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San Pietro ha bisogno di 300 mila euro. L'appello di Don Antonio

San Pietro e San Vincenzo restano escluse dalla comunità energetica di Settimo Torinese. Don Antonio Bortone tra speranze e problemi strutturali: "Magari riuscissimo ad abbassare i costi dell’energia…". Intanto, la Chiesa si trasforma in un operatore energetico locale. Ma sarà davvero un miracolo?

Don Antonio

Don Antonio

Ha letto il nostro articolo sulla Comunità energetica di Settimo Torinese e ha deciso di chiamarci. Per mettere i puntini sulle "i", per chiarire un aspetto non secondario della questione. È vero! San Pietro è il patrono della città, ma quando si parla di “comunità energetica”, le chiese di San Pietro in Vincoli e di San Vincenzo De Paoli restano escluse. A sottolinearlo è don Antonio Bortone, parroco di entrambe.

"Si tratta di un percorso piuttosto lungo, in ogni caso io non sono coinvolto... Magari riuscissimo ad abbassare i costi dell’energia elettrica... Non sono scettico. Avremo la possibilità di aderire alla CER, ma chissà tra quanti anni. Speriamo per il futuro", racconta il sacerdote, lasciando trapelare un misto di speranza e realismo. 

Per ora, l’intera operazione, nata sotto l’egida della Diocesi di Torino e della Pastorale Sociale e del Lavoro, sarà limitata e vedrà come capofila la parrocchia di Santa Maria Madre della Chiesa, guidata da don Stefano Bertoldini, includendo anche San Giuseppe Artigiano, retta da don Giuseppe Martino. 

Si tratta comunque di un primo passo concreto verso la transizione ecologica, almeno per le parrocchie coinvolte. Non più solo Messe e sacramenti, dunque, ma anche kilowatt e sostenibilità. L’idea è di trasformare le chiese in piccoli centri di produzione e redistribuzione energetica, creando un modello alternativo che coniughi risparmio economico e rispetto per l’ambiente. Un progetto ambizioso che, per ora, lascia fuori alcune realtà.

Ma se da una parte don Antonio osserva con interesse l’iniziativa, dall’altra ha ben altre emergenze da affrontare.

La chiesa di San Pietro in Vincoli, infatti, porta ancora addosso le ferite di un crollo avvenuto nel 2019, quando una parete cedette a causa di un dissesto statico, rendendo l’edificio inagibile. Una tragedia sfiorata: nessun ferito, ma il simbolo di una comunità messo in ginocchio. I vigili del fuoco intervennero per mettere in sicurezza l'area, e da allora sono iniziati i lunghi e costosi lavori di restauro.

San Pietro in vincoli

Nel novembre 2021, lo stesso don Antonio Bortone segnalava l'apertura di una nuova crepa all’altezza dell’altare, prolungando l’inagibilità dell’edificio. I lavori di consolidamento, con l'installazione di micropali per stabilizzare la navata, richiesero ulteriori mesi. 

Non è solo la chiesa a pesare sulle spalle della parrocchia. Per aprire servono autorizzazioni e quando si chiedono arrivano le richieste di “messa in sicurezza”. Morale? Servono almeno 300 mila euro per sistemare l’oratorio. 

"Abbiamo già speso molto per il tetto, per l’abside sprofondato di circa 5 centimetri e oggi tenuto su da 60 micropali di 15 metri. Solo i ponteggi ci sono costati 100 mila euro", racconta il parroco. 

"Dobbiamo ringraziare alcuni donatori. Dal Ministero abbiamo ricevuto dei contributi (pochi) per le opere murarie e dal Comune qualcosina nell’ambito degli stanziamenti obbligatori per gli edifici di culto...".

Poca roba, se si pensa che dal 2019 ad oggi, tra interventi di sicurezza, restauro e manutenzione, la spesa ha superato i 3 milioni di euro.

A dare respiro alla comunità c'era don Pino, il predecessore di don Antonio, che aveva lasciato un piccolo tesoretto. Ma quei fondi sono quasi esauriti. Giusto per dare alcuni numeri. Solo per la casa parrocchiale, tra messa a norma, ottimizzazione degli spazi e ristrutturazione, sono stati spesi più di 600 mila euro, mentre l’abside ha richiesto un investimento di 180 mila euro.

E poi il colpo di scena: mentre si lavorava per sistemare la casa parrocchiale, è crollato anche il tetto di San Pietro.  

Un altro intervento urgente. Altri 300 mila euro.  E come se non bastasse, si è dovuto intervenire pure su un pezzo del campanile.

