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La Diana colpisce ancora: la verità sul Carnevale di Ivrea e i soldi persi

Mentre altri Carnevali incassano finanziamenti con storie discutibili, Ivrea resta al palo. Francesco Gioana e La Diana smascherano l’ennesimo autogol eporediese

Francesco Gioana

Francesco Gioana

Sta per arrivare, e già si sentono nell’aria l’odore della carta patinata, il fruscio delle pagine e il suono inconfondibile della verità sbattuta in faccia. La Diana è pronta a tornare, con la sua edizione numero 33 – proprio come gli anni di Cristo, ma qui nessuno fa miracoli. L’unica rivista eporediese che può dirsi davvero carnascialesca, l’unica che non si piega alla retorica e che sa distinguere tra doc, gnoc, demi e chiacchiere. E stavolta ha un obiettivo chiaro: svegliare gli addormentati della politica e non solo.

A lanciare la sveglia – più forte di una sveglia della Fonderia di Campane di Agnone – è l’autore più autorevole, Francesco Gioana, che con il tatto di un carro da battaglia anticipa d’aver scritto nero su bianco ciò che è sotto gli occhi di tutti.

“Bene, anzi benissimo. Con la mozione approvata in Consiglio comunale, pare che finalmente anche i politici abbiano scoperto l’acqua calda: se non si racconta la “Storia” giusta del Carnevale, si perdono soldi e prestigio, relegandolo al livello di una festa paesana ottocentesca. Ma la verità è che quasi tutti (anzi, tutti) i politici sanno poco o nulla della storia del Carnevale e non si prendono nemmeno la briga di informarsi. Così parlano senza conoscerne la realtà, ciò che di storico c’è, cosa e come va raccontato, ipotizzando nuove ricerche al più alto livello universitario possibile e indagini sugli Archivi comunali e diocesani, come se nessuno li avesse mai analizzati e consultati. Beh, ho fatto presente che c’è un eporediese, dottore in ricerca, che ha collaborato e collabora con l’Università di Torino e con diversi suoi professori in progetti editoriali, passati e presenti, e che dal 1976, per quasi cinquant’anni ha analizzato e ricercato materiale in quei due archivi (ma anche in tanti altri) per poter scrivere non pochi libri e articoli sulla storia eporediese e sullo Storico Carnevale di Ivrea: è qui e si chiama Franco Quaccia (e scrive anche su La Diana). Quando quei professori vogliono sapere qualcosa su Ivrea/Eporedia, la storia della chiesa e del Carnevale, vanno da lui.”

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Tradotto in parole povere: mentre altrove fanno a gara a chi si inventa l’antenato più nobile per accaparrarsi finanziamenti, a Ivrea in questi anni si è continuato a coltivare l’arte del far finta di niente. La scoperta che il Carnevale eporediese non è nato nel 1808, come qualche genio ha voluto fissare nel 2008, è arrivata con decenni di ritardo. Peccato che nel frattempo Santhià e Verona si sono portate avanti e hanno trovato il modo di vendere la loro storia meglio di un telemarketing di pentole.

Per chi non avesse seguito le puntate precedenti, la situazione è questa: il Carnevale di Ivrea ha radici medievali, ma nel 2008 il segretario del Consorzio, Elvio Gambone, decise – senza sentire nessuno, ovviamente – di festeggiare la 200ª edizione, decretando per tutti che il Carnevale fosse nato nel 1808. Il risultato? Ivrea è rimasta fuori dalla corsa ai finanziamenti, mentre altre città – con una bella narrazione “storica” e alcuni documenti molto discutibili – si sono portate a casa cifre da capogiro.

E i numeri parlano chiaro: Santhià, con la sua presunta tradizione quasi “millenaria”, si è intascata 191.000 euro, mentre Ivrea è stata liquidata con 58.181 euro, giusto per pagare qualche bolletta. Ma la vera perla è la ripartizione della Regione Piemonte: 37.500 euro a Borgosesia, 35.000 a Santhià e... 16.941 a Ivrea. Meno di quello che danno agli Asini di Alba e poco più del budget degli Spazzacamini.

“Il dato di fatto è che nessuno del Comune o della Fondazione ci ha mai dato retta (anche dopo la Tavola rotonda sul tema, organizzata nel 2022) e non se n’è mai preoccupato quanto avrebbe dovuto”, sentenzia Gioana.

Mentre gli altri Carnevali si accaparrano i fondi a suon di racconti storico-leggendari e come pezze d’appoggio indicano testi e citazioni messi su Wikipedia (non certificati), a Ivrea si continua a discutere di Mugnaie, Generali, Ufficiali dentro e fuori, come se fosse più importante chi stringe la sciabola piuttosto che chi stringe la cassa del Ministero della Cultura. Altrove si riscrivono le cronache con l’inchiostro dorato delle sovvenzioni, qui si rimane a litigare sulla filologia dell’Aranceri.

Eppure le connessioni storiche ci sono, e anche i non pochi riconoscimenti dell’anzianità della nostra festa e della sua continuità nel tempo da parte di Medievisti di fama.

“Ma mentre altrove esaltano leggenda e fatti anche non direttamente legati al carnevale, come se lo fossero, - sentenzia Gioana - qui la documentazione vera rimane chiusa nelle pagine dei libri (e della nostra rivista), ignorata da chi dovrebbe portarla a Roma e battere cassa...”

Il rimedio sarebbe semplice: usare ciò che già esiste, far valere le prove e tutto il contorno significativo, smetterla di dormire e cominciare a giocare la partita come gli altri Carnevali.

“Perché se a Santhià sono riusciti a vendere una tradizione basata su un manoscritto del 1348, visto da un solo “storico”, ma andato perduto e un “richiamo” con multa del 1430 a un tizio che vestiva un asino da prete (documento citato senza luogo e collocazione), allora Ivrea può tranquillamente fare di meglio…”

Dopo anni di sonno profondo, qualcuno pare essersi svegliato. Ma il dubbio della redazione di La Diana resta: sarà la volta buona o ci ritroveremo ancora una volta con il cappello in mano e il portafoglio vuoto?

La Diana numero 33 è pronta. E questa volta non lascerà scampo a nessuno. 

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