AGGIORNAMENTI
Cerca
Pagine di storia
28 Maggio 2024 - 09:30
Villa Vische
Penso che ognuno dei nostri paesi abbia uno o più edifici cosiddetti «storici», cioè risalenti ai secoli scorsi, alcuni in ottimo stato di conservazione, altri piuttosto decadenti.
Vische ha due chiese di pregevole fattura e un castello medioevale ora molto rimaneggiato. E poi c’è una costruzione che tutti i vischesi conoscono come la Villa, di cui qualche notizia è giunta fino a noi dai nostri nonni e che vedremo di «scoprire».
Si tratta di un maestoso edificio costruito in un elegante stile del Cinquecento; due ordini architettonici, il dorico e il composito, ne costituiscono essenzialmente le decorazioni, con pronao tetrastilo; le due ali laterali sono avanzate rispetto al corpo centrale. Uno scalone monumentale in pietra a doppia rampa conduce all’ingresso principale. L’interno colpisce per la sua grandiosità e la ricchezza di elementi decorativi. L’ampio ingresso interamente decorato con pregevoli stucchi e affreschi di argomento mitologico sul soffitto, conserva solo parte dell’arredo antico. Le fotografie testimoniano come negli anni passati l’arredamento fosse estremamente ricco di pregevoli e pregiati mobili, statue, quadri, argenterie, ceramiche. Altri due saloni e una sala da biliardo costituiscono le altre stanze al piano primo.
Vi è poi il piano mezzano, un tempo destinato agli alloggi della servitù, e il piano nobile, in cui si trovavano le camere da letto, la biblioteca e gli studi dei proprietari. Le grandi cucine sono tuttora visibili nel seminterrato. L’edificio è circondato da un vasto parco con alberi secolari ed arbusti di essenze pregiate, nel quale sono collocate le citroniere, le serre, le stalle, le scuderie ed una casa colonica abitata nel tempo da fattori e giardinieri.
Il professor Luigi Fornaca.
IN FOTO Pia Lobetti Bodoni, proprietaria della villa nel dopoguerra
Il conte Cesare Renato Birago.
Le prime notizie si trovano negli archivi comunali e si riferiscono ad una disputa che il Comune ebbe, nel 1851, in merito alla strada campestre detta di Scaròla. Vediamo i fatti che portarono a questa disputa.
Il conte Cesare Renato Birago, fratello del marchese di Vische Carlo Emanuele che dimorava nel castello ed era proprietario di quasi tutti i terreni intorno al paese, aveva più volte manifestato l’idea di costruire una grande villa per sé in regione Monticello, quando, alla morte del fratello, ne avesse ereditato i possedimenti. Carlo Emanuele lo aveva però sempre dissuaso dall’iniziare tale opera, forse perché egli aveva già l’intenzione di sposare una certa Teresa Cubito, governante del marchese Fossati, dalla quale aveva avuto un figlio. Il marchese Carlo Emanuele in effetti si sposò con la signorina Cubito, ma soltanto diversi anni più tardi, nel 1862, ormai in punto di morte.
Il conte Cesare Renato comunque non tenne in alcun conto i desideri del fratello marchese, decise di avere ugualmente la villa ed incaricò della costruzione l’architetto Sada; per la costruzione della villa si caricò di debiti. Il parco inizialmente aveva un’estensione che era appena la metà di quella odierna e confinava, verso mattina, con la strada comunale detta di Scaròla. Il conte acquistò un appezzamento che gli avrebbe permesso di raddoppiare l’estensione del suo parco, terreno che si trovava anch’esso verso mattina, ma che era diviso dal resto del parco dalla strada di Scaròla. Cominciati i lavori di costruzione della villa nel 1851, il conte Cesare Renato propose al Comune che gli levasse quella servitù, accettando la permuta della strada di Scaròla con un’altra situata verso mezzogiorno che egli si impegnava a far costruire.
