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Qualcosa di sinistra

Il Pd ha perso le sue radici? Il confronto a Settimo Torinese

Alla festa dell’Unità settimese, un dibattito tra vecchie glorie del Pci e Dc mette in luce l’indifferenza del popolo dem per la propria storia. Ecco cosa è successo

Il Pd ha perso le sue radici? Il confronto a Settimo Torinese

Berlinguer

Il tema non lasciava tanto spazio alla fantasia. Alla festa dell’Unità settimese è andato in onda un confronto politico il cui titolo parecchio pretenzioso, «La storia siamo noi», parafrasava quello di una fortunata trasmissione televisiva. Però le promesse erano ridotte ai minimi termini dalla più arida specificazione: «Pci, Dc ieri e Pd oggi». Insomma, roba da far fuggire anche il più appassionato e incallito dei militanti.

Beh, come dicevo, in un tardo pomeriggio infrasettimanale si è tenuto questo incontro dal sapore d’antan, presenti le vecchie glorie dell’ala migliorista del piccì torinese e un autentico esponente della diccì, confluito nel piddì, del quale ha ricoperto l’incarico di segretario regionale per un tot di anni. A introdurre, il presidente della Fondazione Silvano Rissio; a legare gli interventi, Mario Berardi giornalista torinese di area cattolica.

Nonostante la notevole competenza dei relatori e benché l’occasione fosse ghiotta (un confronto tra persone dai «natali» politici differenti, poi confluiti nello stesso contenitore), a mancare erano proprio i diretti interessati.

Insomma, non so se la «cosiddetta fusione a freddo» (o fredda) tra l’allora Margherita già Partito popolare e il trasmutante Democratici di sinistra già Pds vi dice qualcosa, ma l’argomento era questo e anche le sue conseguenze, ovvero il Pd. C’era qualcosa di vendicativo - a guardarsi intorno – nell’indifferenza del popolo del piddì per le proprie radici; nessuno, tranne gli oratori, sembrava volerne più sapere. Mentre la Festa, introdotta dall’immagine di Enrico Berlinguer (icona allusa ed emergente dal basso della locandina), è un brand che ha ancora un qualche valore tra i pensionati e parecchio nell’abito delle sagre e della buona cucina.

Tornando all’incontro, gli attori le cui parti erano assegnate da un copione collaudato si sono spesi in un confronto anche appassionato. Tracciate le coordinate dagli albori del piccì in avanti, per i convenuti il punto di snodo fu anticipato dalla campagna per il divorzio e il referendum che consentì alla Democrazia cristiana di verificare la mancata sintonia con il Paese.

L’occasione perduta sarebbe stata quella del 1996 (l’Ulivo), quando la resistenza dei gruppi dirigenti del piccìimpedì la nascita di un grande partito a vocazione maggioritaria. La lunga transizione per arrivare al piddì (2007)coincise perciò con la crisi di funzione politica dei partiti eredi del piccì e della diccì, inchiodati sull’interrogativo del «chi siamo» anziché «a cosa serviamo».

Mentre si allungava l’ordinatissima coda alle casse e i volontari s’industriano ad aggiungere tavoli per i commensali della Festa, i convenuti, constatando che il piddì è troppo schiacciato sui diritti individuali (cosa senz’altro vera), ne lamentavano l’indifferenza «verso le culture politiche che lo avevano generato».

La sostanza però è che quella storia non c’è più e chi ha voluto questo appuntamento sembra non farsene una ragione.

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