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19 Marzo 2025 - 16:19
Se non fosse una questione serissima, si potrebbe quasi pensare a uno scherzo. Nel cuore dell’area di ripopolamento e cattura (Zrc) della Collina torinese, ai margini della zona di restrizione per la Peste Suina Africana (Psa), qualcuno ha ben pensato di autorizzare un’esercitazione per segugi da cinghiale in terreno libero. Una decisione che ha lasciato di stucco agricoltori e allevatori del Chierese, impegnati da anni in una lotta estenuante per arginare il contagio che minaccia la filiera suinicola.
A sollevare la polemica è Stefano Rossotto, presidente provinciale di Cia Agricoltori delle Alpi, che non nasconde la propria indignazione: “Sarebbe come se, nel pieno dell’emergenza Covid, fosse stato consentito organizzare eventi di massa nelle discoteche a ridosso della ‘zona rossa’. Semplicemente assurdo”.
Stefano Rossotto
Il virus della Peste Suina Africana si diffonde con i cinghiali. Su questo, ormai, non ci sono dubbi. E da tre anni si tenta di contenerlo con abbattimenti, limitazioni alla mobilità della fauna selvatica e misure rigorose per impedire il contatto con gli allevamenti. Ma evidentemente, per qualcuno, tutto questo è solo teoria: via libera, dunque, a una manifestazione che ha il solo scopo di far divertire gli appassionati di caccia con i loro cani.
Tutti sanno quali danni causerebbe il contagio negli allevamenti del Chierese – insiste Rossotto – eppure si autorizzano iniziative che aumentano il rischio, come se nulla fosse.
L’evento finito nel mirino è la verifica zootecnica per cani da seguita su cinghiale, svoltasi sabato e domenica scorsi nella Zrc della Collina torinese e promossa dall’Unione segugisti piemontesi. Un’iniziativa che, secondo Cia Agricoltori delle Alpi, avrebbe dovuto essere bloccata senza esitazioni.
Rossotto, nei giorni precedenti alla manifestazione, aveva inviato una lettera ufficiale agli assessori regionali Federico Riboldi (Sanità) e Paolo Bongioanni (Agricoltura), oltre che alla dirigente dell’Unità specializzata Tutela Flora e Fauna della Città Metropolitana di Torino, Elena Di Bella, per chiedere la sospensione dell’evento. Nella missiva si leggeva chiaramente: “Considerate tutte le disposizioni che gli allevamenti suinicoli devono rispettare per prevenire la diffusione della Psa, appare quanto mai inopportuno che attività ludico-sportive si possano svolgere rischiando di vanificare gli sforzi compiuti per evitare ulteriori contagi”.
Ma l’appello è caduto nel vuoto. L’esercitazione si è svolta come da programma, con buona pace delle preoccupazioni degli allevatori e di chi, ogni giorno, deve fare i conti con le conseguenze di una gestione discutibile della fauna selvatica.
Il caso della Zrc della Collina torinese è solo l’ennesima dimostrazione di un problema che si trascina da anni. La popolazione dei cinghiali è fuori controllo, con danni incalcolabili per le aziende agricole e una diffusione del virus che rischia di mettere in ginocchio l’intero comparto suinicolo. A Sciolze, uno dei comuni coinvolti, il sindaco ha manifestato la sua esasperazione per una situazione sempre più insostenibile. Rossotto, dopo un confronto con il primo cittadino, ha ribadito la necessità di soluzioni concrete e immediate, avanzando una proposta chiara: abolire la Zona di ripopolamento e cattura e attivare i selettori per ridurre drasticamente il numero dei cinghiali.
“Capisco la frustrazione del sindaco – conclude Rossotto – ma il problema va risolto alla radice. Bisogna agire subito con un piano di depopolamento serio ed efficace, non certo con esercitazioni cinofile fini a se stesse”.
La battaglia, ora, si sposta a livello istituzionale. Gli agricoltori e Cia Agricoltori delle Alpi chiedono un intervento immediato della Regione e della Città Metropolitana per mettere fine a questa gestione “schizofrenica” della crisi legata alla Peste Suina Africana. Da un lato si impongono vincoli rigidissimi agli allevamenti, dall’altro si autorizzano attività che favoriscono la diffusione del virus. Se la situazione dovesse sfuggire definitivamente di mano, il rischio è quello di un danno economico devastante per il settore agricolo piemontese. E allora, chi pagherà il conto?
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