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09 Luglio 2024 - 09:00
Vacche al pascolo nel Vallone di Sea, nel territorio di Forno Alpi Graie (Val Grande di Lanzo). Attraverso il Ghicet di Sea (m 2750) un sentiero porta alla Val d’Ala.
La fontina (formaggio grasso a pasta semicotta, fabbricato con latte intero di vacca di razza Valdostana, proveniente da una sola mungitura, ad acidità naturale di fermentazione, con un minimo di 45% di grasso sulla sostanza secca), è un formaggio valdostano?
La risposta è senza dubbio affermativa se si prende in considerazione il D.P.R. 30 ottobre 1955 n. 1269 che istituisce la DOC per la fontina, indicando come unica zona di produzione il territorio della Regione autonoma della Valle d’Aosta.
Le origini.
Sull’origine del nome gli studiosi valdostani hanno avanzato varie ipotesi, più o meno convincenti e che paiono un po’ forzate allo scopo di voler trovare una soluzione ad ogni costo.
C’è chi la collega al nome dell’alpeggio Fontin, nel comune di Quart, chi la fa derivare dal toponimo dalla località Fontinaz nel comune di Saint-Marcel, chi la riferisce al cognome di una famiglia di produttori di formaggio (de Funtina nel 1200, de Fontines nel 1300).
Il primo documento conosciuto in Valle d’Aosta che cita il vocabolo fontine è un conto del giugno 1717 riportato nel registro delle spese dell’Ospizio del Gran San Bernardo: «Je doi payer une fontine pesante un rupt [9,6 kg]…»; la stessa denominazione si ritrova poi in un documento del 1731, scritto dal conte de Challand.
Tuttavia è provato che non solo in Valle d’Aosta si producevano fontine, bensì in molte altre località dell’arco alpino piemontese per le quali si possono esibire ampie documentazioni.
Per quanto riguarda le Valli di Lanzo, il più antico documento finora ritrovato che cita la fontina, è conservato tra quelli della Tappa di Lanzo e riguarda una divisione redatta nell’anno 1800 dal notaio Rapelli Bartolomeo Fedele che dice: «Divisione tra li Cittadini Gio Battista, Giacomo Antonio e Giuseppe Bernardo frattelli Bonadè Bottino fù Gio Battista di Brenno di Mottera. L’Anno ottavo Repubblicano li dieci Messidoro / venti nove Giugno mille ottocento V. S. ... come pure indivise tutte le altre Bestie Bovine, Lanute, e Caprine, ed anche l’affittamento dell’alpe Vejletto proprio delli frattelli Virandi di q.to luogo res.ti in Lanzo, e dichiarare pure commune il Contratto seguito delle Fontine col Domenico Buon Tempo di Sale, come commune l’anticipata di danaro già fatta al medesimo per tal compra di d.[ett]e fontine…».
A proposito di tale documento, si deve osservare che è assolutamente impensabile che nell’anno 1800 un allevatore delle Valli di Lanzo potesse conoscere e apprezzare la fontina della lontana Valle d’Aosta, a tal punto da volerla imitare per ragioni commerciali.
Il vocabolo e il formaggio fontina erano dunque propri anche delle Valli di Lanzo. D’altra parte a quel tempo la stessa fontina non era ben definita nelle sue caratteristiche e sovente era prodotta, e talora confusa nei documenti e nei conti, ad imitazione del formaggio svizzero (e francese) gruyère, già allora conosciuto e stimato anche al di qua delle Alpi.
Nelle Valli di Lanzo le grivere sono ad esempio citate in un verbale di sequestro di beni del 21 giugno 1714. A tal Francesco Francone di Groscavallo, a causa di un debito non pagato a Giuseppe Clemente di Torino, furono appunto sequestrate oltre a 14 vacche, 1 manza, 1 vitello, 7 capre, attrezzi e masserizie vari, anche «forme n° dieci grivere in sale» del valore di lire 10 caduna.
Una prova che il termine fontina non era molto diffuso fino a epoche abbastanza recenti, si ricava addirittura dal primo vocabolario del patois valdostano, il Dictionnaire du patois valdôtaine (1907), opera dell’abbé Jean-Baptiste Cerlogne che, mentre cita la greviëre, non nomina la fontina.