Il Comune però non accettò la richiesta. Il conte non si dette per vinto e ripresentò la sua domanda due anni dopo, nel 1853, e poi ancora nel 1855, quando la villa era già terminata. Anche questa volta la risposta fu negativa, ma non solo, il Comune gli intentò causa per usurpazione di terreno comunale, effettuata con la costruzione del muro di cinta. La lite tra il conte Cesare Renato Birago e il comune di Vische si trascinò per anni e terminò il 25 gennaio 1860 con la sentenza del tribunale di Ivrea, che concedeva al conte il diritto di permutare le due strade. Nonostante la deliberazione del Comune che faceva propria la sentenza, non si sa per quale motivo la permuta non venne effettuata e il conte morì senza veder realizzato il suo desiderio.
IN FOTO I sontuosi interni della villa con i pregevoli stucchi e i grandi affreschi di argomento mitologico.
Villa Eureka a inizio Novecento.
Il conte non lasciò eredi, poiché la moglie era stata internata alcuni anni prima, perché impazzita, si dice, quando venne a sapere del matrimonio del cognato conte Carlo Emanuele con la signorina Teresa Cubito e della legittimazione del figlio di questa, che fu poi il marchesino Cesare Emanuele. Sta di fatto che alla morte del conte Cesare Renato la proprietà della villa passò al nipote marchesino, rappresentato prima dalla madre tutrice e poi dal cavalier Ponzini.
Pareva che tutte le dispute fossero terminate, invece la controversia tra il Comune e il cavalier Ponzini si protrasse per 52 anni, fino al 1903, quando la vecchia strada di Scaròla venne chiusa definitivamente. Intanto la villa era stata venduta nel 1901 e ne risultava proprietario il conte Britannio Sigray di San Marzano. Nipote di Ermolao Asinari, capostipite dei San Marzano, che fu marchese di Caraglio, signore di Costigliole d’Asti e noto uomo di grande caratura politica: ministro in Baviera, plenipotenziario a Napoli, firmatario dello Statuto di Carlo Alberto, primo segretario di Stato per l’estero della nascente Italia. Aveva sposato la nobile ungherese Barbara de Sigray, del cui cognome la famiglia poté fregiarsi con licenza imperiale austriaca, confermata successivamente in Italia.
Dal figlio Maria Giuseppe Adamo Sigray di San Marzano nacque a Torino il 20 aprile 1872, come terzogenito, Britannio Maria Polissena Luigi Giuseppe Adamo, che acquisterà poi la villa di Vische. Ufficiale dei granatieri sposò nel 1896 Maria dei marchesi Gavotti, e con lei era solito trascorrere lunghi periodi di vacanza nella villa. I conti ebbero sei figli, e per questo motivo ampliarono la villa facendo costruire il terzo piano.
Il conte Britannio fece parte del Consiglio Direttivo della Reale Società di Ginnastica di Torino, una delle più antiche e prestigiose società sportive del mondo (fondata nel 1844 da un’idea del famoso ginnasta svizzero Rodolfo Obermann, chiamato in Piemonte dal re Carlo Alberto per insegnare l’educazione fisica agli allievi dell’Accademia Militare). A Torino viveva nel palazzo Asinari di San Marzano, ancor oggi visibile in via Maria Vittoria 4. Due vecchie cartoline rappresentano la villa vischese identificandola nel 1911 come «Villa Eureka del conte Britannio S. di San Marzano» e nel 1916 come «Villa Eureka contessa vedova S. Marzano».
I nuovi proprietari.
Successivamente la contessa San Marzano vendette la villa al marchese Giovanni Medici del Vascello. I marchesi Medici del Vascello avevano avuto un loro avo ufficiale di marina, da qui ne derivò l’imponente veliero che troneggiava sul loro stemma araldico. Essi acquisirono il titolo nobiliare con regio decreto nel 1911, titolo che era tramandabile ai figli maschi primogeniti. La famiglia era originaria del Cremonese; a metà strada tra Cremona e Mantova, nel comune di San Giorgio in Croce, oggi si trova la residenza principale dei Medici del Vascello.
Il marchese Giovanni si sposò nel 1916 con Alessandra dei conti Rossi e con lei e i loro figli trascorse molti periodi di serena vacanza a Vische. Vi era un giardiniere fisso, ma numerosi contadini vischesi erano ingaggiati stagionalmente per occuparsi dei tanti lavori di cui un parco così grande e lussureggiante necessitava.