Tornando alle CER (Comunità ernegetiche) e per chi non ne avesse mai sentito parlare, si tratta un sistema di produzione e condivisione dell’energia, in cui diversi soggetti – famiglie, enti, aziende – si uniscono per produrre, consumare e scambiarsi energia rinnovabile a livello locale. In questo caso, le parrocchie fungono da cuore pulsante della comunità energetica, ospitando gli impianti fotovoltaici sui loro tetti e mettendo a disposizione l’energia prodotta. Quella che non viene consumata direttamente dalla parrocchia viene redistribuita ai membri della CER, garantendo risparmi sulle bollette e una minore dipendenza dal mercato dell’energia.

I vantaggi, sulla carta, sono evidenti: energia pulita, riduzione delle emissioni di CO₂, coinvolgimento attivo dei cittadini e, soprattutto, una bolletta meno salata per chi aderisce al progetto. In un periodo in cui il costo dell’energia è diventato un incubo per molte famiglie, l’idea di ottenere elettricità a prezzi calmierati grazie ai pannelli solari della chiesa potrebbe sembrare quasi un intervento divino. Ma sarà davvero così?

Secondo don Paolo Mola, responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi, il progetto non è solo un gesto simbolico, ma un atto concreto per rispondere alla crisi economica e ambientale. «Le comunità energetiche sono una forma di condivisione che rispecchia i valori della Chiesa. Condividere l’energia significa ridurre le disuguaglianze e prendersi cura del Creato, proprio come ci invita a fare Papa Francesco», spiega il sacerdote.

Le prime Comunità energetiche rinnovabili nasceranno in quattro parrocchie: Piossasco, Settimo Torinese, Villarbasse e Torino. 

L’obiettivo è ambizioso: creare una rete di comunità energetiche che coinvolga sempre più fedeli, ampliando il modello a tutto il territorio.

L’iniziativa è gestita dalla Fondazione di Partecipazione Laudato Sì ETS, un ente costituito di recente per coordinare il progetto e garantire il funzionamento delle CER ecclesiastiche. La fondazione si occuperà della gestione operativa, dell’installazione degli impianti e del monitoraggio della produzione energetica.

Ma come funziona, in concreto, la redistribuzione dell’energia? Il sistema prevede che i cittadini e le attività che aderiscono alla comunità energetica possano usufruire dell’energia in eccesso prodotta dai pannelli solari delle chiese. Grazie a una piattaforma digitale, la produzione e il consumo verranno monitorati in tempo reale, garantendo che l’energia sia assegnata in modo equo tra i membri della CER. Il tutto con il sostegno di incentivi statali, che rendono il progetto economicamente vantaggioso per tutti i partecipanti.

Naturalmente, non tutti vedono questa iniziativa come una pura manifestazione di altruismo. Alcuni osservatori si chiedono se la Chiesa stia davvero abbracciando l’ecologia per vocazione o se sia anche un’abile operazione di riposizionamento in un mondo sempre più sensibile ai temi ambientali. In fondo, la transizione ecologica è un argomento di tendenza e posizionarsi come promotori di energie rinnovabili può essere anche un modo per riavvicinare una parte della popolazione che guarda con diffidenza alle istituzioni religiose.

Le perplessità non si fermano qui. Chi gestirà realmente queste comunità energetiche? La Chiesa diventerà un piccolo operatore energetico locale? E soprattutto, ci sarà una decima sulle bollette o basterà la solita offerta domenicale? Per ora, non ci sono risposte definitive, ma i promotori assicurano che la gestione sarà trasparente e partecipativa, senza fini di lucro.

Al di là delle possibili letture più scettiche, resta il fatto che la nascita della prima comunità energetica basata sulle chiese è un segnale importante. Se funzionerà, potrebbe diventare un modello replicabile in altre città italiane, spingendo altre diocesi a intraprendere la stessa strada.

Insomma a Settimo Torinese è in corso una rivoluzione. Ma non aspettatevi miracoli o apparizioni divine: stavolta è la Chiesa che scende in campo con una soluzione molto più terrena.

In un’epoca in cui le bollette sembrano ascese al cielo più velocemente delle anime dei santi, e le famiglie arrancano tra aumenti e rincari, ecco la nuova idea: una comunità energetica rinnovabile (CER) basata sulle parrocchie. I tetti delle chiese, un tempo simbolo esclusivo di preghiera e raccoglimento, si trasformano in piattaforme fotovoltaiche che generano energia pulita da redistribuire tra i fedeli.

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