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18 Giugno 2024 - 09:15
Un tempo Montanaro era considerato e chiamato «il paese dei muratori», ed essi erano rinomati come i biellesi ed i ticinesi.
Erano numerosissimi e svolgevano con competenza e maestria l’attività in tutti i campi dell’arte muraria. Una branca di questa era la specializzazione in costruzione di ciminiere per stabilimenti, distillerie, fornaci, fonderie ed acciaierie che erano indispensabili per un buon funzionamento delle lavorazioni industriali.
La costruzione consisteva in un lavoro esclusivamente manuale, in mattoni da sfaccettare con l’uso costante di scalpello e martello, che richiedeva grande precisione e notevole capacità professionale.
Occorre tenere presente che non erano ancora in uso i moderni macchinari ed ausili tecnici e nemmeno esistevano i ponteggi metallici, per cui questa attività poteva anche diventare pericolosa.
* * *
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento e nei primi del Novecento si distinsero in tale campo i montanaresi fratelli Clara di Carlo (Fleur): Alessandro, nato a Montanaro il 16 dicembre 1862, deceduto a Torino il 24 febbraio 1933; Giuseppe Antonio (Toni d’la Fleur), nato a Montanaro il 23 agosto 1865 ed ivi deceduto il 22 giugno 1963, a quasi 98 anni; Carlo, nato a Montanaro il 5 dicembre 1876, deceduto a Torino il 1° dicembre 1919 per malaria contratta in Sardegna, ad Oristano.
Nell’ultimo periodo della loro attività artigianale vennero coadiuvati dai due figli di Giuseppe Antonio: Carlo junior, nato a Montanaro il 20 novembre 1893, deceduto a Torino il 21 gennaio 1938, e Mattia, nato a Montanaro il 29 settembre 1895 ed ivi deceduto il 31 ottobre 1982; nonché dal giovane figlio di Carlo senior, Mario, nato a Montanaro il 15 giugno 1905, deceduto a Torino il 16 luglio 1976. Tutti e tre impararono bene il difficile mestiere dai loro padri e lo misero a profitto.
Altri montanaresi appresero pure il mestiere dai Clara e collaborarono con loro, tra cui Michele Pastore, nato a Montanaro l’11 dicembre 1878 ed ivi deceduto il 12 novembre 1963, e Giuseppe Bassino (Balarin), nato a Montanaro il 22 ottobre 1890 ed ivi deceduto il 1° ottobre 1950, nonché alcuni manovali che li seguivano nei vari spostamenti, mentre altra manovalanza sarebbe poi stata reclutata sul posto all’occorrenza.
IN FOTO Giuseppe Antonio Clara (1865-1963) – Toni d’la Fleur – qui ripreso nel suo 97° anno di età.
La stirpe dei Clara.
I fratelli Clara, dapprima provetti muratori, costruirono ciminiere a Torino per la fabbrica di cioccolato della Venchi-Unica e per quella di birra della Boringhieri, ed in quasi tutte le zone del Piemonte: a Pessione per il noto stabilimento dell’allora Martini&Rossi, tuttora attivo sotto altra ragione sociale; poi per altri stabilimenti a Chieri, Rivoli, Collegno, Altessano, Pianezza, Venaria Reale, Avigliana, Verzuolo per le Cartiere Burgo; a Torre Pellice, Fossano, Mondovì la Trinità, Bra, Tortona, Nizza Monferrato, Canelli, Canale d’Alba e Alba, Novi Ligure, Ceva, Garessio, Ormea; per distillerie nell’Astigiano, nell’Albese ed a Vignale Monferrato; per filature e tessiture nel Biellese a Biella, Cossato, Trivero, a Borgosesia e Quarona di Varallo Sesia, e per numerose fornaci in Val di Susa e Val Chisone, Coazze, Condove.