Sulle cartoline del periodo la villa di Vische viene citata con il nome di «Villa Alessandra». La famiglia Medici del Vascello, da fine Ottocento e fino al 1923, acquisì e si occupò della tenuta del parco della Mandria di Venaria, precedentemente appartenuta a Vittorio Emanuele II e utilizzata perlopiù come comprensorio di caccia.
Negli anni intorno al 1930 la villa di Vische venne acquistata dall’ingegnere Guido Fornaca, fratello del più noto conte professor Luigi Fornaca di Sessant. I Fornaca erano una famiglia di antiche origini, fatta risalire a Rodolfo Fornaca che nel 1634 risultava procuratore patrimoniale della città, del contado e della provincia di Asti, mentre suo figlio Gian Rodolfo Fornaca fu luogotenente del Regno Piemontese fin dal 1688. Nel 1722 la famiglia venne infeudata del cognome di Sessant in virtù di un matrimonio.
Luigi Fornaca venne investito del titolo di conte dal re Vittorio Emanuele III per aver curato e guarito la di lui figlia Giovanna, gravemente malata. Guido Fornaca fu amministratore delegato della Fiat, e più di una volta utilizzò il parco con le sue stradine come pista per provare uno dei tanti prototipi che in quegli anni gloriosi furono progettati.
Alla sua morte la villa passò al fratello Luigi, grande luminare della medicina nella Torino della prima metà del Novecento nonché munifico benefattore (a lui si deve il restauro del campanile della chiesa della Consolata di Torino).
I Lobetti Bodoni.
I due fratelli erano celibi e alla morte di Luigi, deceduto nel 1941, la proprietà di Vische venne ereditata dal nipote Enrico Lobetti Bodoni, figlio della sorella Maria. Maria Fornaca era sposata con l’ammiraglio Pio Lobetti Bodoni, dal quale aveva avuto quattro figli: Enrico, Pia, Giuseppina ed Ermenegilda (Gilda). L’eredità di Luigi andò ad Enrico, con l’usufrutto alla sorella Maria. Fatalità volle che Enrico morisse prima della madre, ucciso drammaticamente in tempo di guerra, e Maria diventò l’effettiva proprietaria della villa.
A Vische, nel periodo estivo da giugno ai Santi, venivano a villeggiare anche le figlie nubili di Maria, Pia e Gilda, quest’ultima prematuramente deceduta per leucemia. Pia e Gilda erano state nominate dalla madre eredi della villa di Vische, con la particolare clausola che alla loro morte la proprietà passasse ai padri Barnabiti, e così successe. Morta Gilda i frati ereditarono metà villa di Vische, che Pia comunque pagò per mantenere un’unica proprietà. Anche a Pia Lobetti Bodoni la sorte riservò una tragica fine: morì in un incidente stradale nel 1967 mentre tornava a Torino da una sua proprietà – la cascina Volpedo – nell’Astigiano. Alla morte di Pia, la sorella Giuseppina maritata con il conte Rimbotti, acquistò dai frati la villa che poi rivendette.
Celebre ancora ai giorni nostri la clinica torinese Fornaca di Sessant, fondata nel 1948 da Maria Fornaca in memoria del fratello Luigi. Anche l’altra clinica torinese nota come Villa Pia venne fatta costruire dai Fornaca, e proprio da Pia Fornaca Lobetti Bodoni, di cui conserva il nome.
La villa nel periodo bellico.
Durante l’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale la villa venne requisita e adibita a quartier militare dell’Alto Comando Tedesco. Il viceparroco don Michele Actis scrisse un accurato diario dei fatti succeduti a Vische dall’ottobre 1944 al 12 maggio 1945.
«Martedì 1° maggio 1945: (..) intanto cominciano ad arrivare muli, muli e muli, carrette, camion, carri armati, autoblindo, cannoni, autocarri, cucine fumanti e poi soldati e soldati. Sono due colonne provenienti contemporaneamente da Caluso e da Mazzè. In piazza s’incrociano, si urtano, si spezzano per ore ed ore in un caos indescrivibile ed invadono ogni casa, ogni cortile, ogni travata, ogni camera fino all’inverosimile, come veri padroni. Un corteo che non finisce mai.
