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Valperga
28 Novembre 2024 - 19:16
Eric Gobetti
Si è svolto fortunatamente senza problemi, in un clima sereno e privo di tensioni, l’incontro con lo storico Eric Gobetti, organizzato martedì 26 novembre presso il Circolo ARCI di Valperga dal Tavolo Antifascista Alto Canavese. “Foibe: come, quando, perché” era il tema della conferenza.
Non era scontato che andasse così. Dopo le dichiarazioni bellicose rese il giorno precedente, attraverso un comunicato-stampa, dal vicecapogruppo di “Fratelli d’Italia” in Regione Roberto Ravello, da più parti si era temuto che qualche gruppuscolo violento si sentisse autorizzato a disturbare la conferenza. Le dichiarazioni bellicose un effetto lo hanno ottenuto: la risonanza dell’evento è stata maggiore rispetto alle previsioni e lo stesso Gobetti ha scherzosamente ringraziato Fratelli d’Italia “che vi ha invitati a partecipare”. In effetti di gente ce n’era parecchia ed ha ascoltato con molto interesse le spiegazioni dello storico, ponendo domande non scontate.
Il consigliere regionale Roberto Ravello
Dopo aver ascoltato le sue tesi, viene spontaneo porsi una domanda: perché Gobetti è tanto odiato dalla destra italiana? Non ha dato l’impressione di muoversi sulla base di tesi precostituite e sarebbe semmai interessante poter assistere ad un confronto fra lui ed un altro storico che sostenga tesi opposte, come si pensava che sarebbe successo dopo le polemiche scoppiate lo scorso inverno per la posa di una targa commemorative nel cimitero di Cuorgnè con il patrocinio dal Comune. Alla richiesta delle opposizioni, l’amministrazione comunale era parsa disponibile ma non se n’è saputo più nulla.
Gobetti ha esordito ribaltando l’accusa di offrire un’interpretazione distorta delle tragiche vicende avvenute ai confini orientali dell’Italia. “Un uso politico della storia – ha detto – è cosa normalissima. Il punto è come viene fatto e con quale obiettivo. Nella vicenda delle Foibe gli storici sono stati messi da parte, lasciando spazio ad un’unica versione dei fatti: l’obiettivo era criminalizzare la Resistenza mettendo in discussione i valori fondanti della nostra democrazia”.
Ha quindi precisato “Ci viene raccontato che le aree situate al confine orientale erano abitate solo da italiani e che ad un certo punto la Jugoslavia le invase per sterminarli. In realtà, in quelle terre vivevano in armonia popolazioni germaniche, latine, slave all’interno di una società multiculturale, multietnica, multilinguistica: l’Impero austro-ungarico aveva molti difetti ma era nel suo interesse favorire la pacifica convivenza tra i popoli. Solo a partire dall’Ottocento si affermò il concetto di nazionalità, che dopo la Prima Guerra Mondiale e l’assegnazione all’Italia di quei territori avrebbe prodotto pesantissime persecuzioni. L’Italia era uno stato nazionale con un’unica identità e chi non vi si riconosceva era uno straniero: doveva italianizzarsi o andarsene. Vennero cambiati i nomi, vietato l’uso delle altre lingue; chiusi scuole e centri di cultura. Con l’imporsi del regime fascista le cose peggiorarono ancora e le popolazioni slovena e croata vennero considerate inferiori e perseguitate: fucilazioni, pestaggi, olio di ricino. Nel corso del Ventennio andarono via in 100.000; tanti altri finirono al confino.”
Poi arriva il 1941. “Furono Italiani e tedeschi ad invadere la Jugoslavia – ha precisato Gobetti – e non il contrario. Dopo l’8 settembre i tedeschi prendono il controllo dell’ex-Zona di Occupazione Italiana ma all’inizio sono interessati solo alle grandi città, ai porti; le aree interne e rurali per circa un mese rimangono in preda all’anarchia. Il vuoto di potere viene colmato in parte dai partigiani, in parte dalle popolazioni locali. Vengono anche consumate vendette private ma soprattutto vengono presi di mira i fascisti ed i loro fiancheggiatori: non sono i veri responsabili delle violenze precedenti (i responsabili se ne stanno altrove) ma rappresentano il potere fascista”. La stima riportata da Gobetti – sulla base dei documenti – è di 4000 -5000 persone ed i loro cadaveri vengono gettati nelle foibe, ovvero nelle cavità carsiche che si aprono nel terreno. "Da un lato si tratta di nasconderli per prevenire rappresaglie tedesche; dall’altro – come si era fatto anche durante l’epidemia di Spagnola - si cerca di evitare il diffondersi di epidemie. Le vittime, salvo rarissimi casi, erano maschi adulti, non donne e bambini”.
Poi arrivano i tedeschi anche in quelle zone, mentre un grande numero di ex-militari italiani entra a far parte della Resistenza: sono interamente italiane ben due brigate. Dopo la Liberazione si verifica un secondo momento di resa dei conti ed è in quell’occasione – ha spiegato Gobetti – “che ad esserne vittima furono spesso persone inermi. Accadde in tutti i Paesi contro gli ex-occupanti ed in Jugoslavia avvenne in modo particolarmente brutale anche perché, dopo la Polonia, era la nazione che aveva avuto il maggior numero di morti. Quello jugoslavo era un regime comunista e gli oppositori venivano considerati nemici da eliminare ma era una questione più politica che etnica, tanto che ne furono vittima anche degli ex-partigiani. E’ chiaro che, nel caso degli italiani, venivano identificati con il regime che avevano servito. In quella fase le foibe vennero poco utilizzate perché non c’era più necessità di nascondere i corpi e di farlo rapidamente per evitare le rappresaglie tedesche”.
Oltre alle uccisioni sommarie si verificò un altro fenomeno: quello dell’Esodo. “E’ la parte più importante – ha precisato Gobetti - eppure non se ne parla più: nell’arco di vent’anni se ne andarono in 300.000 e 50.000 di questi erano di nazionalità slovena o croata. La presenza di così tanti slavi ed il fatto che fossero partiti gradualmente indica che non si trattò di Pulizia Etnica: se ne andarono per motivi sia economici che politici. Industriali e proprietari di terre a causa della confisca, molti altri perché temevano il comunismo o perché avevano la percezione che si stesse meglio da questa parte ( non avevano torto). Al contrario di quel che si potrebbe pensare non vennero affatto accolti con tutti gli onori, anzi…
Tra le domande poste a Gobetti al termine del suo intervento, spicca inevitabilmente quella che tanti si pongono, soprattutto fra coloro che sono nati e cresciuti prima della dissoluzione della Jugoslavia: perché delle foibe e dell’esodo la maggior parte degli italiani non sapeva nulla?
“Una prima risposta – ha spiegato - potrebbe essere la coda di paglia delle autorità italiane: avrebbero dovuto consegnare alla Jugoslavia 700 cittadini accusati di crimini di guerra e non ne consegnarono mai nemmeno uno. La risposta più politica è che parlarne non conveniva a nessuno. Per il PCI, dopo la rottura di Tito con l’URSS, la Jugoslavia era diventata un Paese eretico e non intendeva difenderne l’operato. La DC e gli altri partiti centristi guardavano con interesse a quel Paese in funzione antisovietica: la sua neutralità allontanava la Guerra Fredda dai nostri confini”.
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