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Sant'Ignazio di Loyola: Leggende e Miracoli sulle Valli di Lanzo

Un articolo di Ariela Robetto per la rivista "Canavèis" dell'editore Baima e Ronchetti

IN FOTO Veduta aerea del santuario di Sant’Ignazio. L’edificio venne realizzato con il concorso della manodopera gratuita degli abitanti di Mezzenile, Tortore e Gisola

IN FOTO Veduta aerea del santuario di Sant’Ignazio. L’edificio venne realizzato con il concorso della manodopera gratuita degli abitanti di Mezzenile, Tortore e Gisola

Per chi giunge dalla pianura, la bianca evidenza del santuario dedicato a Sant’Ignazio di Loyola, arroccato sulla cima del monte Bastia, appare quale baluardo posto a difesa delle Valli di Lanzo. Molto è stato scritto sul sacro edificio: qui, però, mi occuperò solamente degli aspetti collegati alla tradizione, ai «si dice» della voce popolare, all’aura leggendaria che circonda il tempio e le imprese sovrannaturali del Santo che ne è titolare.

* * *

Iňigo Lòpez de Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, fu proclamato santo nel 1622 e già nel 1629 si erigeva sul monte della Bastia, presso Lanzo, un primitivo sacello a lui intitolato per opera di due sacerdoti, don Giovanni Battista Teppati, parroco di Mezzenile, nel cui territorio la cappella era compresa, e di suo fratello, don Giovanni Antonio, già cappellano in Torino della duchessa Cristina di Savoia, i quali, ormai da tempo, si adoperavano per diffondere nelle Valli il culto del Santo spagnolo.

Ad accrescere la devozione nei suoi confronti contribuì grandemente una invasione di lupi che si ebbe nel 1628: gli animali, affamati, scesero dalle alte valli facendo strage delle greggi e dei piccoli pastori posti alla loro guardia. Gli abitanti di Mezzenile, animati dal loro parroco, decisero di rivolgersi a lui: le loro suppliche furono esaudite e torme di lupi impauriti abbandonarono volontariamente quei territori.

IN FOTO Il santuario in una raffigurazione tratta da Lettres sur les vallées de Lanzo del conte Luigi Francesetti (1823)

IN FOTO Il santuario in una raffigurazione tratta da Lettres sur les vallées de Lanzo del conte Luigi Francesetti (1823) 

Se questa prerogativa del Santo si diffuse ovunque in Europa, grazie ad un gioco di parole sul suo nome, Lòpez-lupo, nelle Valli egli venne invocato anche in altre situazioni. Gli abitanti di Gisola e Tortore, due borgate prossime al santuario, iniziarono a richiedere il suo aiuto per debellare una gravissima mortalità dovuta alla zoonosi che affliggeva il loro bestiame: ben presto gli animali infetti guarirono e i contadini beneficati fecero voto di erigere una cappella in suo onore. 

Il Santo parve talmente gradire il voto che operò immediatamente la guarigione portentosa di un bambino, di un anno appena, in pericolo di vita ed, in seguito, dopo il miracolo, apparve a sua madre che gli era grandemente devota. Non solo: l’apparizione sulla cima del monte di due religiosi, con veste di colore nero come quella dei Padri Gesuiti, durò ben tre ore e fu testimoniata dal marito della donna e da altre persone che poterono osservarla da luoghi differenti.

Come se ne sparse notizia nelle Valli, crebbe enormemente la devozione nei confronti del Santo e da luoghi lontani si veniva a chiedere grazie presso la vetta, ormai ritenuta di Ignazio: fu così che si decise di erigergli una cappella, sbancando un tratto di monte per ottenere una spianata nella viva roccia.

Narra la tradizione che l’edificio, invece, dovesse sorgere molto più in basso, nel luogo dove oggi si scorge un oratorio lungo la provinciale, prima di entrare nel territorio di Biò (Traves); nottetempo, però, i materiali accatastati per la costruzione, si spostavano miracolosamente sulla cima del monte Bastia, dimostrando quale fosse la volontà di Ignazio. Ci troviamo di fronte al topos del santuario traslato, al Santo che legittima con il proprio intervento la scelta di un sito, quasi sicuramente già riservato in precedenza a onorare una divinità, in un rituale di presa di possesso del suolo.

