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Punto Rosso
01 Ottobre 2024 - 08:15
Luca Spitale
Esisteva una volta un modo di fare che si chiamava “fairplay politico”. Ormai se ne è persa traccia.
Possiamo datare l’inizio della sua fine al 16 aprile 1994 (primo governo Berlusconi), quando venne eletto a presidente del Senato il liberale Carlo Scognamiglio Pasini e a presidente della Camera dei deputati la leghista Irene Pivetti, due esponenti della maggioranza. Questa scelta determinò il superamento della consuetudine che per quasi 20 anni aveva visto attribuire la presidenza della Camera ad un esponente del maggior partito di opposizione.
La maggioranza ha già dalla sua i numeri, il governo, per portare avanti le proprie politiche senza necessità di occupare tutti i ruoli in testa. I presidenti delle camere diventano con questa pratica “presidenti di garanzia”. Compiono la piena democrazia.
Ma perché parlo di fair play politico in questo spazio locale?
Mi ha ispirato l’ultimo Consiglio comunale eporediese. Nella prima parte dedicata alle mozioni, quando ne mancava solo una è suonato il gong. Stop mozioni. Eppure, ne mancava solo una e per di più su un tema sul quale il consiglio stava discutendo, la sicurezza cittadina. Erano state già discusse la mozione di una parte della minoranza e quella della maggioranza, mancava quella del consigliere di minoranza De Stefano, ma il presidente del consiglio ha deciso di rimandarla alla prossima seduta.
Sarebbe stato molto opportuno, addirittura naturale, permettere invece anche al consigliere De Stefano di mettere in discussione la sua mozione. Certo un consiglio comunale deve rispettare i tempi dati, ma non a scapito della pluralità e dell’attualità dei temi. Il presidente del consiglio comunale avrebbe ben potuto far valere la sua decisione di allungare leggermente i tempi per permettere a tutti di esprimersi, ma evidentemente questo non era nei suoi voleri.
Questo episodio mi ha fatto pensare a quel 16 aprile di trenta anni fa. Non sarebbe stato giusto (fair) assegnare la presidenza del consiglio comunale eporediese alla minoranza a garanzia ed equilibrio dei rapporti di forza?
La maggioranza ha più consiglieri, ha l’esecutivo, ha il sindaco.
Ma quand’anche lecitamente si decide di tenere per sé anche il ruolo di Presidente del Consiglio Comunale, occorre essere in grado, una volta messo piede nella sala consiliare, di togliersi il mantello di partito, di coalizione, per indossare quello di uomo (o donna) istituzionale prima di ogni cosa per garantire pari opportunità a maggioranza e minoranza. Non è semplice, ma è necessario.
Voglio ora immaginare che la lista Unione Popolare, per la quale ero la candidata sindaca, sieda nei tavoli della minoranza (non ce l’abbiamo fatta per una manciata di voti). Penso che avremmo presentato anche noi una mozione sul tema sicurezza.
Prima di tutto nel “premesso che” avremmo scritto che non si possono fare ragionamenti né approvare dispositivi sulla base di percezioni, ma occorre discutere su dati reali che inquadrino il fenomeno, da richiedere ai soggetti coinvolti, dalle forze dell’ordine agli operatori del sociale. Quindi avremmo evidenziato che la via repressiva non porta mai alla soluzione dei problemi, né fa da deterrente. I gruppi di giovani e meno giovani che spadroneggiano e delinquono in un certo luogo, se “disturbati” semplicemente si spostano altrove. E l’obiettivo non è spostare un po’ più in là i problemi.
Avremmo impegnato il sindaco e la giunta ad usare quel tavolo già esistente e forse mai convocato, per affrontare prioritariamente il malessere sociale che è presente anche nel nostro territorio che non è un’isola felice.
Malessere che se ignorato si trasforma in microcriminalità e non può essere risolto piazzando telecamere né aumentando la presenza di polizia. Un’operazione non da poco che si può portare avanti solo lavorando di concerto con tutto il territorio e confrontandosi con altri territori italiani. Investa nell’immediato il Comune in mediatori sociali preparati sulla microcriminalità giovanile – avremmo chiesto - sarebbe un investimento per l’oggi e il futuro di una città che vuole vivere di bellezza e non nella paura.
E’ assodato che la destra tenda ad alimentare le paure e aumentare la percezione di pericolosità di certe fasce sociali (a partire dagli immigrati) per distrarre da altri ben più gravi problemi del paese (e il DDL 1660 appena approvato va in questa direzione, verso uno Stato di polizia), ma una giunta progressista come quella che guida Ivrea può ben lavorare concretamente per diventare capofila di un progetto integrato di sicurezza urbana e territoriale con interventi congiunti che coinvolgano la polizia locale, chi opera per il contrasto dell’esclusione e del degrado sociale e anche le comunità di cittadine e cittadini, i rioni, i quartieri con le loro associazioni e comitati.
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