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Boom di agnello nel Torinese, ma gli allevatori non tengono il passo

Domanda in crescita, greggi sotto pressione e pastori introvabili: il paradosso della carne ovina in un Piemonte che rischia di perdere il suo patrimonio rurale e ambientale

Boom di agnello

Boom di agnello nel Torinese, ma gli allevatori non tengono il passo

Nel cuore del Piemonte, dove la pastorizia è storia e identità, si consuma un paradosso tutto contemporaneo: la carne d’agnello piace sempre di più, ma non c’è abbastanza prodotto locale per soddisfare la domanda. A lanciare l’allarme è Coldiretti Torino, che fotografa una realtà fatta di contraddizioni: mercato in espansione, ma greggi sotto pressione, pastori che mancano, territori sempre più ostili all’allevamento.

Il dato è chiaro: nel Torinese ci sono 38.750 ovini allevati da 516 aziende, con epicentro in val Pellice e nel Pinerolese. A livello regionale, il Piemonte conta 104.800 ovini e 55.631 capre distribuiti su quasi 4.000 aziende. Un patrimonio zootecnico che vale 30 milioni di euro, ma che oggi rischia la crisi proprio nel momento in cui potrebbe esplodere.

Perché la domanda cresce?
Il boom arriva soprattutto da nuove fasce di consumatori, cittadini di origine straniera – in particolare nordafricana, balcanica e mediorientale – che hanno portato in Piemonte le loro tradizioni culinarie a base di agnello e pecora. Una crescita costante, non legata solo al calendario pasquale, che però trova un’offerta locale incapace di stare al passo.

Il problema? È la montagna.
L’allevamento ovino ha bisogno del pascolo, e il pascolo ha bisogno di pastori. Ma oggi il mestiere del margaro non lo vuole più nessuno: vita dura, compensi scarsi, zero tutele. E a questo si aggiungono i divieti sui pascoli, la burocrazia, i sentieri chiusi, e il ritorno del lupo, che ogni anno decima le greggi, scoraggiando sempre più allevatori.

Consumo carne d'agnello

Eppure, l’allevamento ovicaprino svolge un ruolo ecologico essenziale. Le pecore mantengono le praterie alpine libere dalle piante invasive, prevengono gli incendi boschivi, frenano le valanghe grazie all’erba brucata che trattiene la neve. E poi c’è il lato meno noto ma fondamentale: la biodiversità. In provincia di Torino si allevano 7 razze ovine e 7 caprine, spesso autoctone, da latte, carne o lana. Razze che non esistono altrove e che rappresentano un patrimonio genetico e culturale da tutelare.

Dal punto di vista nutrizionale, l’agnello offre proteine nobili (25g su 100g), ma anche sodio, potassio, ferro e magnesio. È una carne leggera, adatta anche alle diete sportive. Ma al di là dei numeri, resta un simbolo identitario, legato alle tavole delle feste, alle tradizioni contadine e, oggi, a un melting pot gastronomico che arricchisce il territorio.

“Scegliere agnelli a Km Zero – sottolinea Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino – vuol dire sostenere chi difende le montagne e tiene vive le radici”.

Ma servono anche politiche serie. Serve formazione per i giovani pastori, incentivi per chi presidia i pascoli, e un piano di difesa delle greggi compatibile con la presenza del lupo. Altrimenti, anche questa volta, vincerà l’importazione a basso costo, a scapito di qualità, ambiente e lavoro.

Perché un agnello locale non è solo un piatto: è l’anello di una catena che tiene insieme la montagna, la cultura e la biodiversità. E una volta spezzata, non si ricostruisce più.

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