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Lavoratori in rivolta: sciopero in tutta Italia contro il nuovo contratto “al ribasso”

Protesta a Torino: lavoratori dei call center in sciopero contro il nuovo contratto considerato peggiorativo

Call center in rivolta

Call center in rivolta: sciopero in tutta Italia contro il nuovo contratto “al ribasso”

La protesta dei lavoratori dei call center si è trasformata in un’ondata di scioperi in tutta Italia. Nella giornata del 3 febbraio, migliaia di dipendenti hanno incrociato le braccia per contestare il nuovo contratto collettivo nazionale firmato da Assocontact e il sindacato Cisal, considerato dai lavoratori non rappresentativo e fortemente penalizzante.

Presidi e manifestazioni si sono svolti in diverse città, da Milano a Cagliari, passando per Forlì e Crotone. Le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil hanno proclamato lo sciopero generale per contrastare l’applicazione forzata del nuovo contratto da parte di numerose aziende, che hanno scelto di disdire il precedente CCNL delle Telecomunicazioni per aderire alle nuove condizioni imposte da Assocontact. Una decisione che, secondo i sindacati, colpisce duramente circa 6.000 lavoratori in tutta Italia, senza contare un numero imprecisato di precari con contratti di collaborazione.

Le ragioni della protesta

Le principali critiche al nuovo contratto riguardano tre aspetti fondamentali:

  • Riduzione delle tutele: i lavoratori denunciano la diminuzione dei permessi retribuiti, delle garanzie in caso di malattia e degli strumenti di protezione dai licenziamenti ingiustificati.
  • Salari troppo bassi: il nuovo contratto prevede aumenti salariali minimi, ritenuti del tutto insufficienti a contrastare il carovita e la precarietà economica.
  • Maggior precarietà: secondo i sindacati, il passaggio forzato al nuovo contratto comporta un peggioramento delle condizioni lavorative, aumentando la pressione sui dipendenti e limitando la possibilità di ottenere stabilità occupazionale.

Uno dei punti più contestati riguarda i lavoratori part-time, che rappresentano una quota altissima nel settore dei call center. Con il nuovo contratto, chi lavora meno di 30 ore settimanali rischia di guadagnare una cifra vicina al salario minimo, senza adeguate tutele per la conciliazione tra lavoro e vita privata.

A Milano, sotto la sede di Assocontact, decine di lavoratori hanno presidiato gli ingressi denunciando l’imposizione di un contratto non condiviso. Situazione simile a Cagliari, dove circa 200 dipendenti di CallCenterOne hanno protestato davanti alla sede dell'Enel, uno dei principali committenti del settore.

A Crotone, i 233 lavoratori della Network Contacts si sono uniti alla protesta, definendo il nuovo contratto "un passo indietro di vent'anni". A Forlì, i dipendenti di Ingo hanno aderito in massa allo sciopero, mettendo in luce la difficile condizione dei part-time, che faticano a coprire le spese di base con gli attuali stipendi.

Sciopero dei call center

Un settore da sempre fragile

Il mondo dei call center è storicamente uno dei settori più fragili del mondo del lavoro. Le aziende, spesso legate a grandi multinazionali e società di outsourcing, fanno leva sulla precarietà dei dipendenti e sulla possibilità di modificare facilmente le condizioni contrattuali.

Negli ultimi anni, l’automazione e l’esternalizzazione dei servizi hanno reso ancora più incerto il futuro di migliaia di operatori telefonici. Il nuovo contratto, invece di migliorare la situazione, è visto come un ulteriore colpo alla dignità lavorativa di chi opera in questo settore.

Quali saranno le prossime mosse?

I sindacati non escludono nuove azioni di protesta e chiedono al governo e alle aziende di riaprire il tavolo delle trattative. L'obiettivo è bloccare l’applicazione forzata del nuovo contratto e garantire che i lavoratori dei call center non siano costretti ad accettare condizioni peggiorative senza possibilità di scelta.

Nel frattempo, i lavoratori restano sul piede di guerra, decisi a non accettare in silenzio quello che definiscono un drastico arretramento nei diritti e nelle condizioni economiche.

La protesta in piemonte: torino tra le città più colpite

Anche in Piemonte, e in particolare a Torino, lo sciopero ha avuto un'ampia adesione. Il capoluogo piemontese è infatti uno dei poli principali per il settore dei call center, con centinaia di operatori impiegati in grandi aziende di telecomunicazioni, assistenza clienti e servizi bancari. A Torino, i lavoratori hanno manifestato davanti alle sedi di importanti committenti nazionali, denunciando il rischio di un'ulteriore precarizzazione del settore.

Secondo le sigle sindacali locali, il nuovo contratto potrebbe avere ripercussioni pesanti anche sulle aziende che operano in subappalto, spesso già caratterizzate da bassi salari e condizioni di lavoro difficili. In alcune realtà, gli operatori telefonici guadagnano poco più di 5 euro l’ora, una cifra insufficiente per far fronte al costo della vita sempre più alto in città. Inoltre, l’alto tasso di turn-over e la crescente pressione sulle prestazioni rischiano di peggiorare ulteriormente l’ambiente lavorativo.

I lavoratori torinesi hanno chiesto un intervento da parte delle istituzioni locali per fermare quello che definiscono un “contratto truffa”, sottolineando come le nuove condizioni possano spingere molte aziende a ridurre il personale o trasferire i servizi all’estero, aggravando la già fragile situazione occupazionale del territorio.

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