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12 Marzo 2025 - 09:25
“Per una Palestina libera dal fiume al mare”: polemica sull’Università di Torino
I quotidiani nazionali hanno dato un considerevole rilievo alla decisione del Dipartimento di Cultura Politica e Società dell’Università di Torino presa il 26 febbraio. Ne abbiamo già scritto una decina di giorni fa.
Cosa è accaduto il 26 febbraio all’Università? Il consiglio del Dipartimento ha deliberato di recedere dagli accordi di collaborazione con l’Università Ben Gurion di Gerusalemme. Decisione assunta a grande maggioranza: 57 a favore della rescissione, 17 contrari, 6 astenuti. L’iniziativa era partita dagli studenti: il collettivo Bonobo ha presentato una mozione per chiedere l’interruzione dei rapporti con l’università israeliana, e gli accademici l’hanno approvata.
Ci siamo messi subito alla ricerca della deliberazione: volevamo informare i lettori delle motivazioni della decisione e dei nomi dei professori e ricercatori che l’hanno sottoscritta. La nostra non è una curiosità da gossip: quello è stato per anni il Dipartimento di Norberto Bobbio, che talvolta nei media viene indicato come il maggior intellettuale italiano del Secondo Novecento. Ci incuriosiva conoscere i nomi di professori che sono stati allievi di Bobbio, o allievi degli allievi. Bene, quella delibera non siamo ancora riusciti a trovarla: l’albo pretorio centrale dell’Università di Torino non l’ha ancora pubblicata, benché risalga al 26 febbraio e benché siano già state pubblicate delibere approvate il 7 marzo.
Abbiamo contattato il Dipartimento sia telefonicamente sia con email: nessuna risposta. Gli interni che il centralinista ci passava squillavano a vuoto. Alla fine dal Dipartimento ci è giunta una curiosa risposta: la nostra delibera chiedetela al Bonobo, il collettivo di studenti che aveva presentato la mozione. Ma nei siti e nei profili Facebook del Bonobo non si trova né un numero di telefono né un indirizzo di posta elettronica. Un bunker, o un tunnel. Su un loro profilo Facebook abbiamo cortesemente chiesto loro di farci avere il documento: nessuna risposta. Però, andando indietro nel profilo, abbiamo trovato, datato 26 febbraio, una sorta di comunicato che annuncia il successo conseguito in Consiglio di Dipartimento. Lo riportiamo integralmente alla fine di questo articolo.
Lasciamo perdere l’italiano stentato del comunicato, che pur ci fa domandare: ma che li mandiamo a fare all’Università? Per imparare l’italiano non basta andare a scuola fino ai 14 anni? Sospendiamo per ora anche il giudizio sulle motivazioni: sulla questione israelo-palestinese ci sono in Italia e nel mondo opinioni contrastanti, tutte legittime. Il dibattito è accanito. C’è chi è sconvolto dalle immagini che giungono da Gaza e incolpa di tutto gli israeliani. C’è invece chi, soprattutto dopo la strage del 7 ottobre, teme per la sorte degli ebrei israeliani, otto milioni in uno staterello grande come la Lombardia, circondato da popoli ostili che contano centinaia di milioni.
Dunque, di fronte a questa tragedia, lasciamo perdere il comico ma innocuo italiacano degli studenti. Ma non lasciamo perdere per nulla la frase finale, che è agghiacciante: “Per una Palestina libera dal fiume fino al mare”. Agghiacciante perché si sa cosa vuole dire nel linguaggio dei combattenti islamisti e in quello dei cortei pro-Palestina nostrani. Liberare la Palestina “dal fiume al mare”, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, significa distruggere tutto lo Stato di Israele con i suoi dieci milioni di abitanti, 8 milioni di ebrei e 2 milioni di arabi. Significa farli fuggire o probabilmente ucciderli: dal Giordano al mare c’è una distanza di meno cento chilometri. Un miliziano di Hamas in motocicletta, pur fermandosi ogni tanto a sparare e prendere ostaggi, ci mette poche ore a percorrere la stretta fascia di territorio “dal fiume al mare”. E non sarebbe facile mettere in salvo in fretta sette - otto milioni di ebrei. Non si saprebbe nemmeno dove portarli.
Qualunque cosa si pensi di Gaza, un’operazione militare islamista dal fiume al mare sarebbe un massacro di ebrei, un 7 ottobre moltiplicato per mille. Una nuova Shoah, un nuovo sterminio degli odiati “ebrei”. Una concorrenza a Hitler, addirittura un successo rispetto ai nazisti del Terzo Reich, che ne avevano passati per il camino solo sei milioni. È anche questo che vogliono i 57 professori e ricercatori del Dipartimento di Cultura Politica e Società dell’Università di Torino?
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