Si spinsero in Liguria a Genova e Savona, Cogoleto e Vado Ligure, in Emilia e Romagna nelle province di Piacenza e Ferrara. Nel 1910-1911 a Fiume e Trieste; in Campania a Ponte Fratte di Salerno tra il 1912 e fino a parte del 1914 per una fornace, ed altre per stabilimenti di industrie conserviere.
Finita la Prima guerra mondiale sbarcarono in Sardegna a Porto Torres per dirigersi sulla costa occidentale sarda a costruire ciminiere a Solarussa e Torre Grande, allora in provincia di Sassari, poi costruirono a Oristano, ove tutti contrassero la malaria e dovettero (come dicono i sardi) «essere rimpatriati in continente» per essere curati a Torino, all’ospedale Mauriziano. Guarirono dopo parecchi mesi, eccetto Carlo senior, che rifiutò il ricovero e purtroppo, invece, morì.
IN FOTO anni Trenta del ’900. Maestranze impegnate nella costruzione della ciminiera dello stabilimento Chez Laval a Reims, città dello Champagne-Ardenne, nella Francia settentrionale.
Antonio fu anche in Svizzera a La Chaud-de-Fonds addetto alla costruzione di ciminiere. Anche suo figlio Mattia lavorò all’estero, in Francia a Reims, nella regione della Champagne, dipartimento della Marna, dove era stato chiamato nel 1921 per la ricostruzione della città, semidistrutta dai tedeschi che puntavano su Parigi nella Grande guerra e furono fermati poco oltre, a circa 15-16 chilometri, nelle furiose battaglie che si svolsero sulle collinette circostanti, a cui presero parte anche molti soldati italiani, e 5.000 di loro caddero e vennero sepolti nei pressi, nel cimitero di guerra italiano a Bligny.
Chi scrive l’ha visto alcune volte, assieme ai genitori negli anni infantili, allorquando il Console italiano, al tempo di stanza a Reims, ogni anno radunava tutti gli italiani dimoranti nella zona per la rituale commemorazione dei caduti, e gli è rimasto indelebile nella mente.
Terminata la ricostruzione della città, Mattia Clara rimase ancora a Reims per una decina d’anni ed anche colà, seguendo le orme del padre e degli zii, usufruendo dell’esperienza acquisita, riparò numerosi altiforni e ciminiere, e ne costruì due nuove, una per la fabbrica di cioccolato Chez Mignot, l’altra per lo stabilimento Chez Laval, tuttora in attività.
Anche i loro collaboratori Pastore e Bassino portarono la loro arte all’estero. Il Pastore costruì ciminiere in Romania, e Bassino (che lavorò più a lungo con i Clara) nel 1925 costruì una ciminiera a Marsiglia, nel 1937-1938 un’altra a Orano in Algeria; tornato in Italia costruì una ciminiera alta 90 metri a Massa Carrara per uno stabilimento chimico; rientrato definitivamente in Piemonte lavorò a Verzuolo e Borgomanero, ed infine nel 1944 costruì quella della fornace del pozzo a Chivasso, che ora non c’è più.
In Italia, in molte località ove i Clara costruirono le ciminiere, ancora oggi si possono ammirare le loro opere, per le quali eseguivano i disegni loro stessi, alcune assai ardite sia per l’altezza (da un minimo di 35/40 ad un massimo di 90 metri), sia per i metodi di costruzione, tenendo conto dell’assoluta mancanza di tecnologia di quel tempo.
Le loro non comuni capacità e la perfezione nell’esecuzione del lavoro li resero noti in quel campo, tanto da non conoscere crisi, e talvolta, con dispiacere, non riuscivano ad ottemperare a tutte le richieste. I Clara operarono sempre correttamente e con tanta onestà, senza peraltro mai approfittarne ed arricchirsi, accontentandosi del giusto compenso pattuito e paghi della piena soddisfazione condivisa per la felice realizzazione dell’opera loro affidata.
