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La Fenice spenta: censura e accuse. Il carcere zittisce la libertà di espressione

Critiche ai volontari, controlli inutili e un Consiglio comunale in carcere il 25 febbraio. Il progetto editoriale dei detenuti di Ivrea rischia di scomparire per sempre

carcere di Ivrea

carcere di Ivrea

La vicenda de La Fenice, il giornale online realizzato dai detenuti del carcere di Ivrea, continua a far discutere. Dopo l’improvvisa sospensione dell’attività emergono ora nuovi elementi che gettano ulteriori ombre sul futuro del progetto.

Apprendiamo che, nei giorni scorsi, i computer utilizzati dai detenuti-giornalisti sono stati sottoposti a controlli approfonditi e che non sarebbe stato trovato nulla di compromettente, s. D'altro canto che cosa mai si sarebbe potuto trovare... Nonostante ciò, la direttrice del carcere, Alessia Aguglia, avrebbe rivolto critiche verso i due volontari esterni che da sei anni collaborano con i detenuti nella gestione del giornale.

Alessia Aguglia

Alessia Aguglia

Stando alle voci che circolano, il vero nodo sembra essere il contenuto degli articoli: parlare di vita carceraria in modo aperto e spesso critico non sarebbe particolarmente gradito all’Amministrazione Penitenziaria, che teme possano emergere aspetti scomodi o controversi del “mondo dietro le sbarre”.

Nel frattempo, la questione è approdata anche sui tavoli delle istituzioni locali. C’è stata una riunione a cui hanno preso parte il sindaco di Ivrea, Matteo Chiantore, e l’assessora con delega alle problematiche carcerarie, Gabriella Colosso.

Durante l’incontro, si è discusso del futuro de La Fenice e della necessità di fornire risposte concrete, non solo ai detenuti ma anche alle associazioni che operano a favore del reinserimento. Pare che la questione verrà affrontata pubblicamente il prossimo 25 febbraio, quando è previsto un Consiglio comunale in carcere: un’occasione unica per portare il tema all’attenzione di tutta la comunità e, si spera, trovare una soluzione condivisa.

Come già ricordato, La Fenice non era soltanto uno spazio per fare cronaca: era (e speriamo torni a essere) un ponte tra il dentro e il fuori, un luogo di espressione per chi, in quel momento, vive dietro le sbarre ma non ha perso il desiderio di dialogare con la società. Questo progetto editoriale rappresentava un raro spiraglio di libertà creativa in un contesto segnato da regole rigide e spazi limitati. Ogni articolo era un modo per ribadire che anche chi è recluso rimane una persona, con pensieri, emozioni, riflessioni. In un sistema carcerario spesso criticato per il rischio di “disumanizzazione”, ogni strumento che favorisca il confronto e l’ascolto diventa prezioso.

Ora, dopo i nuovi controlli, le critiche e la sospensione in atto, il timore è che si possa tornare al silenzio. Eppure, c’è ancora una speranza: la stessa che La Fenice ha incarnato sin dalla sua nascita. È la speranza di poter di nuovo sentire la voce di chi, pur avendo commesso errori, continua a coltivare aspirazioni di riscatto. Se quel “grido di libertà” dovesse spegnersi per sempre, a perderci non sarebbero solo i detenuti, ma tutta la comunità: perderemmo uno strumento di conoscenza e, soprattutto, un esempio concreto di come la pena possa trasformarsi in occasione di crescita.

Il Consiglio comunale in carcere del prossimo 25 febbraio sarà, con ogni probabilità, un crocevia fondamentale. Sarà interessante capire se, e in che modo, la direzione dell’istituto e l’Amministrazione Penitenziaria vorranno aprirsi a una mediazione con i volontari e con chi, da anni, porta avanti il progetto de La Fenice.

Intanto, non possiamo che appellarci al sindaco Chiantore e all’assessora Colosso affinché difendano il valore di un’iniziativa che – al di là di eventuali regolamenti e burocrazie – ha saputo rispettare e dare dignità alla voce dei detenuti. E che, soprattutto, ha contribuito a far cadere un po’ di quel muro invisibile che separa il carcere dal resto della città.

In attesa che questa situazione trovi una via d’uscita, resta la convinzione che, come La Fenice, anche un giornale possa risorgere dalle sue ceneri. Perché, nonostante le difficoltà, non possiamo permetterci di abbandonare il potenziale di una simile iniziativa. Dalle mura del carcere di Ivrea – e dalle parole che vi circolano – si può trarre insegnamento e umanità: un patrimonio che appartiene a tutti noi.

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