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Il Canavesano
28 Settembre 2024 - 07:00
Disastro alimentare
Sentire gli italiani che discutono di politica, che parlano di problematiche sociali, che talvolta non disdegnano i toni accesi nel confrontarsi sulle scelte del governo o su quelle degli amministratori locali, avvalora in me la convinzione che molti, anzi moltissimi, abbiano la memoria estremamente corta. Là dove le genti non hanno memoria – l’Italia ne è un fulgido esempio – si possono compiere le peggiori nefandezze senza nessun ostacolo, anzi, spesso e volentieri, addirittura a furor di popolo.
In Italia ci si dimentica un po’ di tutto: di ciò che fa comodo dimenticarsi e di quello che è meglio dimenticarsi, ma soprattutto ci si dimentica delle cose importanti, di quelle cose che dovrebbero rimanere scolpite nella memoria delle persone.
Non mi sto riferendo ai “massimi sistemi”, a particolari avvenimenti storici, peraltro da sempre frutto di strumentalizzazione politica. Avvenimenti costantemente ricordati con più o meno enfasi e con dovizia di particolari, sempre e unicamente nel rispetto delle convenienze di “bottega”.
Avvenimenti spesso edulcorati o riadattati alla bisogna, il più delle volte con lo scopo ultimo di indirizzare il voto degli elettori da una parte piuttosto che dall’altra. No, signori, quello di cui mi preme parlare – nonostante l’argomento, ho più volte notato, non appassioni molto la gente – è il disastro alimentare di cui tutti, chi più chi meno, siamo vittime.
Quanti si ricordano del “vino al metanolo”, della “mucca pazza”, delle acque e delle bevande contaminate da diossina e atrazina? Forse solo chi ha avuto delle vittime in famiglia, chi ha dovuto sottoporsi a cure mediche intensive per non lasciarci la pelle. E poi, chi altri?
Come ho detto, ho riscontrato personalmente negli italiani una memoria quasi assente al riguardo e non perché non esistano più casi di avvelenamento alimentare, anzi, sono terribilmente in aumento. Bensì perché non se ne parla: gli organi d’informazione tacciono e quindi il problema non esiste. È semplicemente una cosa privata che riguarda solo il malcapitato di turno. I consumatori mostrano un’indifferenza incomprensibile. Il silenzio della gente al riguardo è talmente totale da risultare assordante, ed è proprio questo che ha consentito alle industrie di dilatare a dismisura i profitti, inquinando sempre di più il cibo che finisce sulle nostre tavole, con la complicità di una politica in molti casi assente, ma per deduzione troppo spesso corrotta.
Gli italiani lottano ormai quotidianamente con l’insorgere di sempre nuove intolleranze alimentari e con malattie, spesso letali, provocate dall’assunzione di cibo “edulcorato”. Ciò nonostante, la gente fatica a capire il semplicissimo concetto tale per cui noi tutti, nessuno escluso, “siamo ciò che mangiamo”.
Già, “siamo ciò che mangiamo”.
E cosa mangiamo? Nessuno se lo chiede? È possibile che gli italiani riescano sempre a spostare la loro attenzione dove vogliono i padroni dell’informazione nazionale, costantemente nutriti anche dalla pubblicità delle grandi multinazionali del settore agroalimentare, o dove vuole la politica romanocentrica, che con i giganti della produzione di cibo pare aver sottoscritto un patto di non aggressione?
Non si campa solo di “ci vuole più Europa”, di “tamponi e vaccini”, di “tifo per Donald Trump o per Kamala Harris”. E ancor meno si campa di promesse. Quello che è necessario per vivere bene è un ambiente salubre e del cibo sano, ed anche queste cose, soprattutto queste, vanno chieste con forza alla politica. Oggi il nostro cibo quotidiano è pieno di orrori: additivi, farmaci, pesticidi, impurità di ogni tipo e “anomalie biologiche”.
Molti esperti prezzolati, al soldo di partiti e multinazionali dell’agroalimentare, addirittura sono arrivati a sostenere che ciò sia inevitabile, che lo richiede il progresso, che sia cosa necessaria al mantenimento di un alto tenore di vita. Io, invece, credo non sia così! Credo che tutto questo serva a creare ricchezza da una parte e ricchezza illusoria dall’altra. Credo che dare alla gente l’illusione di potersi permettere ciò che vuole sulla propria tavola sia uno sporco gioco al massacro: l’ennesimo della politica italiana, sempre più ostaggio e marionetta nelle mani delle potenti commissioni del Parlamento Europeo e delle multinazionali d’oltreoceano. Una politica, quella nostrana, ormai identica, sia che la si guardi da destra che da sinistra, che una volta di più – a farci attenzione – dimostra quanto poco o nulla sia interessata alle condizioni di vita e alla salute degli italiani.
