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Disagio sociale e microcriminalità: Ivrea specchio di un fallimento

Violenza e insicurezza come sintomi di una società che ha perso di vista i valori etici, schiacciata dal peso del liberismo sfrenato e della competizione sociale

Disagio sociale e microcriminalità: Ivrea specchio di un fallimento

A proposito di quanto ho letto sui giornali eporediesi di questi giorni che definiscono la mia Città Ivrea “con tutta evidenza, completamente fuori controllo”, con una microcriminalità in aumento...

Provando a riflettere sul fenomeno mi viene da dire che comunque si guardino tutti questi episodi si debba prendere atto della terribile condizione di disagio sociale che vive oggi la società e non solo quella eporediese, un disagio che si riverbera su tante esistenze dal maltrattamento che subiscono tante e forse troppe persone in tutto con lo sfruttamento del lavoro, con la diffusione a tutto spiano della condizione precaria di un’esistenza che è mera sopravvivenza, con vere e proprie situazioni di subordinazione dei diritti ai doveri, del debole al forte, per tradizione, per prevenzione pregiudiziale, per disciplina, per,  addirittura, diritto di Stato, per legge, derivano una serie infinita di comportamenti che sottovalutiamo e minimizziamo.

Il ruolo della violenza nella società capitalista moderna fa parte di una complessità che si articola in ogni ambito della vita quotidiana e che pare ingestibile e ingovernabile.

giovani ivrea

Il giovane, che si impasticca o che cerca la dose per continuare a sognare di diventare qualcuno o qualcosa di irraggiungibile...; oppure la lite e le risse  tra giovani ragazzi che spesso finisce a coltellate, forse per la sola contesa tutta maschile su una ragazza; oppure ancora la morte del migrante, freddato da un poliziotto a Verona nei giorni scorsi....

E’ completamente assente in questi casi un rapporto delle persone con un codice etico, ed anche professionale nel caso del poliziotto, che faccia da sicura all’arma carica, al coltello che, impugnato, sta per scagliarsi contro il corpo della coetanea o del coetaneo, all’ira davvero funesta di chi ha un problema e non trova altro modo per risolverlo se non ricorrendo alla violenza e a volte purtroppo all’omicidio.

La risposta è quella del ministro Salvini che non solo plaude al poliziotto ma addirittura sottolinea che Moussa questo il nome del migrante “non ci mancherà”.

La competitività esasperata dal liberismo, la voglia di arrivismo e di successo, unita al senso di superiorità di una civiltà occidentale che si ritiene da troppo tempo la conquistatrice del mondo nei secoli passati e, pertanto, la “civilizzatrice” del globo terraqueo, sono tutti quanti aspetti di un’unica impostazione antisociale che ha individualizzato i comportamenti singoli e ne ha fatto degli eccessi di libertà, assolutizzando questo concetto e mostrando quindi una predilezione per chi ci riesce, per chi ce la fa, per chi ottiene visibilità e consensi.

Tutto, del resto, sull’onda dei social network si gioca proprio su questo: sui “likes“, sui “followers“, su quanto piaciamo e su quanti ammiratori, estimatori e seguaci abbiamo.

La competizione diventa, in questo modo, davvero connaturata all’istintività delle nuovissime generazioni, incapaci, al pari dei cosiddetti “boomer“, di relazionarsi con le diversità se non in chiave accessoria, negativizzando i rapporti interpersonali e mettendo delle barriere artefatte tra giovani e meno giovani, tra poveri e ricchi, tra maggioranze e minoranze, tra culture e culture.

La politica di destra, conservatrice, bigotta, reazionaria, nazionalista quanto basta per esprimere un opportunismo di pochissimo conto, è quella sovrastruttura che ispira i comportamenti di una parte della popolazione che si ispira a modelli esclusivisti: dall’esaltazione dell’autoctonia, del primato dell’italianità su tutto il resto, al respingimento di qualunque fattore sia estraneo alle caratteristiche fisiche, culturali, ideali e sociali che ci confanno.

Noi, in sostanza, siamo ciò che riconosciamo come identico o simile a noi stessi. Il resto assume i contorni di una estraneità che è allontanamento, ghettizzazione, guardingo sospetto, discriminazione, emarginazione.

La violenza diventa una conseguenza inevitabile nel momento in cui le contraddizioni evidenti di una disposizione antisociale di questo tipo si scontrano con l’evidenza dei fatti: che, ad esempio, i popoli migrano da sempre per cercare condizioni migliori di vita; che le guerre comportano un tasso di migrazione endemico; che la fame genera conflitti e spostamenti.

Nel momento in cui definiamo l’Occidente come modello di civiltà, gli neghiamo la capacità di dimostrarlo in termini di solidarietà umana, di condivisione di tutto ciò che è comune: dalla terra, all’acqua, dall’aria agli spazi dove poter vivere e cercare nuove opportunità.

lotta

La lotta di classe, invece che essere verticale, viene distratta da una orizzontalità dei problemi: non lo sfruttato, il povero contro lo sfruttatore e il ricco, bensì il povero contro un altro povero. I padroni la guerra se la fanno tramite l’intermediazione degli indici di borsa, con i dividendi aziendali…

Ma i poveri no, loro muoiono: l’indigenza li spinge a delinquere, a diventare dipendenti della criminalità organizzata che, ovvio, li sfrutta a modo suo e ne fa dei perfetti capri espiatori per attuare altre strette repressive, per creare i presupposti per politiche di destra tutte dedite alla militarizzazione dei territori, alla repressione del dissenso, alla circoscrizione dei grandi temi della sicurezza sociale in un recinto asfittico di securitarismo fine a sé stesso.

