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Bambini dimenticati: dito puntato contro il Tribunale per i Minorenni di Torino

La denuncia dello Studio Legale Miraglia svela storie di sofferenza e ritardi che strappano l’infanzia ai più piccoli. Serve una mobilitazione collettiva.

Bambini dimenticati: dito puntato contro il Tribunale per i Minorenni di Torino

“Fiat iustitia, ruat caelum” – Si faccia giustizia, anche se crollassero i cieli. Con questa frase carica di significato, l’avvocato Francesco Miraglia firma una lettera di denuncia che scuote le coscienze. Destinatari del suo grido di dolore sono le istituzioni piemontesi, ma anche tutti i cittadini. Perché quando si parla di bambini, del loro diritto a crescere in serenità, non si può restare indifferenti. L’inefficienza del Tribunale per i Minorenni di Torino non è una questione di procedure burocratiche o di numeri astratti. È un dramma reale che si consuma nella vita quotidiana di minori e famiglie, lasciati soli in un labirinto di sofferenza e incertezza.

L’avvocato Miraglia, che da anni si batte per i diritti dei più fragili, racconta storie che spezzano il cuore. La sua lettera, inviata all’assessore regionale alle politiche sociali, al Garante per l’infanzia e l’adolescenza e all’associazione “Famiglie Unite per i Bambini”, è un atto d’accusa contro un sistema che sembra aver dimenticato la sua missione principale: tutelare i più piccoli. La denuncia si basa su casi concreti, vicende che mettono a nudo le falle di un meccanismo che non funziona.

Come quella di una bambina che da oltre 5 mesi può vedere la madre solo una volta al mese.

“La separazione è avvenuta senza un provvedimento formale, ma su richiesta del Servizio Sociale,” scrive Miraglia. Ogni incontro è un momento carico di emozione e dolore, in cui madre e figlia cercano disperatamente di tenere vivo un legame che rischia di spezzarsi. Questa bambina non è solo una statistica o un nome su un fascicolo. È una persona, con sentimenti e bisogni, che merita di crescere circondata dall’amore di chi le vuole bene.

Un’altra storia raccontata dall’avvocato riguarda una bambina di due anni, che da oltre un anno attende una decisione definitiva sulla sua custodia. Le relazioni dei Servizi delle Neuropsichiatrie Infantili parlano chiaro: il padre è una figura adeguata, amorevole e in grado di garantire stabilità. Eppure, nonostante quattro o cinque istanze presentate al Tribunale, non è mai stato emesso un provvedimento.

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Ogni giorno di attesa è un giorno perso, un’infanzia che nessuno potrà mai restituire. “Cosa stiamo aspettando?” si domanda l’avvocato, dando voce alla frustrazione di tanti genitori e professionisti del settore.

E poi c’è il caso di un padre che, da oltre sei anni, può incontrare sua figlia solo in ambiente neutro. Nonostante siano trascorsi più di due anni dal deposito delle memorie conclusive, il Tribunale non si è ancora espresso. “Si rischia che questa ragazza raggiunga la maggiore età senza che ci sia stata una decisione definitiva,” scrive Miraglia. Un’intera infanzia trascorsa nell’incertezza, mentre il tempo scorre inesorabile.

Questi non sono casi isolati. Sono l’emblema di un sistema che non funziona. I ritardi del Tribunale possono essere attribuiti a una carenza di personale o a un numero eccessivo di fascicoli pendenti, ma questo non può e non deve diventare una giustificazione. Ogni giorno di ritardo è un giorno sottratto all’infanzia di un bambino, un tempo che nessuno potrà mai restituire.

“Non possiamo più ignorare questa realtà,” scrive l’avvocato Miraglia, lanciando un accorato appello alle istituzioni e ai cittadini. Perché questa non è solo una questione legale. È una questione morale, una battaglia che riguarda tutti noi. I bambini non possono aspettare. Hanno bisogno di risposte, di amore, di stabilità. E le istituzioni hanno il dovere di garantire tutto questo.

La lettera si chiude con un invito alla mobilitazione collettiva. Perché il diritto all’infanzia non è solo un principio astratto, ma un impegno che va onorato con azioni concrete. “Confido nella sensibilità di tutti voi,” scrive Miraglia, “perché insieme possiamo fare la differenza.”

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