Viceversa il termine «fontina» compare già molti decenni prima in due vocabolari della lingua piemontese: il Disionari piemontèis, italian, latin e françéis, del sac. Casimiro Zalli [Fontiňa, cacio dolce, cacio di vacca, caseus bubulus, fromage de vache, fromage doux], e il Vocabolario piemontese-italiano, del sac. Michele Ponza [Fontina, n. cacio dolce], entrambi usciti nel 1830 con la 2° edizione. Tali vocabolari citano anche la grivera, o gruvera.
IN FOTO Il paese di Forno Alpi Graie – un tempo denominato Forno di Groscavallo – ha origini molto antiche. In lontananza, le stupende vette del Vallone
della Gura che lo sovrastano.
I luoghi di produzione piemontesi.
Luigi Francesetti, conte di Mezzenile, consigliere comunale e sindaco di Torino, vicepresidente e poi presidente della Reale Società Agraria, autore di vari scritti di agricoltura, era proprietario di cascine in pianura e di alpeggi a Mezzenile nelle Valli di Lanzo. Nei suoi alpeggi produceva tome e fontine come si ap-prende da una lettera scrittagli, il 21 marzo 1849, dal figlio Cesare: «La primavera è indiavolata come l’autunno scorso. Siamo ormai senza fie-no e l’erba sugli alpi non può crescere per causa del vento. Non si è ancora incominciato a far fontine, forse farò incominciare giovedì».
Zuccagni Orlandini in Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole, vol. IV, Corografia fisica, storica e statistica degli Stati Sardi italiani di Terraferma (1837), ricorda i formaggi prodotti in provincia di Torino: «I formaggi ordinari della torinese provincia sono il grivera e il frontine (sic): nei luoghi di montagna si fanno eccellenti caci di latte pecorino e caprino».
La fonte più importante circa l’elevata quantità di fontina prodotta nelle Valli di Lanzo si trova nel Saggio di corografia statistica e storica pubblicato nel 1867 dal marchese Luigi Clavarino, che precisava: «Di fontina nei quattro mesi estivi si esporta dalle valli una quantità non minore di 7312 miriagr., che a L. 10 rende L. 73.120».
Inoltre elencava una ventina di alpeggi in cui era fabbricata la fontina: in bassa valle a Mezzenile (Alpe del Conte) e Ceres (Crosiasse, Alpe del Lago o di Coassolo); in Valle d’Ala ad Ala (Vallon); in Val Grande a Cantoira (La Drà), Chialamberto (La Paglia, Chiavanisso, Lombarda e Vassola, Veiletto, Sanbernero, Missirola, Unghiasse), Bonzo (Crosetto), Groscavallo (Vercellina, Alpetta, Sagnasso, Turione), Forno Alpi Graie (Piansotto, Baudro, Gura, Sea).
Nella sua guida turistica Da Torino a Lanzo e per le Valli della Stura (1883), Carlo Ratti, direttore della Rivista del CAI, affermava: «si ricava un burro eccellente e i formaggi conosciuti sotto i nomi di Fontina e Toma di Lanzo, che insieme ai caprini sono la principale fonte di esporta-zione delle Valli».
L’inchiesta I pascoli alpini del Cir-condario di Torino (1910), censiva e descriveva tutti gli alpeggi delle Valli di Lanzo, da cui si ricavano notizie sui luoghi dove ancora avveniva la produzione di fontina. La produzione di fontina si era ridotta rispetto a quanto riferito dal Clavarino quarant’anni prima, infatti la zona di produzione si era ri-stretta all’Alp San Bernè a Chialamberto, al Gias du solej a Bonzo, al Gias di Prima a Groscavallo e agli alpeggi presenti nella Valle di Gura, nel comune di Forno Alpi Graie. Infine nella Guida gastronomica d’Italia (1931) del T.C.I., le produzioni casearie delle Valli di Lanzo erano così riassunte: «Chialamberto e Valli di Lanzo [...] Burro, formaggio fontina, robiole morbide di latte di capra, giun-cà (ricotta salata), grossi formaggi caprini di sapore piccante».
Passando alla Valle di Susa e alla Valle Cenischia, le loro produzioni casearie furono trattate dal professor Maggiorino Assandro nella Monografia agraria illustrata della Valle di Susa, pubblicata in occasione della Esposizione di Torino del 1884, che così scrisse: «L’industria casearia nel nostro circondario è maggiormente sviluppata sopra le alpi dell’altipiano del Moncenisio ricche di pascoli […]
I prodotti caseari che si ottengono sono le grivere, le fontine, i formaggi bleu detti moriannesi o morriennenghi, i formaggi bianchi o tome ed i formaggi scadenti detti Sairas. Le grivere ed i formaggi bleu si fabbricano esclusivamente sul Moncenisio, le fontine sopra le alpi della Novalesa […] Le fontine si fabbricano, come le grivere, con puro latte di vacca».
