiudono.
Il dossier della CGIA di Mestre dal titolo eloquente – "Ad aprire le imprese sono rimasti solo gli stranieri. O quasi." – disegna un’Italia che cambia pelle. Lo conferma anche Dino De Santis, presidente di Confartigianato Torino: “Valorizzare queste imprese significa anche combattere lavoro nero e illegalità. Troppe volte le imprese regolari, italiane o straniere che siano, pagano il prezzo dell’irregolarità altrui”.
Non si tratta solo di numeri. L’imprenditoria straniera è in evoluzione, entra in nuovi settori, investe nella formazione e nella qualità. In Italia oggi 1 lavoratore su 10 è straniero, mentre il 6,5% dei lavoratori indipendenti è immigrato. Tra i più attivi ci sono romeni, cinesi, marocchini, albanesi e bengalesi. E secondo l’analisi di Confartigianato, il 21,3% del fabbisogno occupazionale previsto entro il 2028 sarà coperto da lavoratori stranieri.
La richiesta di De Santis è chiara: servono politiche d’integrazione, non di sola accoglienza. E le associazioni di categoria devono diventare ponte tra l’amministrazione e i nuovi imprenditori, offrendo strumenti formativi e assistenza all’avvio di attività. Perché aprire un’impresa non è solo una scelta economica: è una forma concreta di cittadinanza, di inclusione, di responsabilità.
Torino si ritrova così a essere laboratorio sociale: da un lato si svuota di aziende italiane, dall’altro si riempie di attività multiculturali. Il rischio? Non governare questo cambiamento. L’opportunità? Farne un modello virtuoso di coesione sociale ed economica. La sfida è già iniziata. E le saracinesche che si alzano ogni giorno con nomi stranieri ne sono la prova più concreta.
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