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Natura
12 Settembre 2024 - 22:17
“Questo grande formicaio ha più di un secolo di vita. Mia madre raccontava che era già così nella sua infanzia e come ne avesse paura quando con sua mamma andava a raccogliere legna nel bosco”.
Con queste parole Giorgio Inaudi inizia a raccontare la storia del formicaio che lo ha accompagnato nel corso dei suoi 75 anni. Si tratta di un formicaio centenario, che era già presente quando la nonna attraversava il Ciarmot, alle pendici del Monte Fort, “un bosco selvaggio e accidentato, come dice anche il nome, che è diminutivo di ‘ciarma’ (dirupo)”.
Da allora, ha continuato a visitare regolarmente questo elemento naturale.
“Quando ho un po’ di tempo, faccio una passeggiata nel bosco, porto giù un po’ di legna come facevano mia mamma e mia nonna indietro nel tempo” commenta.
Giorgio Inaudi è tante cose. Archeologo, alpinista, scrittore, nonno. Non si definisce un montanaro doc, dato che è nato e cresciuto a Torino, ma senza dubbio la sua vita è una storia di profonda connessione con la montagna, che ha coltivato insieme alla sua carriera in città. Dopo aver lavorato per molti anni come direttore della Fondazione del Gruppo San Paolo, adesso Giorgio è in pensione e si divide tra Torino, Balme e Verona, dove ha due nipotini.
Adesso noi siamo qui a raccontare la sua storia. Ma le vere storie che dovremmo leggere sono quelle che lui ha impresso nei diversi libri che ha pubblicato. Sono storie che raccontano la montagna, i suoi segreti e le sue memorie, ormai quasi dimenticate.
Come quelle dei montanari della Savoia francese e delle Valli di Lanzo piemontesi, che fino ad alcuni decenni fa mantenevano intense corrispondenze, nonostante fossero separati da una parete di roccia che non scende mai sotto i tremila metri. Oggi queste creste sono attraversate solo da alpinisti esperti e rimangono inesplorate dal resto della gente.
Conservare nel tempo le informazioni destinate altrimenti ad andare perdute è sempre stato uno dei suoi obiettivi. Per questo motivo Giorgio ha fondato anche la rivista Barmes News, dove si racconta la storia, la cultura, la natura del piccolo paese di Balme, che, arrampicato a 1500 metri di altezza, cerca di resistere al processo di abbandono che investe sempre di più le nostre aree montane.
Ne è un esempio l’Ecomuseo delle Guide Alpine di Balme, aperto nel 2002, e dedicato ad Antonio Castagneri, che inaugurò la pratica dell'alpinismo invernale effettuando la prima ascensione di questo tipo in Italia. “Oggi il paese mantiene il suo fascino per coloro che ricercano in montagna un ambiente naturale intatto e una cultura alpina ancora viva e spontanea, tuttora leggibile nella lingua francoprovenzale, nella musica, nella danza, nei costumi tradizionali” si legge sul sito online.
Certo, il fenomeno dello spopolamento ha radici profonde, le cause sono diverse e complesse e le soluzioni non sono facili da trovare. Ma è importante valorizzare i progetti come Barmes News e l’Ecomuseo perché, trasmettendo nel tempo le storie che hanno caratterizzato queste zone, ci ricordano che la memoria è un elemento fondamentale per qualsiasi azione che miri a ritrovare una vita in montagna.
Però, secondo Giorgio, non bisogna “rimpiangere i tempi dei nostri vecchi, perché era una vita durissima e c’erano degli aspetti legati alla fatica del lavoro che sarebbe sciocco rivivere”. Io aggiungerei anche che non bisogna avere la pretesa di (ri)scoprire un’identità alpina o montana autentica, che forse non è mai esistita, proprio per il fatto che le culture sono fluide e in continua trasformazione. Così come la montagna.
Con Giorgio parliamo proprio di questo. Di come è cambiata la montagna e delle nuove forme di attraversarla. “Una volta i boschi erano ripuliti, la gente raccoglieva la legna, molte zone erano utilizzate per il pascolo. Adesso tutto questo è finito. I posti che una volta erano frequentati adesso stanno diventando una specie di giungla: la natura si sta impadronendo nuovamente del territorio”.
Contemporaneamente il fenomeno del turismo sta crescendo sempre di più e Balme, trovandosi relativamente vicina a Torino, è una delle mete principali di molti amanti della natura e delle escursioni. Come il discorso sullo spopolamento delle aree montane, anche quello sul turismo è complesso. Una cosa certa, però, è che il turismo che oggi caratterizza la maggior parte delle nostre montagne, e cioè un turismo “mordi e fuggi”, come lo definisce Giorgio, può avere delle conseguenze negative in termini di sostenibilità.
Però, come abbiamo riportato anche in un altro articolo, stanno nascendo delle realtà che aspirano a creare un turismo diverso, più diffuso nel tempo e nello spazio, con l’obiettivo di favorire un’esperienza nuova con la montagna. In questo modo, i turisti in montagna potrebbero conciliarsi con un maggiore rispetto della natura, portando allo stesso tempo un beneficio economico alla popolazione locale.
Del resto, la storia di Giorgio può insegnarci qualcosa.
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