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10 Gennaio 2025 - 16:56
C'è un silenzio che fa rumore, quello delle chiese chiuse in molti piccoli paesi del Canavese. Una parrocchiana di Robassomero, dopo trent'anni di attività nel gruppo parrocchiale, ha deciso di lasciare ogni incarico, esasperata da quello che definisce un crescente distacco tra alcuni parroci e i fedeli. La sua testimonianza è il simbolo di un malessere diffuso, alimentato dalla carenza di vocazioni e da decisioni che, secondo molti, stanno trasformando la Chiesa in un'istituzione sempre più distante dalle comunità.
“La chiesa della mia parrocchia è quasi sempre chiusa,” racconta la fedele. “A Natale volevo fermarmi per una preghiera, ma le porte erano serrate. Quando ho chiesto al parroco, don David Duò, di lasciarla aperta, mi ha risposto che c'è il rischio che i ladri portino via persino i banchi. Ma come si possono avvicinare le persone alla Chiesa, se le porte restano chiuse?”.
Don Duò, parroco di Robassomero, Cafasse, Monasterolo e Vallo, si è trasferito a vivere a Cafasse, lasciando un vuoto percepito come simbolico dai fedeli della zona. Ha introdotto cambiamenti significativi, come la sostituzione della messa del giovedì mattina con una semplice liturgia della parola. “Non posso avere l’obbligo di pregare solo quando lo decidono loro,” lamenta la donna, che sottolinea come altre realtà vicine, come la chiesa di San Giovanni Battista a Ciriè o il Duomo di Chivasso, restino aperte tutto il giorno, offrendo spazi di riflessione e preghiera per chiunque.
Don David Duò ha chiuso la chiesa di Robassomero per paura dei ladri
Il Canavese, come molte altre aree d’Italia, soffre di una drammatica carenza di sacerdoti. Le parrocchie si accorpano, i ritmi delle celebrazioni vengono stravolti, e i fedeli, soprattutto nei piccoli centri, devono spesso spostarsi verso i paesi vicini per partecipare alla messa. A Barbania e Levone, per esempio, la notte della Vigilia di Natale non è stata celebrata alcuna funzione, costringendo molti a raggiungere Rocca Canavese. Il sindaco di Levone, Massimiliano Gagnor, ha inviato un appello all'arcivescovo di Torino, il cardinale Roberto Repole, chiedendo un intervento per garantire una presenza pastorale più costante nei piccoli paesi.
Il cardinale Repole, in una recente conferenza stampa, ha illustrato un progetto di riorganizzazione delle parrocchie che prevede l’utilizzo di laici formati, i cosiddetti “ministri battezzati”, per celebrare le liturgie della parola e sostenere le comunità. “Abbiamo già 80 iscritti a questo programma,” ha dichiarato il cardinale, spiegando che questa soluzione può tamponare l’emergenza, ma non risolve il problema di fondo: la mancanza di vocazioni.
Molti fedeli vedono queste scelte come un segno di disinteresse verso le comunità più piccole. La parrocchiana di Robassomero, che ha deciso di abbandonare ogni attività parrocchiale, critica apertamente l’approccio del clero: “Se non fanno nulla per avvicinare le persone alla Chiesa, è inevitabile che ci siano sempre meno preti. Si stanno nascondendo dietro un dito.”
Le sue parole trovano eco in una più ampia percezione di abbandono. La chiusura delle chiese viene spesso giustificata con motivi pratici, come il rischio di furti o l’assenza di personale per sorvegliare i luoghi sacri. Ma per molti, questi sono solo pretesti che nascondono una crescente incapacità di dialogare con le comunità. “Se le chiese restano chiuse, non si può sperare di avvicinare i giovani o le famiglie alla fede,” conclude la donna.
A Levone e Barbania, il Natale 2024 è stato diverso. Niente messa di mezzanotte sotto casa, ma un viaggio verso paesi vicini, al buio e al freddo, per partecipare a una funzione. “Ci sentiamo abbandonati,” commenta un residente. “Il Natale dovrebbe essere un momento di vicinanza, non di isolamento.”
Il cardinale Repole, tuttavia, difende il progetto di riorganizzazione, sottolineando come la Chiesa non possa ignorare le trasformazioni sociali e demografiche. “Le parrocchie non devono necessariamente coincidere con i paesi,” ha dichiarato, aggiungendo che la riorganizzazione è una risposta necessaria a un mondo in cambiamento. Ma queste parole, per molti, suonano come un’ammissione di resa. “Se gli uffici postali e le banche chiudono, perché non dovrebbero farlo anche le chiese?” ha provocatoriamente aggiunto il cardinale, scatenando ulteriori polemiche.
Nonostante le difficoltà, alcuni vedono in questa crisi un’opportunità per riscoprire il senso più profondo della fede. “La Chiesa deve reinventarsi,” afferma Roberto Colombero, presidente di Uncem Piemonte. “Dobbiamo creare sinergie tra comunità civili e religiose, adattando le tradizioni ai bisogni contemporanei.”
Ma per chi vive nei piccoli paesi del Canavese, il Natale 2024 sarà ricordato più per il silenzio delle chiese chiuse che per la luce della Natività. E in questo silenzio, molti si chiedono se la Chiesa stia davvero mantenendo il suo ruolo di faro spirituale o se, come suggerisce una parrocchiana disillusa, stia semplicemente spegnendo le luci, lasciando i fedeli a interrogarsi sul significato di “prossimità”.
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