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Luoghi e personaggi

Un secolo di storie al Bar Cervo: dove il tempo si ferma e la comunità vive

Dal 1901, il bar di Verolengo racconta le vite di generazioni: un viaggio tra ricordi, personaggi leggendari e pizze nate per caso

Bar Cervo

Bar Cervo

Sono un po’ emozionata. Non capita tutti i giorni di intervistare un membro della famiglia che ha reso il Bar Cervo un’istituzione.

Generazioni di verolenghesi sono passate almeno una volta in questo bar, aperto dal 1901. È affascinante passare davanti all’ora dell’aperitivo e vedere che nulla è cambiato: tante persone ancora sedute ai tavolini all’aperto, come tanti anni fa. La gente ama ancora trascorrere momenti in compagnia degli amici.

La famiglia Tallia affonda le proprie radici nel Biellese, ma i nonni di Giorgio, il personaggio “storico” classe 1948, si erano già stabiliti qui a Verolengo.

Giorgio Tallia nasce a Pinerolo, dove la famiglia — composta da mamma Maddalena Faraud e papà Piero Tallia — risiede.

A dieci anni si affaccia già al mondo del lavoro nella pasticceria vicino a casa: non può ancora lavorare ufficialmente, data la giovane età, ma grazie all’amicizia con la padrona di casa, titolare della pasticceria, riesce comunque a eseguire piccoli lavori di manovalanza.

Parlare con Giorgio è come tuffarsi in un’Italia d’altri tempi, nostalgica, piena di ricordi e voglia di stare insieme.

Era un’Italia in cui con niente si stava bene lo stesso, perché tutti vivevano così, e lo stare insieme significava far parte di qualcosa, della comunità.

Nel 1966, con la scomparsa dei nonni che avevano immobili in paese, la famiglia Tallia approda a Verolengo e rileva il Bar Cervo da Bertolino Giuseppe e sorella.

Il papà di Giorgio apriva il bar alle 4:30 del mattino: a quell’ora, camionisti e lavoratori erano già all’inizio della giornata e si fermavano per un caffè corretto, seguito da un “grigio verde” fresco, che andava giù meglio.

Dedizione e parsimonia, ma ciò che hanno reso grandioso questo locale sono anche i personaggi che hanno letteralmente calcato la sua scena.

Tra questi, Gino Barbè, detto “il filosofo”, che arrivava presto al mattino e se ne andava a casa solo la sera tardi, giusto per mettere un pezzo di legna nel putagè. Aveva opinioni  e risposte su tutto e tutti volevano sentirle.

Tra gli aneddoti che raccontava, Gino vantava di non aver mai chiesto la pensione allo Stato, perché, a suo dire, se meritata gliel’avrebbero data comunque. Sosteneva di avere una pensione come “pescatore d’acqua dolce”, ricordando che, un tempo, lungo le sponde del Po a Verolengo, c’era un porto dove i contadini attraversavano il fiume con gli animali, e i pescatori vivevano portando il pescato nei mercati di Chivasso e Torino.

“Finché ci sarà acqua nel Po, noi non moriremo di fame.” diceva e tutti si fermavano a pensare...

Di quei tempi la giasera al Borgo Maglio: profonde buche coperte di foglie di riso che, in inverno, ghiacciavano, conservando il ghiaccio per l’estate. I pescatori si rifornivano lì per mantenere il pescato al fresco, da vendere poi nei mercati.

Da un ricordo all'altro, fino agli anni Settanta, con un’Italia in fermento e gli operai in lotta.

Nei paesi - anche a Verolengo -  comandavano il prete, il sindaco, il maresciallo dei carabinieri e il dottore, ma era dentro i bar che si faceva l'Italia e tra i tanti c'era il Bar Cervo.

Con Gianni Tallia, fratello di Giorgio, sempre dietro al bancone, pronto a discutere di qualsiasi argomento, soprattutto di politica e di calcio. Forse per questo Don Mantovani decise di dare un altro nome al Bar. E in tanti iniziarono a chiamarlo: “Il Cremlino”. C'è chi giura che la famiglia Tallia, in caserma, fosse stata "segnalata" con un bel bollino rosso. Forse leggende? Chissà...

Un aneddoto memorabile riguarda la nascita della prima pizzeria.

Un giorno, Giorgio Tallia, addetto alla cucina, si trovò con dell’impasto avanzato: ne fece delle pizzette che, per caso, furono assaggiate da un ragazzo del paese, Emiliano Cucco.

Quel pomeriggio, incuriosito dalla novità, entrò al bar, ne assaggiò una e poi andò a giocare in oratorio. Da quel giorno, la richiesta di pizzette aumentò tanto che la famiglia iniziò a prepararle al padellino, dando vita alla prima pizzeria.

Ecco, in tanti, della vecchia generazione, la prima pizza l’han mangiata proprio quei, un’esperienza indimenticabile, magari condivisa con i compagni di scuola in gita.

Bei ricordi, per lui, per noi, per tutti! Perchè c'è stato un tempo meno tecnologico e pretenzioso, più semplice ma di grande  bellezza, fatto di grandi cose che in verità erano piccole, ma a noi stava bene così.

Madonnina

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