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Malasanità

Asl To4 senza un cuore: Simonetta, prigioniera della malattia e dell’indifferenza

Una donna prigioniera della sclerosi laterale amiotrofica e di un sistema che le nega la libertà di uscire di casa

Simonetta con le sue figlie di 21 e 22 anni

Simonetta con le sue figlie di 21 e 22 anni

Simonetta Teppati, sessant’anni, ex panettiera di Coassolo, oggi non è solo prigioniera del suo corpo, ma anche di una macchina burocratica che sembra essersi dimenticata di lei. Due crudeli condanne l’hanno colpita: la prima, la più implacabile, è la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), preceduta da una demenza frontotemporale, che in pochi anni le ha tolto la capacità di camminare, costringendola su una sedia a rotelle. La seconda, forse ancora più insopportabile, è quella imposta da una burocrazia spietata che, con la sua lentezza e i suoi errori, l’ha intrappolata tra le mura di casa sua, negandole l’unica cosa che potrebbe restituirle un po’ di libertà: un montascale.

Simonetta

Da maggio, Simonetta non esce più. Non perché non lo voglia, ma perché non può. Le scale della sua abitazione sono diventate una barriera insormontabile e lei ha bisogno di quel montascale per superarle. Una richiesta apparentemente semplice, ma che si è trasformata in un vero incubo.

Rivolgersi all’ASL TO4 di Ciriè avrebbe dovuto garantire una rapida soluzione, ma quella promessa di aiuto si è rivelata un miraggio. Prima un tecnico è arrivato per il sopralluogo, scoprendo che il montascale a cingoli non era adatto. La soluzione era un modello diverso, uno a ruote.

Tutto sembrava essere risolto, ma i mesi hanno iniziato a scorrere e Simonetta è rimasta ad aspettare. Settimane che si trasformano in mesi, con la risposta sempre la stessa: “Sollecitiamo”. Un termine che, per chi vive una vita normale, può suonare come una formalità. Per Simonetta, invece, significa un giorno in più senza uscire, senza vedere il sole, senza sentire l’aria fresca sul viso.

 

Quando finalmente il montascale arriva, sembra che l’incubo stia per finire.

Ma no, anche questa volta la burocrazia gioca uno scherzo crudele. Il modello è sbagliato. Un “L” al posto di un “S”, come se stessimo parlando di una taglia di vestiti in un negozio. Solo che qui non si tratta di un maglione che si può restituire. Qui si tratta della vita di una donna, intrappolata da mesi in casa. Simonetta è costretta a rinunciare a quel montascale inutilizzabile e a ricominciare da capo la trafila per una nuova richiesta. Una nuova attesa. Una nuova tortura.

La sua vita è già stata devastata dalla malattia. La SLA l’ha privata della sua libertà, della sua autonomia.

E ora, anche quel minimo di sollievo che un montascale le potrebbe offrire sembra essere irraggiungibile.

Le sue due figlie, di 21 e 22 anni, fanno tutto il possibile per aiutarla. Si prendono cura di lei, cercano di alleviare la sua sofferenza. Ma anche loro si trovano impotenti di fronte a un sistema che sembra essersi dimenticato della loro madre. Simonetta non chiede un miracolo, non chiede l’impossibile. Chiede solo di poter uscire di casa. Di poter respirare. Di poter vivere, anche solo un po’.

La burocrazia, però, sembra non sentire. Mentre le carte girano da un ufficio all’altro, mentre i solleciti si accumulano, Simonetta aspetta. E con lei aspettano le sue figlie, i suoi amici, chiunque le voglia bene e si chieda come sia possibile che una donna debba vivere prigioniera per colpa di un timbro mancante o di un errore di trascrizione. Non è una questione di scienza, non è una questione di tecnologia avanzata. Si tratta di montare un semplice montascale. Un gesto pratico, immediato, che potrebbe restituire a Simonetta un po’ della dignità che la malattia le ha portato via.

Eppure, quel gesto sembra irraggiungibile. Mentre la vita fuori continua a scorrere, mentre le stagioni cambiano e il tempo passa, Simonetta è ferma. Ferma dentro la sua casa, ferma in una condizione che non le permette di muoversi, di vivere. E il suo unico desiderio è così semplice, così umano: uscire. Ma la burocrazia la tiene legata, come se fosse una catena invisibile che nessuno riesce a spezzare. Ogni giorno che passa senza una risposta, senza una soluzione, è una ferita che si aggiunge a quelle, già profondissime, lasciate dalla malattia.

Simonetta non vuole arrendersi.

Aspetta...

Ma la domanda rimane: quanto ancora dovrà aspettare?

Quando quel sollecito si trasformerà finalmente in un’azione concreta?

Quante altre volte dovrà sentirsi dire “sollecitiamo” prima che qualcuno si renda conto che dietro quei fogli di carta c’è una vita vera, una persona reale, con bisogni urgenti e con una malattia che non aspetta? Simonetta non chiede altro che poter uscire di casa.

Non per fuggire dalla sua condizione, ma per affrontarla con la dignità che merita. E ogni giorno che passa senza una risposta è un altro giorno rubato alla sua già difficile esistenza.

In un mondo dove parliamo di progresso, di tecnologia e di futuro, sembra assurdo pensare che un semplice montascale possa diventare un traguardo irraggiungibile.

Eppure, per Simonetta lo è. In un sistema che dovrebbe prendersi cura dei più fragili, Simonetta è stata dimenticata. E così, mentre l’ASL To4 continua a “risollecitare”, Simonetta continua ad aspettare.

E con lei, chiunque crede ancora che la dignità di una persona non dovrebbe mai essere ostaggio di una macchina burocratica incapace di vedere l’umanità che ha davanti.

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