La destra fa la sua parte di rappresentanza della conservazione e del tradizionalismo come cardini fondanti del liberismo stesso: la saldatura tra pubblico e privato sta proprio nella disposizione naturale e ovvia a trattare il primo come base fondante dei privilegi del secondo.

E questi privilegi di classe vanno tutelati: a partire dalla difesa a tutto tondo degli elementi antropologici e sociologici che determinano uno spettro di concause a sostegno di una identità nazionale, popolare, etnica e pseudo-culturale che, unendosi alla sacralità della religione, forma la percezione comune.

La percezione, quindi la sensazione, al posto dell’obiettività, dell’oggettivo, della concatenazione degli eventi, dei fatti. Ci si deve fermare alla superficie degli accadimenti, allo strillonismo televisivo, al dare sulla voce, alla violenza verbale che ispira soltanto contrapposizione e non dialogo, prevaricazione e non ricerca comune delle soluzioni.

La contesa che il liberismo trascina con sé è totalizzante e non risparmia niente e nessuno.

Si comincia da bambini, su incitamento dei genitori che vogliono i figli primi in ogni gara, in ogni scuola, in ogni momento della giornata e si continua con la formazione di adolescenti che non si percepiscono come esseri sociali, ma come tanti singoli, tante unicità distinte. Il vecchio “gruppo del sabato sera” diventa sempre di più un “branco” che cerca le sue prede e che vuole qualcosa da possedere. Per realizzare il significato che si è dato attraverso una società della proprietà privata.

E’ ovvio: ci riferiamo ad un particolare tratto distintivo che va inasprendosi, peggiorando, tanto quanto la violenza si diffonde e si salda con l’autoritarismo delle istituzioni o con la spregiudicatezza del rampantismo. Non solo giovanile, ma indubbiamente in maggioranza tale.

Non ci sono molti esempi virtuosi che spostino l’attenzione dalla competizione alla condivisione, dal primeggiare all’arrivare insieme. Ci provano alcune comunità di base, associazioni di volontariato e di solidarietà umana e animale. Ci provano l’ARCI, l’ANPI, Libera, Emergency, i sindacati e le grandi vecchie organizzazioni eredi di un Paese nel Paese, di una sinistra ormai dispersa in troppi rivoli e incapace di leggersi nel passato guardando ad un futuro prossimo con una lungimiranza adeguata ad una aggiornata critica del capitalismo.

La moderazione del progressismo incede come se fosse la via di un percorso mai sperimentato: sappiamo dove conduce il compromesso socialdemocratico-liberale e, allo stesso tempo, sappiamo dove ci porta il settarismo ottundente di chi ritiene di poter fare a meno di tutti gli altri nel processo di trasformazione della società.

La sinistra che va rimessa in piedi deve tenere conto anzitutto di queste mutazioni della società che sono il frutto di una involuzione del liberismo: pochi Stati tentano la strada dell’alternativa. Poche politiche di governo cercano di spostare l’asse degli interventi economici dal privato al pubblico.

Quasi nessuno ha in mente un orizzonte di alternativa sociale al dominio del capitale. Si provano ad individuare dei compatibilismi come ennesimo tentativo di un equilibrismo ultracircense tra classi dominanti e sfruttati, tra ricchezza estrema ed estremissima povertà.

disagio sociale

Il disagio sociale che esplode con la violenza giovanile è perfettamente inserito in questo modello di sviluppo egoistico, prevaricatore, omicida, criminale e guerrafondaio: distrugge le vite della maggioranza delle persone, assassina miliardi di animali ogni anno, devasta l’ambiente e non ha nessun freno morale ed etico.

Cerchiamo pure a livello cittadino per tornare alla mia Città a mettere qualche toppa, ad aumentare i presidi da parte delle forze dell’ordine, a fare scelte anche di carattere sociale diverse o perché no anche a pensare ai luoghi rendendoli più luminosi più fruibili……… Come ad esempio il Movicentro facendolo tornare al suo ruolo per cui è nato stazione degli Autobus e interscambio, spostando perché no! Gli autobus per la Valle d’Aosta e Torino in quel luogo naturale anziché intasare il corso di fronte alla stazione ferroviaria.

Ma il tema vero è più grande molto più grande e complicato…

La storia nuova devono tornare a farla le masse, devono rifarla i popoli. Con ogni mezzo a loro disposizione: dalla resistenza nonviolenta attiva alla resistenza operaia, sindacale, politica, sociale e civile.

L’unica violenza non biasimabile è quella che mette fine alla prepotenza delle classi padronali, dei profittatori, degli sfruttatori e dei guerrafondai. L’unico odio ammissibile è quello di classe. La lotta deve tornare ad essere verticale, dal basso contro l’alto. Ogni orizzontalità è soltanto un favore al liberismo e alle destre (ed anche a quelle sinistre) che gli fanno da gentili servitrici.

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