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Lo stiletto di Clio

Da Chivasso ad Asti in terza classe

Dall'età giolittiana ai giorni nostri, la linea ferroviaria tra Chivasso e Asti ha attraversato quasi due secoli di storia, fra ambiziosi progetti, opere ingegneristiche di rilievo e una realtà fatta di aspettative in parte disattese

La stazione di Brozolo

La stazione di Brozolo

La ferrovia Chivasso-Asti entrò in esercizio nel 1912, sul finire della cosiddetta età giolittiana. A binario unico, lunga cinquantuno chilometri, autorizzata dalla cosiddetta legge Bertolini, che derivava il proprio nome dal ministro veneto Pietro Bertolini, la linea richiese la costruzione di numerose opere d’arte, fra cui una galleria di quasi due chilometri e mezzo a Brozolo e un viadotto a dieci arcate di centoventi metri a Cavagnolo. La città della «tòla» si trovò così direttamente unita a quella delle cento torri.

20 ottobre 1912, inaugurazione della ferrovia Chivasso.Asti

20 ottobre 1912, inaugurazione della ferrovia Chivasso.Asti

A dire il vero, la proposta di collegare Chivasso e Asti risaliva al 1852: ad avanzarla era stato il parlamentare Vincenzo Bertolini di Canelli. Successivamente assorbita in un più ampio disegno che mirava a unire il porto di Genova ad Aosta e di lì, mediante un tunnel sotto il Monte Bianco, alla Francia e alla Svizzera, l’idea non aveva avuto seguito per diversi motivi. Non ultima l’ipotesi di congiungere Torino a Casale attraverso Gassino, Cavagnolo e Brusasco: questa ferrovia avrebbe dovuto correre interamente sulla destra orografica del Po oppure sulla medesima sponda sino a Brusasco, per poi passare sulla sinistra, a Crescentino.

Dopo l’apertura della linea Chivasso-Casale, attraverso Verolengo e Trino (1887), il progetto era tornato a destare interesse, ma solo nel 1907 il consiglio superiore dei Lavori pubblici lo aveva accolto. A eseguire l’opera in soli due anni e mezzo fu l’impresa del giovane ingegnere svizzero Jacques Sutter (1873-1939), il quale vi pose – come fece osservare il quotidiano «La Stampa» – «tutto l’ardore della sua anima d’artista». «Ciò che […] colpisce di più nel percorrere la nuova linea […] – notò il cronista – è un senso di armonica lietezza trasparente dalla grazia civettuola dei caselli per guardiani e dei fabbricati delle stazioni che, nel fondo delle valli o aggrappati al breve pendio d’una collina, fondono in sé il gusto di una semplice arte nostrana e la deliziosa visione del paesaggio, in certi punti di una strana ed intensa coloritura elvetica».

Pubblici amministratori e abitanti attendevano dalla ferrovia benefici che solo in parte si concretizzarono. D’altronde, come si prenderà formalmente atto nel 1923, il «prodotto della ferrovia Asti-Chivasso» non conseguì mai «il prodotto iniziale lordo previsto nell’atto di concessione». Per numero di passeggeri, escludendo Asti e Chivasso, le stazioni più frequentate erano, nell’ordine, Montechiaro, Montiglio-Murisengo, Cocconato, Chiusano-Cossombrato, Cunico-Colcavagno e Cavagnolo-Brusasco. Sulla linea, d’altronde, correvano soltanto quattro coppie giornaliere di treni. Non è privo di significato, infine, che quasi il novantadue per cento dei passeggeri viaggiasse in terza classe. Per coloro che si recavano a Chivasso o Torino, inoltre, era fortissima la concorrenza della tramvia a vapore di Brusasco, in esercizio dal 1883 ed elettrificata in due tempi, nel 1908 e nel 1931.

Le stazioni della Chivasso-Asti contribuirono vigorosamente a orientare l’espansione edilizia in tutti i paesi attraversati dalla ferrovia. Fu il caso di Cavagnolo, nel cui territorio risultò favorito lo sviluppo di Pomaretto: l’incrocio fra le strade di Casale e Crescentino finì per costituire il punto nodale della viabilità e dei traffici nel territorio, a scapito dell’antico Luogo.

È altresì vero, come rilevato da alcuni osservatori, che la ferrovia, favorendo l’esodo della popolazione agricola verso la pianura, pose le premesse per il suo successivo passaggio a Torino e negli altri centri industrializzati della provincia.

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