L’incremento sempre maggiore della devozione in Piemonte, in Liguria ed in Lombardia, l’accorrere dei devoti alla cappella, la necessità di affidare a mani sicure le donazioni e le elemosine offerte al santuario, fecero sì che le comunità di Mezzenile, Gisola e Tortore decidessero di affidare l’edificio ai Padri della Compagnia di Gesù del Collegio di Torino, i quali, però, richiesero la donazione e remissione della cappella dotandola del monte della Bastia «per quanto si estendono i boschi di rovere che sono all’intorno di detto monte», cosa che avvenne nel maggio del 1677.

La costruzione del Santuario.

Nel 1725 i Padri Gesuiti affidarono al giovanissimo architetto Bernardo Vittone la progettazione di un grande santuario, poi realizzato anche grazie al concorso della manodopera gratuita degli abitanti di Mezzenile, Tortore e Gisola. All’interno, nell’ampio bacino centrale torreggiava una composizione lignea raffigurante Ignazio, con il compagno, attorniati da molte figure di angeli, sopra la vetta della rupe, affiancata da due altari. Purtroppo, le riforme liturgiche volute dal Concilio Vaticano II hanno fatto sì che la trionfalistica evocazione dell’apparizione sia stata retrocessa a favore di un altare rivolto verso i fedeli, non tenendo in conto l’asse di simmetria della composizione spaziale, quindi mortificando e annullando in parte il valore artistico dell’insieme.

La storia leggendaria del Santo e dell’edificio a lui consacrato pongono molti quesiti destinati forse a rimanere per sempre senza risposta e ad alimentare un misterioso alone intorno al sacro luogo.

Ci si domanda, ad esempio, se l’aver voluto conservare la vetta del monte quale fulcro all’interno del santuario, sia stato frutto dell’idea compositiva del Vittone, oppure una richiesta esplicita dei Padri Gesuiti, poiché il sasso, su cui il Santo fondatore aveva posato il piede, era divenuto pietra stessa consacrata (e, forse, lo era già stata in precedenza). Spesso, nella tradizione cristiana ricorre addirittura la consuetudine dell’impronta del piede lasciata dal venerabile nella roccia quale segno materiale della presenza del soprannaturale nel luogo sacro: ad esempio, nella basilica di Bolsena, dedicata a Santa Cristina, un altare racchiude il masso con l’impronta dei piedi che la martire avrebbe lasciato quando l’arcangelo Michele la trasse viva dalle acque in cui era stata scagliata, che si ritrova pure lungo l’antica mulattiera collegante Cantoira a Vrù, nella Val Grande di Lanzo. 

Incisioni di impronte pediformi sono presenti su numerosi massi e risalgono ad epoca protostorica: l’antichissimo simbolo dei piedi è diffuso in tutto il mondo.  Potrebbe risultare possibile che la vetta possedesse già, anteriormente, un qualche valore sacrale di cui la devozione al Santo spagnolo, in piena epoca di Controriforma, tesa a cancellare gli ultimi epigoni di antiche cultualità, ha cancellato la memoria. 

Occorre, infatti, ricordare che il monte, denominato della Bastia o del Castellazzo, fu sicuramente luogo anticamente fortificato del quale, purtroppo, i lavori di sbancamento per la costruzione del grande edificio distrussero ogni traccia. Va annotato che proprio la Compagnia di Gesù si prodigò per obliterare ogni possibile «deviazione» cultuale rispetto a quella proclamata quale dottrina ufficiale della Chiesa in quell’epoca. 

Un’altra domanda riguarda il fatto dell’aver voluto, da parte della comunità mezzenilese, proibire «in perpetuo a chi si sia di tagliare, o far tagliare nel detto bosco dedicato, né indi esportare foglie, rami o piante di veruna sorta, e le pietre e le loze ivi esistenti» (1): tale ingiunzione potrebbe essere indicativa di una qualche sacralità riferita al bosco stesso, come avvenne per gli alberi circostanti il santuario della Madonna Nera in Forno Alpi Graie. L’erezione della primitiva cappella dedicata alla Vergine nel territorio di Groscavallo, avvenuta in seguito ad un’apparizione, ebbe luogo nel 1630: i due edifici sacri, oltre ad essere coevi, condividono una simile leggenda di fondazione. A Forno Alpi Graie il bosco circostante il santuario fu l’unico a salvarsi dalla sconsiderata deforestazione che spogliò completamente i versanti alti delle tre Valli di Lanzo a partire dal XIII secolo, poiché tutto il legname reperibile fu usato per l’alimentazione dei forni fusori e delle fucine per la lavorazione dei metalli, collegata all’attività estrattiva presente sul territorio. 

Vi fu, forse, un nume sconosciuto a precedere Ignazio sul monte della Bastia, nume che la Controriforma volle assolutamente obliterare, senza che, tuttavia, le fosse concesso di abbattere il bosco in cui l’antica divinità aveva dimora?