Si noti, anche in queste valli, l’accostamento qualitativo tra fontina e grivere/gruyère.
In Val d’Ossola, provincia di Verbania, i produttori di formaggi si sono battuti a lungo, ma inutilmente, per ottenere l’estensione alla loro valle della zona di produzione della fontina. Hanno dovuto invece ripiegare sulla denominazione Bettelmatt (dal nome di un alpeggio al confine con la Svizzera), talora anche detto Fontossola, che recentemente è stato classificato come Grasso d’Alpe.
C’è ancora da segnalare che nell’inchiesta I pascoli nei comuni montani del Piemonte, pubblicata nel 1958, erano citate produzioni di fontina (il già citato Bettelmatt) nelle Valli Formazza e Antigorio (prov. Verbania) e a Frabosa (prov. Cuneo).
Infine, un’ulteriore prova che le fontine erano prodotte su tutto l’arco alpino occidentale è fornita dal Regio Decreto 13 novembre 1887, col quale il ministero dell’Agricoltura e delle Foreste bandì un concorso a premi fra i produttori di fontina delle regioni alpine, perché tale formaggio si era dimostrato capace di sostituire quelli del tipo dolci grassi di cui l’Italia faceva una larga importazione.
D’altra parte anche alcuni tra i principali vocabolari della lingua italiana si pronunciano a favore dell’origine del termine «fontina» e della produzione in Piemonte:
Treccani, Vocabolario: «Fontina, s.f. [voce piemontese, di origine sconosciuta]. – Formaggio grasso a pasta morbida, tipico di alcune zone piemontesi, e spec. della Val d’Aosta, prodotto con latte intero di mucca»; Garzanti, Grande Dizionario di italiano: «Fontina [fon-tì-na] n.f., pl.–e. Formaggio grasso di latte vaccino, tipico della Valle d’Aosta. Etimologia: ← dal piemontese funtina, di etimo incerto»; Hoepli, Grande Dizionario Italiano: «Fontina [fon-tì-na] s.f. Formaggio piemontese della Valle d’Aosta, grasso, morbido e dolce, prodotto con latte di mucca intero».
Da tutto quanto riportato, si deduce che la fontina non è, o meglio non è stata, un formaggio solo valdostano, ma prodotto, almeno in passato, anche su tutto l’arco alpino piemontese dove il vocabolo indicava un formaggio grasso preparato con latte intero o minimamente scremato. Pertanto, essendo il termine così diffuso, è probabile che l’etimologia vada riferita alla lingua che era utilizzata in tutte le regioni citate, ovvero al latino, o a parlate da esso derivate, con le voci fontis/fondis nel significato di «fondere», una delle caratteristiche che contraddistinguono questo tipo di formaggio.
Si noti inoltre che, come per la fontina, la stessa ampia distribuzione geografica alpina è propria anche della toma, che viceversa è un formaggio magro ottenuto, come prodotto secondario dopo la scrematura del latte vaccino, indirizzata alla primaria produzione del burro, con eventuale aggiunta di latte di pecora e capra.
* * *
In conclusione, le documentazioni storiche e le definizioni etimologiche esposte a suo tempo dagli studiosi valdostani per comprovare l’univoca origine valdostana della fontina, onde ottenere l’esclusività della denominazione d’origine controllata, appaiono, a un osservatore piemontese, alquanto di parte e artificiose.
La DOC fu ottenuta, oltre che per la bontà del prodotto e per l’antica tradizione, anche per la forza contrattuale della Regione Autonoma Valle d’Aosta nei confronti dello Stato italiano e sicuramente per l’assoluta mancanza di contestazione da parte dei produttori piemontesi, ormai rimasti in pochi e per di più sparsi in vallate distanti tra loro, che non avevano un’associazione o un’organizzazione che potesse farne emergere le rivendicazioni.
Così, a causa della legge che garantisce l’esclusività della denominazione fontina unicamente a quella prodotta in Valle d’Aosta, risulta oggi impossibile un eventuale recupero produttivo di tale formaggio in ambito piemontese.
Tutto quanto esposto, ovviamente, non toglie nulla alla Fontina della Valle d’Aosta, le cui riconosciute qualità ne fanno uno dei più apprezzati prodotti agro-alimentari italiani.
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