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Detenuti senza voce: chiuso il giornale on line "La Fenice", simbolo di dignità e riscatto

Il giornale online del carcere di Ivrea, nato per dare speranza e dignità ai reclusi, chiuso per "questioni burocratiche". Una ferita per chi scriveva e per chi leggeva

La Fenice

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Era (chissà se lo sarà ancora, ma noi speriamo di sì) molto più di un semplice giornale. La Fenice era un grido di libertà, un ponte lanciato verso il mondo esterno dalle mura fredde e impenetrabili del carcere di Ivrea.

Non solo un progetto editoriale, ma una missione: trasformare l’isolamento in dialogo, la solitudine in ascolto, la pena in speranza. Oggi, quella voce non c'è più. Si è spenta.

L’ultimo articolo risale all’8 dicembre, una data che ora suona come l’addio definitivo. Il comunicato che annuncia la chiusura è del 7 gennaio, un atto che sancisce l’ennesima sospensione. Dietro questa decisione si nascondono le consuete “questioni burocratiche”, quelle che da anni soffocano ogni iniziativa capace di illuminare anche il luogo più buio.

Dal 2018, i redattori de La Fenice hanno fatto molto più che raccontare storie: hanno regalato un volto umano a una realtà spesso demonizzata. Attraverso quelle pagine digitali, scritte con passione e fatica, hanno aperto uno squarcio nel velo dell’indifferenza che avvolge chi è recluso. Parlare di sé, dei propri errori, delle proprie speranze, è stato un atto di straordinario coraggio. Un’urgenza, quasi, di affermare che anche dietro le sbarre battono cuori, vivono persone, si pensa, si agisce, si piange.

Uno spazio "unico" dove il tempo, per un attimo, smetteva di essere solo una condanna. Una stanza del carcere che si trasformava in un laboratorio di idee, emozioni e crescita. Era qui che le parole si facevano strumento di riscatto, una terapia silenziosa che leniva ferite invisibili. Ogni articolo, ogni riflessione, ogni racconto, un piccolo miracolo di resilienza.

E ora quel miracolo è stato soffocato. La direttrice del carcere di Ivrea, Alessia Aguglia, e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria hanno deciso di sospendere di nuovo l’attività della redazione.

Era già accaduto nel marzo 2023, poi un protocollo firmato ad aprile aveva restituito voce a quei detenuti-redattori.

Ma quel patto, quella promessa di continuità, sembra ora solo un’illusione.

Non è solo una questione di burocrazia. È una ferita aperta per chi trovava in La Fenice una ragione per alzarsi al mattino. È il gelo di novembre che si insinua nelle anime, un colpo basso che annulla mesi di lavoro, di speranze, di sogni.

La Fenice non era solo un giornale per i detenuti. Era un regalo per tutti noi. Leggerlo significava accettare di guardare il carcere con occhi diversi, di riconoscere che il male non è mai assoluto, che la redenzione è possibile, che la dignità è un diritto inviolabile. Ogni parola pubblicata era un invito ad abbattere muri, non solo fisici ma anche culturali.

Il silenzio che cala ora è un colpo per la società intera. È un fallimento condiviso, perché chiudere quella voce significa perdere un’occasione unica di confronto e comprensione.

carcere

Ma se c’è una cosa che La Fenice ha insegnato, è che dalle ceneri si può rinascere. La redazione di Varieventuali, che ha sempre ospitato quegli articoli, lo sa bene. Con coraggio e determinazione, continua a sperare che questa non sia una fine, ma solo una pausa. Il loro messaggio è chiaro, e suona come una promessa: “Ci auguriamo che la redazione, nata nel 2018, entro gennaio possa riprendere a svolgere la sua fondamentale funzione di dare voce ‘anche’ a chi è recluso.”

Perchè la "speranza" come ha detto Papa Francesco "non delude mai!.

Noi, che siamo qui fuori, abbiamo il dovere di sostenere questa speranza e ci rivolgiamo tanto per cominciare al sindaco di Ivrea Matteo Chiantore e all'assessora con delega al carcere Gabriella Colosso: Non possiamo permettere che il silenzio cali per sempre su quelle parole, su quelle vite, su quella voce che ci ha resi più consapevoli, più umani.

Insomma, La Fenice deve tornare a volare. Non è solo una questione di giustizia, ma di dignità. Perché ogni voce conta, soprattutto quelle che arrivano dai luoghi che preferiamo non vedere. E senza di loro, siamo davvero tutti un po’ più poveri.

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