Sant’Ignazio, protettore dei neonati.

Un altro mistero circonda la figura di Ignazio: egli fu considerato − e tale è ancora − protettore dei neonati (prerogativa che non vede altre simili forme cultuali a lui rivolte nel resto del mondo), e gli furono dedicati gli infanti, offerti nelle culle, come si può ben vedere in una stampa francese dei primi del Settecento, opera di Laurent Cars, in cui si ricostruisce l’apparizione del 1629, così come in un quadro della chiesa parrocchiale di Mezzenile, nonché in alcuni ex-voto conservati nel santuario. Dopo anni di abbandono, nel 1996 l’iniziativa della benedizione dei neonati riprese nuova vita al santuario per opera dell’allora rettore, monsignor Pignata. 

Si potrebbe pensare che tale forma devozionale abbia tratto origine dal fatto che egli aveva salvato i piccoli pastori dai lupi ed il neonato da morte sicura; era inoltre invocato contro i malefici con cui si credeva le vecchie masche potessero nuocere agli infanti. Appare assai strana però questa caratteristica, generalmente conferita alla Madonna o ad alcune Sante, come Anna, Agata, Liberata: la maternità e la prima infanzia sono, quasi sempre, poste sotto la protezione della figura femminile. Ad Ignazio, poi, erano votati in modo particolare i primogeniti ai quali veniva imposto il suo nome: esempio imitato in tutte le Valli. Da allora, tanti Gnasi e Gnassino popolarono la zona facente capo a Lanzo.

L’offerta del primogenito alla divinità appartiene ad antichissime cultualità diffuse ovunque nel mondo: il dono della fertilità e della procreazione è da sempre ritenuto provenire dalla benevolenza del nume che assicura in tal modo la continuazione della stirpe e l’eternità all’individuo.

Già in precedenza, la cima del monte aveva ospitato una divinità preposta a tale compito, impossibile da cancellare nella cultura e nel sentimento delle popolazioni valligiane, peculiarità, quindi, traslata al santo gesuita?

Come spiegare poi l’enigmatica raffigurazione dell’inglese Samuel Butler nel suo testo Alps and Sanctuaries of Piedmont and the Canton Ticino (1881), di un affresco, che compariva sulla parete esterna della chiesetta di Tortore, in cui Ignazio, seduto sulla vetta del monte, appare a colloquio con un centurione tebeo il quale, con l’indice destro levato, sembra indicargli il cielo o, più verosimilmente, ammonirlo? Sappiamo quale fortuna i martiri tebei abbiano riscosso nelle regioni alpine, tanto da convertire altri santi meno «appetibili» in soldati della legione capitanata da Maurizio. Pensiamo solamente ai tanti Vito − martire fanciullo siciliano del III secolo − divenuti Vittore – martire e milite tebeo − anche nelle stesse Valli di Lanzo.

Il soldato raffigurato da Butler nel suo diario di viaggio fu forse un martire appartenuto all’Angelica Legio, soggetto a qualche forma di culto nella zona, che il Santo spagnolo aveva «detronizzato» dal suo monte, ma che, ancora, rimaneva nel sentimento religioso dei valligiani?

Infine, come spiegare la leggenda, assai diffusa nelle Valli, di Ignazio, Cristina e Vittore, i tre litigiosi figli della Madonna (una blasfema eresia popolare!) che la Madre relegò sulla cima di tre monti visibili l’uno dall’altro, ma separati da ampie valli, affinché terminasse ogni occasione di contesa fra loro? Ignazio sul monte della Bastia, fra la Valle Stura e quella del Tesso; Cristina sulla montagna fra Ceres e Cantoira; Vittore sull’altura fra Balangero e Corio: tre Santi importanti, grandemente venerati nei loro santuari, ridotti a ragazzetti impertinenti e capricciosi, che nemmeno la dolce Madre di Dio riusciva a sopportare. Erano forse le tre cime ad essere il fulcro dell’attenzione valligiana, un triangolo sacro acquisito dalla fede cattolica che continuò in nuove forme un’antica devozione?

Una strategica triangolazione impastata di leggendario, la quale potrebbe fornire non banali indizi al ricercatore che intendesse occuparsi della storia più antica delle Valli di Lanzo.

Nota

1. Verbale del Consiglio dei Capi di Casa dell’anno 1677, pubblicato in Storia del Santuario di S. Ignazio di Loyola  presso Lanzo Torinese, Torino, 1894, p. 34.

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