Giovedì 3 maggio 1945: (..) la popolazione, saputo che i Tedeschi e specialmente i repubblicani, a causa della resa, distruggevano molto materiale o lo alienavano in cambio di generi alimentari, accorreva alla villa Lobetti Fornaca per impossessarsene. Tutta la giornata fu caratterizzata da questo accorrere febbrile di donne con le borse che riportavano colme di ogni ben di Dio: coperte, scarponi, stoffa, zucchero, marmellata, cioccolato, e il tutto qualche volta per una dozzina di uova… Gli uomini poi non erano meno solleciti delle donne (..). Nella villa Lobetti Fornaca la distruzione di materiale da parte dei repubblicani sorpassò ogni immaginazione: camions di materiali preziosi, metri cubi di filo elettrico, radio, telefoni, macchine da scrivere, persino coperte e materassi, tutto fu dato alle fiamme.
Venerdì 11 maggio 1945: (..) nelle prime ore del pomeriggio partono finalmente tutti i contingenti che furono di stanza a Vische e più tardi anche quelli di Barengo e di Mazzè. Al vedere quella fila interminabile di cariaggi e di muli, di cannoni e di carri armati, di uomini tristi e disfatti, si comprende quanto formidabile fosse ancora l’esercito tedesco».
Gli ultimi anni.
Del periodo post-bellico si hanno parecchie notizie. Dal 1948 al 1967 vi era un giardiniere, Amos Martini, che con la sua famiglia abitava nella casa colonica nei pressi della scuderia; la figlia Rosetta, che a quel tempo era una bambina, volentieri ha raccontato i suoi ricordi sulla vita nella villa.
Amos Martini aveva studiato da agronomo a Rivoli ed era iscritto all’Ordine dei Giardinieri. Proprio tramite l’Ordine nel 1948 gli venne proposto il lavoro presso la villa di Vische (fino ad allora aveva lavorato ad Alessandria, presso la Tenuta Frascara). Egli si occupava della coltivazione dei fiori e delle verdure nelle grandi serre; si occupava anche delle citroniere e del taglio delle alte siepi di bosso e di ligustro che fiancheggiavano le stradine del parco e dei giardini. Anche nei periodi in cui abitava a Torino, l’ultima proprietaria Pia Lobetti Bodoni veniva una volta la settimana, accompagnata dal suo autista, a prendere fiori e verdura.
Altre persone lo aiutavano, come il vischese Nino Bertone; un mezzadro di nome Bauchiero, originario del Monferrato, viveva in un alloggio sopra le stalle e si occupava degli animali, del taglio dei prati e della raccolta autunnale delle foglie. Un gruppo di donne del paese veniva assunto stagionalmente per provvedere alla pulizia delle stradine del parco.
Un autista, un cuoco o una cuoca, un cameriere ed una cameriera facevano parte della servitù e seguivano le proprietarie da Torino. Alcuni vischesi ancor oggi ricordano l’ultimo cuoco, un certo Clemente, uomo molto gioviale che spesso si recava in paese per la spesa.
I signori Fornaca sono ricordati dai paesani come persone riservate, che non partecipavano alla vita del paese ma che in più di un’occasione si dimostrarono generosi benefattori: al parroco don Carlo Frola venne elargita una cospicua offerta per la chiesa, e alle suore, che nel castello gestivano un convitto per ragazzi orfani e disagiati, venne lasciata in eredità una villa a Viù.
* * *
In seguito la villa di Vische è stata più volte venduta ed acquistata; ai giorni nostri è proprietà della famiglia Isola. Abbiamo scoperto come la Villa possa essere chiamata in tanti modi, derivati dai tanti proprietari che si sono succeduti (Villa Birago, San Marzano, Medici del Vascello, Fornaca di Sessant, Lobetti Bodoni), ma certo tutti vorranno permettere ai vischesi di continuare a guardare da lontano questa imponente dimora e chiamarla semplicemente la Villa di Vische.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.