Qualche committente particolarmente generoso, elargiva in alcuni casi una buona mancia a fine lavoro, come ad esempio lo scudo d’argento avuto nel 1900 a Vignale Monferrato dal proprietario della distilleria, e i tre tagli per vestiti di buon tessuto di pura lana pettinata ricevuti dalla famiglia Zegna, industriali tessili a Trivero Biellese, nel primo decennio del Novecento, segni di riconoscenza ricordati con orgoglio dal nonno Antonio. Anzi, essendo un artigiano, egli non ebbe mai alcuna pensione, e scherzando affermava che, vivendo così a lungo, avrebbe potuto mandare in malora il governo.
In effetti la legge sulla previdenza agli artigiani risale soltanto al 1960, e coloro che superavano i 65 anni non ne avevano diritto, contrariamente a quanto fu applicato per altra categoria!
Una vita di ricordi.
Antonio Clara durante il lungo peregrinare lavorativo nelle varie regioni italiane si formò un vasto bagaglio di cultura popolare. Era molto piacevole sentire dalla sua viva voce, nel corso della sua serena vecchiaia con noi, ricordare gli episodi della sua vita con straordinaria lucidità e memoria formidabile. Raccontava con vivacità le vicissitudini delle varie costruzioni delle ciminiere e le colorava con visioni paesaggistiche dei vari luoghi: riportava usi e costumi differenti dai nostri, i diversi metodi di cucina, le tradizioni religiose locali cui aveva assistito, le diverse parlate delle varie località, inflessioni dialettali che talvolta rendevano quasi incomprensibile un medesimo vocabolo nello stesso Piemonte. E molte altre curiosità divertenti.
Tra i bei ricordi rammentava però anche una drammatica vicenda occorsagli nel 1900 ad Avigliana. A distanza di tantissimi anni ed ancora molto emozionato, riferiva che mentre stavano riparando una ciminiera della polveriera, avvenne una tremenda deflagrazione che squassò tutta la fabbrica, non abbatté la ciminiera sulla quale era salito Alessandro e vi stava lavorando, ma la fece ondeggiare paurosamente avvolgendola in un grande nuvolone di fumo denso e polvere nera, togliendolo così alla vista dei fratelli Antonio e Carlo che stavano a terra testimoni oculari ansiosi e ignari della sua sorte.
Soltanto dopo un’interminabile ora i pompieri riuscirono a far scendere dall’esterno l’Alessandro indenne dalla terrificante avventura. Grazie a Dio, né i Clara né i loro collaboratori ebbero mai altri grossi guai durante la loro attività, né gravi conseguenze ad inevitabili piccoli infortuni.
Ormai le tecniche edili sono enormemente migliorate con la moderna tecnologia, e si ritiene oggi doveroso valorizzare quei coraggiosi muratori che operarono tra grandi difficoltà, senza supporti tecnici.
Per lunghi periodi stavano lontani dalle proprie famiglie, con mezzi di comunicazione quasi inesistenti (non avevano telefoni, e gli eventi famigliari, nascite e morti, venivano loro comunicati solo a mezzo telegrafo dove esisteva la ricevitoria, e non sempre gli avvisi venivano subito consegnati).
I viaggi ferroviari e navali erano molto lenti, non tutte le località erano servite dalla ferrovia, e gli spostamenti allora erano vere maratone, con sulle spalle la bisaccia o tascapane contenente i ferri del mestiere e pochi indumenti personali, a piedi dall’ultima stazione più prossima alla destinazione, chiedendo passaggi a qualche carrettiere in transito, se si aveva la fortuna di incontrarlo.
Le vecchie ciminiere, ancora esistenti, da loro costruite in Italia e all’estero, vere opere d’arte muraria, rimangono a testimonianza per i posteri, soprattutto per i giovani che non hanno conosciuto la povertà di mezzi dell’epoca, della perizia dei muratori montanaresi specializzati in tale campo.
Testo tratto dalla rivista “Canavèis, pubblicato per gentile concessione dell’editore Baima e Ronchetti
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