La questione, è evidente, riguarda tutti ed è più che mai nelle nostre mani. Nelle mani della gente che, ad oggi, ha sempre subito la tecnologia senza freni della scienza alimentare, la cui unica legge è stata ed è il profitto. Pensate, il sistema alimentare globale è dominato da un ristretto gruppo di aziende dal potere crescente che, ad oggi, si stima controllino il 62,3% del settore dell’industria chimica per l’agricoltura; che coprono il 60,5% del mercato dei prodotti farmaceutici per gli animali e che commerciano materie agricole, cereali, carne, zucchero, cacao, caffè, ecc., dominando le vendite con una quota del 66,8%.
Se poi vogliamo estendere l’analisi alle prime dieci multinazionali, ricaviamo dati ancora più inquietanti, perché la quota percentuale controllata dalle prime 10 aziende nei settori farmaceutico-animale rappresenta l'80,5% del mercato mondiale del settore, mentre per l’agrochimica, che comprende fertilizzanti, pesticidi, diserbanti, ecc., la quota è del 93,6%. Tutto questo ci porta ad una conclusione di non difficile lettura: “La grande e crescente disponibilità finanziaria di cui dispongono queste multinazionali ha permesso, ed oggi più che mai permette, alle stesse di esercitare un’influenza diretta sui governi e sui partiti, finanziando carriere e campagne elettorali, sino a farle diventare molto più che esplicite nel rivendicare la loro presenza nei processi e negli spazi di governo del sistema alimentare globale. Non solo, la stessa influenza è quotidianamente esercitata sulla “scienza” e sull’opinione pubblica, attraverso la sponsorizzazione di progetti di ricerca, finanziando master e cattedre universitarie; attraverso la pubblicazione di articoli, spesso scritti o dettati dalle multinazionali stesse, sui grandi quotidiani e sulle riviste specializzate e non, nonché attraverso le massificanti campagne pubblicitarie televisive”.
Siamo arrivati ad un punto in cui, come per tante altre cose, i governi, non importa di quale colorazione politica, lavorano e legiferano solo più in funzione della posizione dominante delle multinazionali. Multinazionali che ormai sono arrivate addirittura a dettare l’organizzazione biologica e ambientale dei singoli stati. Multinazionali che ormai svolgono un ruolo chiave nella trasformazione del sistema e lo svolgono non certo a favore della salute dei cittadini. Un cittadino malato è un’enorme fonte di guadagno per le multinazionali del farmaco, che poi, a ben vedere, hanno gli stessi padroni di quelle che producono cibo.
Alla luce di tutto ciò, voglio sperare, in cuor mio, sapendo che tale speranza rimarrà vana, che non ci sia nessuno capace di credere che le recenti nuove direttive in campo alimentare da parte dell’Europa, e praticamente di tutto il mondo occidentale, siano state emanate a difesa dell’ambiente, della salute delle persone e per combattere la fame nel mondo. Certo, cibi e farine ricavati da larve, cavallette e grilli, nonché la carne sintetica, sono stati sdoganati dalla politica mondialista e dalle sedicenti associazioni a tutela dei consumatori per i nobili motivi su citati. Ma come riuscire a credere a coloro che – perché mi ripeto, i padroni sono sempre gli stessi – sulla “fame nel mondo” e sulla “devastazione ambientale” hanno costruito immense fortune, si calcola, annualmente superiori al PIL dell’intera eurozona?!
Riusciranno, anche stavolta, le grandi multinazionali che producono il cibo che abitualmente finisce sulle nostre tavole – ma anche armi, farmaci, pesticidi, cibi transgenici – e che hanno monopolizzato l’estrazione di petrolio, carbone, oro, diamanti, cobalto, nichel, uranio, ecc., a far credere alla gente che nei loro laboratori, sparsi quasi su tutto il pianeta Terra, ci sia qualcuno disposto ad occuparsi realmente e in maniera efficace della “salute del consumatore”, della “fame nel mondo” e della “salvaguardia ambientale”?!
Spero di no, ma temo di sì.
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