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Lo Stiletto di Clio
18 Giugno 2024 - 08:00
Fratta Polesine, il paese natale di Matteotti
Cent’anni fa, il 10 giugno 1924, una squadraccia fascista rapì il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, mentre si recava alla Camera dei deputati, e lo uccise brutalmente, occultandone il corpo in una boscaglia. Trent’anni più tardi, il 26 giugno 1944, ad Avigliana, durante uno scontro a fuoco tra SS italiane e partigiani della 41a brigata garibaldina «Carlo Carli», morì il sedicenne Guerrino Nicoli, nato a Chivasso nel 1927, residente a Settimo Torinese dal 1935, staffetta del comandante Eugenio Fassino.
Due morti, dunque. Un maturo parlamentare che apparteneva a una facoltosa famiglia borghese, laureato a pieni voti in giurisprudenza, e un giovanissimo operaio che lavorava alle Ferriere Fiat di Torino e vagheggiava l’avventura come un indomito cavaliere dell’ideale. Entrambi si figuravano un mondo libero dalle ingiustizie e dalle prevaricazioni del potere. A unire due personaggi tanto diversi, tuttavia, è la comune origine polesana. Le radici di entrambi, infatti, affondano in quella terra fra i corsi inferiori dell’Adige e del Po che le alluvioni hanno riplasmato infinite volte. Matteotti era nato a Fratta, mentre la famiglia Nicoli proveniva da Borsea: una quindicina di chilometri separano i due centri.
Fratta Polesine contava allora quattromila abitanti, mentre attualmente non supera i 2.500. Nel suo territorio, attraversato dallo Scortico, il corso d’acqua che mette in comunicazione l’Adige col Canalbianco, sorgono numerose ville nobiliari. Fra queste, la cinquecentesca villa Badoer, uno dei capolavori di Andrea Palladio. A Fratta, tra i braccianti agricoli, il battagliero socialista svolse parte della propria attività politica.
A Borsea, dove terra e acqua si uniscono, creando effetti cromatici sempre nuovi, spicca tuttora la chiesa di San Zenone, già dipendente dall’abbazia di Santa Maria della Vangadizza (Badia Polesine). Piccolo centro di contadini, Borsea perderà, nel 1927, il rango e l’autonomia di municipio, per essere unita a Rovigo. All’inizio del secolo scorso, la sua campagna era punteggiata dalle «corti», ognuna comprendente l’abitazione del padrone o del fattore, la stalla, il fienile, la porcilaia, il forno, la barchessa (la tettoia contigua alla casa colonica dove si ripongono i covoni di grano) e il pozzo.
IN FOTO Il giovanissimo Guerrino Nicoli, caduto ottant’anni fa
Regione di forti contrasti sociali, il Polesine di Matteotti e dei Nicoli era afflitto dalla miseria più nera. Costretti a risiedere in catapecchie malsane, spesso costruite con canne palustri e fango, i contadini conducevano una vita di stenti, cibandosi soprattutto di polenta. Rileverà impietosamente il torinese Piero Gobetti in un testo del 1924: «La situazione economica del territorio presenta tutte le varietà più interessanti, dalla cultura familiare all’industrializzazione agricola, delle terre bonificate; dal riso del basso Polesine alla canapa del Polesine settentrionale, al regime di piccola proprietà di Rovigo. […] L’industriale della terra bonificata deve seguire la logica dei costi sempre più bassi, con la naturale avidità favorita dalla miseria del proletariato; dove incontri il fittavolo o il piccolo conduttore di terre trovi, insieme all’arrivismo dello spostato, il sistema di cultura di rapina, con la crudeltà che va oltre tutti gli esempi».
La malaria, la pellagra e la tubercolosi mietevano vittime. «Povera plebe del Polesine, ingenua, grama, malarica, pellagrosa, ricca di passione e di istinto», farà osservare «La Rivoluzione Liberale», il periodico fondato e diretto da Gobetti, trattando della grande ondata di scioperi agricoli che è definita «la boje» (1884). «Nel basso e medio Polesine – puntualizzerà la stessa rivista – le grandi aziende hanno alle loro dipendenze braccianti fissi (che lavorano sul fondo e vi abitano) detti “obbligati”, perché vincolati da speciali contratti di lavoro. Il boaro custodisce il bestiame ed eseguisce le arature. Alcune coltivazioni si eseguiscono in compartecipazione fra conduttori dei fondi e lavoratori (canapa, granoturco, bietole, ecc.)».
IN FOTO Il deputato Giacomo Matteotti, ucciso un secolo or sono
Del gran numero di scariolanti (i manovali addetti al trasporto di materiali pesanti con le carriole) che attendevano, muniti di zappe, badili e carrette, alla manutenzione delle strade e degli argini fluviali, alla pulizia dei corsi d’acqua e a tutti i lavori di bonifica, i Nicoli conserveranno precisi ricordi. D’estate il loro canto si perdeva nella pianura assolata: «E voltela, rivoltela / e tornala a rivoltar; / noi siamo i scariolanti, oilì oilà, / che vanno a lavorar».
Nelle reminiscenze dei Nicoli, trasferitisi a Chivasso e poi a Settimo Torinese, il Polesine sarà sempre associato alle lotte per la dignità del lavoro. A cavallo del primo conflitto mondiale, avendo un’estesissima base di consenso tra i salariati avventizi, i socialisti sembravano non conoscere ostacoli: alle elezioni politiche del 1919 raccoglieranno circa il settanta per cento dei voti validi; l’anno dopo, alle consultazioni amministrative, conquisteranno tutti i comuni polesani.
A Chivasso e poi a Settimo, i Nicoli avranno talvolta nostalgia dei campi rodigini che si distendevano, fiancheggiati e intersecati da viottoli e canali, sino alla linea dell’orizzonte. Nelle loro rievocazioni, le case dei borghi avevano facciate disadorne, le strade erano polverose d’estate e fangose durante i periodi di pioggia. «Prati quasi senza erbe» – noterà Gianni Celati (1937-2022), uno scrittore assai poco sensibile ai richiami lirici – e «vecchie case con la sporgenza esterna del camino che rastrema all’altezza del primo piano, e la cima del camino è un’ardita torretta che punta verso il cielo». D’inverno, quando il vento dissolve la nebbia, «in quel mondo di colpo spalancato riappaiono – per citare il giornalista Sergio Zavoli (1923-2020) – gli orli rossi dei paesi, le esili fila dei pioppi, le righe dei canali».
Due vite non proprio parallele, quelle di Giacomo Matteotti e Guerrino Nicoli, ma entrambe recise prima del tempo, pur se in contesti assai diversi. L’antifascismo del deputato socialista – come ha recentemente ricordato Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica – era la «manifestazione di un impegno che avrebbe trovato […] eco nella lotta di liberazione». Quella stessa lotta a cui prese parte Nicoli, ragazzo sedicenne che voleva conoscere il mondo e sognava la libertà.
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