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Vecchi orologi solari del Canavese: ecco dove si trovano le meridiane

Una ricerca di Silvano Bianchi per la rivista Canavèis di Baima e Ronchetti

Meridiana

Meridiana

Parlare di meridiane e orologi solari agli inizi del XXI secolo, in un’epoca in cui i frenetici ritmi della vita sono regolamentati al secondo, può sembrare anacronistico. Non bisogna dimenticare però che, al di là della funzione di ormai obsoleti segnatempo, furono proprio questi strumenti a regolare fin dagli albori della umanità sia la vita scientifica sia quella quotidiana del genere umano.

Attualmente, cioè dalla fine del XIX secolo ad oggi, non esplicano più tali funzioni e stanno pian piano scomparendo nell’indifferenza di chi li considera un inutile ricordo del passato non riflettendo sul fatto che, oltre a rappresentare una espressione della creatività popolare, racchiudono in sé un notevole bagaglio artistico e culturale. 

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Il Canavese presenta una tradizione gnomonica di notevole spessore: sono oltre novecento gli orologi solari  censiti, di cui più di 200 quelli attribuibili ai secoli dal XVI al XVIII e quasi 500 quelli risalenti al secolo XIX. Alcuni dei più vecchi quadranti sono ancora presenti sui nostri muri, con aspetto più o meno degradato, molti sono scomparsi e altri ancora sono stati recuperati con interventi che ne hanno conservato (anche se non sempre) l’aspetto originario.

In mancanza di indicazioni rilevabili dall’affresco stesso o di ragguagli bibliografici o di archivio, per stabilire l’epoca di realizzazione di un orologio solare si è fatto riferimento al periodo di costruzione o restauro dell’edificio ospitante, al contesto storico ed architettonico dell’epoca o all’affinità di eventuali elementi decorativi presenti sul riquadro con quelli di altre opere, non necessariamente gnomoniche, ma di certa attribuzione. Occorre anche considerare che la data eventualmente riportata sul quadro orario è di solito attinente all’orologio solare che stiamo osservando o di cui riusciamo ancora ad intravedere qualche particolare: nulla vieta che questo a sua volta costituisca il restauro o una riedizione di qualcosa di preesistente e quindi più antico (ferma restando l’età dell’edificio).

Tra i quadranti più antichi e di cui si conosce una data certa, riportata sul riquadro o documentata in atti d’epoca, emergono per importanza, precisione e finezza decorativa gli orologi solari che ora andiamo a descrivere.

Circa una sessantina sono quelli attribuibili al XVII secolo, anche se alcuni potrebbero avere una datazione precedente: l’orologio italico sul campanile del Duomo di Chivasso, ad esempio, è stato restaurato nel 1986 in una forma che si presume conforme a quella originaria e parrebbe risalire, da quanto è emerso ripulendo l’intonaco dalle manomissioni susseguitesi nel tempo, alla seconda metà del XVI secolo. Il tracciato esistente a fine XVIII secolo era stato ripristinato agli inizi del XIX in forma conforme ai dettami della Rivoluzione Francese, cioè con indicazione oraria di tipo oltramontano.

Sul campanile di San Giovanni Decollato a Cuorgnè era tracciato un orologio solare, di cui si è persa la memoria, che però è citato in un documento notarile del 7 giugno 1621: nella stesura dell’atto il notaio si premurava di indicare con precisione l’ora (1): «… venti una et mesa così vista dalla sfera solare nel campanile di San Giovanni Decollato». Tenendo conto che l’innalzamento del campanile risale al 1565, si può ipotizzare che il quadrante possa risalire alla seconda metà del XVI secolo.

Il torrione medioevale di Feletto ospita da tempo immemorabile un orologio solare che, nei secoli passati, era accompagnato dall’Arma Pontificia, facendo parte il paese dal 1019 dei possedimenti della Abbazia di Fruttuaria come feudo soggetto alla Santa Sede. L’attuale aspetto del quadrante è successivo al 1840, ma immagini di epoca anteriore lo mostrano, seppure da lontano, notevolmente diverso.

Vi sono infine i resti (solo più gli gnomoni infissi nella parete) di quattro orologi solari sulla torre di un palazzo di via Campeggio a San Giorgio Canavese.

san Ponso

Perosa Canavese

San Benigno

Andrate

Parella

Caluso

Chivasso

Nel XVII secolo vennero tracciati i quadranti qui di seguito indicati.

