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Lo Stiletto di Clio
15 Gennaio 2025 - 22:51
La torre di Settimo Torinese, sopralluogo di D'Andrade del 3 settembre 1890
Moriva centodieci anni fa, il 30 novembre 1915, a Genova, Alfredo D’Andrade, poliedrica figura di architetto, archeologo e pittore, benemerito del recupero di numerosi monumenti medioevali. «Il disegno – fu detto – era per lui strumento vocazionale nella ricerca, nel restauro e nella didattica».
Di origine portoghese, nato a Lisbona il 26 agosto 1839, D’Andrade si stabilì giovanissimo in Italia, dedicandosi allo studio dell’architettura e delle arti decorative medioevali. Nel 1890 ebbe pure modo di occuparsi della superstite torre del castello di Settimo Torinese che costituiva, all’epoca, una residenza secondaria della famiglia Moriondo. Erano anni in cui i torinesi scoprivano il piacere dei brevi soggiorni all’aria aperta, ma senza allontanarsi troppo dal campanile di San Giovanni.
Proprio allora andava imponendosi l’esigenza di proporre un Medioevo meno idealizzato e romantico rispetto al recente passato, valorizzando il dato documentario. «Torino – scrive lo storico Aldo Angelo Settia – fu probabilmente il primo luogo in Italia in cui la nuova tendenza nei riguardi degli edifici dell’età di mezzo si manifestò con sviluppi autonomi, quasi un piccolo e originale risorgimento archeologico».
Alfredo D'Andrade (1839-1915)
Protagonista del dibattito sul restauro dei monumenti, in linea con la scuola francese di Eugène Viollet-le-Duc (1814-1879), però con un interesse particolare alle necessità della salvaguardia senza troppe arbitrarie e inopportune manomissioni, Alfredo D’Andrade dedicò alla torre di Settimo uno schizzo a matita e due tavole a penna, con diverse note. Il suo interesse fu soprattutto attratto dal palazzotto goticheggiante adiacente all’edificio antico che Antonio Moriondo aveva costruito secondo il gusto dell’epoca.
D’Andrade suppose che si trattasse dell’«adattamento di altra fabbrica preesistente». Tuttavia, per quanto autorevole, la sua opinione non trova riscontro nella settecentesca relazione dell’avvocato Carlo Vincenzo Maraldi che presenta la torre come un corpo assolutamente isolato. Allo studioso non sfuggì l’esistenza di una porticina, chiusa già «ab antiquo», sul lato meridionale della torre, verso il rio Freidano. Egli ipotizzò che potesse trattarsi dell’apertura attraverso la quale si accedeva a una latrina aggettante.
Alfredo D’Andrade coordinò il gruppo di intellettuali e di artisti (Riccardo Brayda, Vittorio Avondo, Giuseppe Giacosa, Pietro Vayra, Federico Pastoris, ecc.) che ideò, nel parco torinese del Valentino, il borgo e la rocca quattrocenteschi per l’Esposizione generale italiana del 1884. La realizzazione – si legge in una vecchia pubblicazione – ebbe «una grande ricaduta sul piano della tutela del patrimonio monumentale e porterà due anni dopo alla nascita di un apposito ente governativo, antenato delle moderne soprintendenze, affidato alla direzione dello stesso D’Andrade».
Fu in tale contesto, ricercando modelli da riprodurre, che i promotori dell’iniziativa concretizzatasi nella costruzione del borgo e della rocca di Torino s’interessarono per la prima volta del torrione di Settimo. Nel «Catalogo ufficiale della Sezione Storia dell’Arte (Guida illustrata al castello feudale del secolo XV)» spiegarono che i visitatori potevano uscire dall’osteria del borgo attraverso la cucina, accedendo così a un giardinetto e quindi a «un più largo giardino»,fiancheggiato da un portico e chiuso a monte da «una fabbrica ispirata ai castelli di Rivara, di Ozegna e di Settimo Torinese».
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