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Sempre meno medici di base: la sanità territoriale in affanno

Carenze strutturali, territori difficili e pochi giovani in formazione aggravano la crisi delle cure primarie

Sempre meno medici di base

Sempre meno medici di base: la sanità territoriale in affanno (foto di repertorio)

Nelle zone più remote d’Italia, dove la prossimità e la continuità delle cure rappresentano un presidio essenziale per la salute, il medico di famiglia è sempre più un miraggio. La situazione è diventata critica in alcune aree dell’Abruzzo, delle Marche, del Molise e dell’Umbria, dove interi comuni montani e aree interne sono già privi di medici di Medicina Generale. A lanciare l’allarme è il X Congresso interregionale della Società Italiana dei Medici di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), che si svolgerà il 4 e 5 aprile a Colli del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno.

Nel silenzio delle zone rurali, lontane dai riflettori delle grandi città, si consuma un vuoto assistenziale che rischia di diventare strutturale. I dati raccolti dai territori parlano chiaro: in Italia centrale si registra la maggior criticità a livello nazionale. Qui, un solo medico spesso deve coprire territori vastissimi, con comuni distanti anche un’ora tra loro, riuscendo a garantire solo un numero limitato di visite quotidiane. Il problema si aggrava in contesti con un elevato numero di anziani, dove la Medicina generale è spesso l’unico punto di riferimento per la salute.

Le cause sono molteplici. Secondo Italo Paolini, presidente del Congresso e segretario Simg Marche, serve una riforma strutturale che equipari la formazione dei medici di base a quella delle altre specializzazioni universitarie, accompagnata da una maggiore dotazione di strumenti diagnostici e personale sanitario. A suo dire, la tanto attesa riforma delle Case di comunità rischia di fallire: «Non può essere la risposta se si limita ad accorpare più comuni in un’unica sede, sacrificando la capillarità dell’assistenza».

L’Abruzzo è un esempio emblematico. La regione presenta una percentuale elevatissima di comuni montani (54,4%), in cui risiede oltre un quarto della popolazione. Vi vivono anche 595 ultracentenari, molti dei quali senza medico di famiglia. Ma il dato più allarmante riguarda la formazione: tra il 2018 e il 2023, dei 197 posti disponibili per il corso di Medicina generale, solo 123 medici hanno conseguito il diploma. «Stiamo assistendo a uno spopolamento delle zone interne e a un trasferimento dei professionisti verso le città», denuncia Gabriella Pesolillo, segretario Simg Abruzzo.

Nel Molise, seconda regione meno popolata d’Italia, il problema è duplice: da un lato una popolazione anziana e distribuita in micro-comuni, dall’altro una classe medica con un’età media superiore ai 65 anni. «Nel giro di 3-4 anni – avverte Domenico Castaldi, segretario Simg Molise – potremmo ritrovarci in una situazione analoga a quella già critica di altre regioni». A complicare il quadro c’è il fatto che il Molise è da anni una regione commissariata, condizione che spinge molti giovani clinici a cercare opportunità altrove.

In Umbria, la disponibilità di medici di famiglia si presenta in maniera disomogenea: nessuna criticità nelle città, ma importanti carenze nelle aree rurali. Un altro segnale preoccupante arriva dai corsi di formazione: «Su circa 40 posti, si iscrivono in media solo la metà dei candidati», afferma Pietro Tasegian, segretario Simg Umbria. Un gap che rischia di ampliare ancora il divario tra fabbisogno e disponibilità di personale medico.

A fronte di questi dati, la riforma del sistema sanitario territoriale appare non più rinviabile. La carenza di medici di base non è solo un’emergenza professionale, ma un problema strutturale che tocca la tenuta del servizio sanitario nazionale, la coesione sociale e il diritto alla salute nelle zone più fragili del Paese. Serve un intervento coordinato, che coinvolga istituzioni, università e Regioni, per garantire formazione, incentivi, supporto logistico e professionale ai medici che scelgono di operare nei territori più isolati. In gioco non c’è solo la sanità, ma la sopravvivenza stessa delle comunità locali.

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