La data 1626 è riportata dal tracciato orario sulla parete dell’antico Convento di Caluso, ora Scuola di Enologia. L’orologio però ha sicuramente subìto successivi rifacimenti, tanto che nulla si può affermare circa il suo aspetto iniziale. L’unica certezza rimane appunto nella data trascritta proprio sotto il piede dello gnomone, che tra l’altro non è correttamente posizionato rispetto al tracciato orario mostrato.

Al 1644 risale l’orologio solare sulla facciata della cappella Suplin (San Matteo) a Carema, accanto alla Parrocchiale, chiesetta appartenente alla Confraternita del Santissimo Sacramento. Il quadrante, ad ora italica e fortemente orientato a ponente, è venuto alla luce nel 2011 a seguito di operazioni di restauro del tempio ed è stato recuperato alla vista, ma non al funzionamento, solo nei tratti ancora visibili del tracciato orario.

Del 1655 è la meridiana di Perosa Canavese, in via Umberto 40. Il tracciato orario (italico, con orientamento mattutino), seppure molto sbiadito e scolorito, corrisponde ancora a quello originario ed offre tutta una serie di trionfi d’arma e bandiere compresi in una sorta di palcoscenico sorretto da due cariatidi. La data riportata coincide con quella di innalzamento del palazzo della famiglia Perrone, conti di San Martino dal 1604.

26 agosto 1670 è datata la coppia di orologi solari sul campanile della chiesa cimiteriale di San Maurizio Canavese, datazione attestata dai documenti d’archivio, che riportano anche il motto di uno dei due orologi: LABITUR OCCULTE FALLITQUE VOLUBILIS AETAS (cioè: Il tempo che scorre se ne va di nascosto e inganna). Purtroppo dei due quadranti non rimangono che i riquadri intonacati con ancora gli gnomoni infissi.

Molto bello era l’italico di San Martino Canavese, in via Torreano 14, datato 1687 (la data è ancora riportata sull’attuale riquadro). L’orologio, che fortunatamente presentava ancora lo stilo correttamente posizionato ed una buona visibilità delle orarie, è stato pittoricamente restaurato nel 2005, ma non è stata riprodotta la pregevole cornice decorata, per cui ha perso molto del primitivo fascino.

Ed infine, conosciuto in tutto il mondo, è il complesso gnomonico di San Benigno Canavese, in via Miaglia: i quattro famosi orologi solari (rispettivamente ad ora antica, babilonica, italica e francese) sono stati tracciati da uno sconosciuto Martinus Blancus nel 1699 (2) e vengono mantenuti, dal punto di vista pittorico, in buono stato.

Al XVII secolo possiamo ancora attribuire (limitandoci agli esemplari più meritevoli di citazione): i quadranti del cortile d’onore del castello di Parella (databili attorno alla metà del XVII secolo), molto malandati; uno di questi riporta la firma S. Formentus, nome di un noto pittore dell’epoca che operò nei lavori di ristrutturazione del maniero. Anche i cinque orologi solari tracciati sulle pareti del castello di Foglizzo paiono risalire alla seconda metà del secolo (3); e poi ancora alcuni dei quadranti del chiostro del Convento di San Bernardino ad Ivrea ed una parte dei 17 orologi solari del castello di Masino, se non tutti: la precisa attribuzione è però molto discussa, essendovi una scuola di pensiero che li colloca nel XVIII secolo.

La produzione del XVIII secolo è decisamente più abbondante: oltre 170 orologi solari censiti. Salvo alcuni esemplari mirabilmente restaurati, per esempio quello del battistero di San Ponso (1767), restaurato nel 1998, molti sono irrimediabilmente scomparsi: citiamo l’orologio solare della chiesa di San Francesco ad Ivrea risalente al 1722; o la meridiana a camera oscura, 1762, nella parrocchiale di Andrate, opera di Giovan Battista Beccaria. Laddove ancora esistono sono uniti, per la maggior parte, da un comune denominatore: lo stato di degrado ed abbandono, che li porterà a scomparire di sicuro molto più velocemente di quadranti più antichi. Purtroppo riesce difficile fare comprendere a chi di dovere che gli orologi solari rappresentano sì un aspetto secondario dell’arte e dell’ingegno umano, ma è pur vero che «ogni arte, ogni cultura che si perde non si recupera più».

 

Note

1. Mario Bertotti, Appunti per una storia di Cuorgnè, R. Enrico, Ivrea 1983.

2. Silvano Bianchi, I quadranti di San Benigno in «Canavèis» n. 9, prima serie, agosto/settembre 1996.

3. Silvano Bianchi, Gli orologi solari del castello di Foglizzo in «Gnomonica Italiana», n° 13, 2007.

TESTO CONCESSOCI 

DALL’EDITORE BAIMA

 E RONCHETTI  

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