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Sanità in crisi: l’esodo degli infermieri mette a rischio il sistema sanitario nazionale

Oltre 20mila infermieri lasciano il servizio pubblico: le cause di una crisi senza precedenti

Sanità in crisi

Sanità in crisi: l’esodo degli infermieri mette a rischio il sistema sanitario nazionale

La sanità italiana è in emergenza: migliaia di infermieri stanno abbandonando il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), lasciando un vuoto che rischia di compromettere l’assistenza ai pazienti. Il fenomeno dell’esodo degli operatori sanitari è in continua crescita, spinto da condizioni di lavoro sempre più dure, stipendi bassi e turni massacranti. Secondo i dati forniti dal sindacato Nursing Up, tra il 2021 e il 2022, più di 15.000 infermieri hanno lasciato il sistema pubblico, e il trend continua ad aumentare.

Non si tratta solo di pensionamenti: oltre il 20% degli infermieri ha deciso di abbandonare completamente la professione, scegliendo lavori in altri settori o trasferendosi all’estero, dove stipendi e condizioni lavorative sono nettamente migliori. Il burnout, la mancanza di riconoscimento professionale e l’assenza di prospettive stanno spingendo gli operatori sanitari lontano dal SSN, lasciando ospedali e ambulatori sguarniti.

Perché gli infermieri lasciano il SSN?

Le cause principali di questo esodo sono strutturali e si trascinano da anni. Le principali problematiche denunciate dai lavoratori del settore includono:

  • Retribuzioni inadeguate: lo stipendio medio di un infermiere in Italia è di 1.500-1.700 euro al mese, nettamente inferiore rispetto a quello di altri paesi europei come la Germania (3.000 euro) o la Svizzera (4.500 euro).
  • Carichi di lavoro insostenibili: turni massacranti, spesso di 12 ore consecutive, con un numero di pazienti sempre più alto per ogni operatore.
  • Mancanza di personale: i pochi infermieri rimasti sono costretti a lavorare sotto organico, con conseguenze pesanti sulla qualità dell’assistenza.
  • Poche prospettive di crescita: le possibilità di avanzamento di carriera sono limitate, e gli incentivi economici per chi lavora in pronto soccorso o reparti critici sono minimi.
  • Stress e burnout: la pressione psicologica e fisica porta molti infermieri a lasciare la professione per preservare la propria salute mentale e fisica.

Secondo un recente sondaggio di Nursing Up, il 60% degli infermieri italiani lascerebbe il lavoro se ne avesse la possibilità, e il 90% ritiene di non ricevere un’adeguata valorizzazione rispetto all’impegno richiesto.

Il Piemonte è una delle regioni più colpite dalla carenza di personale sanitario. Il fenomeno dell’esodo sta mettendo in crisi grandi ospedali come il Molinette di Torino, il Sant’Andrea di Vercelli e il Maggiore della Carità di Novara. I reparti di pronto soccorso, terapia intensiva e medicina generale sono tra i più in sofferenza, con turni scoperti e lunghe liste d’attesa per l’assistenza.

Secondo i dati forniti dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), negli ultimi due anni il Piemonte ha perso oltre 1.500 infermieri, costringendo molte strutture a chiudere posti letto per mancanza di personale. In alcune aree, i tempi di attesa per un ricovero sono aumentati di oltre il 30%, mentre i pronto soccorso faticano a garantire un’assistenza tempestiva.

A Torino, numerosi infermieri hanno scelto di passare al settore privato, dove gli stipendi sono leggermente più alti e le condizioni meno stressanti. Altri si sono trasferiti in Svizzera o in Francia, dove gli stipendi sono il doppio rispetto a quelli italiani e le condizioni di lavoro migliori.

Esodo degli infermieri

Le ripercussioni per i pazienti e per il sistema sanitario

L’abbandono del Servizio Sanitario Nazionale da parte degli infermieri sta già avendo effetti devastanti sia sui pazienti che sull’intero sistema sanitario. Una delle conseguenze più evidenti è l’aumento delle liste d’attesa: con meno personale a disposizione, i tempi per visite, esami e ricoveri si allungano, mettendo seriamente a rischio la salute dei cittadini, soprattutto di quelli più fragili.

Un altro problema riguarda il collasso dei pronto soccorso, dove la carenza di operatori costringe sempre più ospedali a chiudere temporaneamente alcuni reparti d’urgenza, con il risultato che i pazienti devono essere dirottati altrove, spesso con attese estenuanti. La qualità dell’assistenza ne risente pesantemente: turni massacranti e reparti sotto organico rendono impossibile per gli infermieri garantire cure adeguate, aumentando così il rischio di errori e disservizi.

A pagarne le conseguenze non sono solo i pazienti, ma anche i lavoratori rimasti nel SSN, che devono farsi carico di un sovraccarico di lavoro crescente. Con meno colleghi a supportarli, il livello di stress diventa insostenibile e il rischio di burnout e dimissioni continua a crescere, alimentando un circolo vizioso che indebolisce ulteriormente il sistema sanitario pubblico.

A pagare il prezzo più alto di questa crisi sono i pazienti, soprattutto anziani, malati cronici e persone con patologie complesse, che vedono ridursi la possibilità di ricevere cure tempestive ed efficaci.

Per arginare questa emergenza, servono interventi immediati da parte delle istituzioni. Una delle soluzioni più urgenti riguarda gli aumenti salariali, per adeguare gli stipendi italiani a quelli europei ed evitare che sempre più infermieri scelgano di lasciare il Paese in cerca di migliori condizioni economiche. Parallelamente, è fondamentale un potenziamento delle assunzioni, riducendo il precariato e stabilizzando i contratti di chi opera nel settore sanitario, così da garantire maggiore continuità e sicurezza lavorativa.

Un altro aspetto cruciale è il miglioramento delle condizioni di lavoro, con la necessità di alleggerire i carichi e rendere i turni più sostenibili, evitando situazioni di sovraccarico che portano molti professionisti al burnout. Infine, servono incentivi mirati per chi lavora nei reparti più critici, come il pronto soccorso e la terapia intensiva, riconoscendo economicamente l’impegno e le difficoltà di chi opera in prima linea. Solo con un piano concreto e strutturato sarà possibile arginare l’emorragia di personale sanitario e garantire ai cittadini un servizio pubblico efficiente e di qualità.

Senza un piano concreto per contrastare l’esodo, il rischio è che il SSN collassi, lasciando milioni di cittadini senza un’adeguata assistenza sanitaria. La crisi degli infermieri non è più un problema del futuro, ma un’emergenza che sta già avendo conseguenze gravissime sul presente.

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