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Perdere la vita in 20 secondi. A 20 anni. La morte di Lucio Gasparella.

Una terribile e misconosciuta storia degli anni di piombo.

Perdere la vita in 20 secondi. A 20 anni. La morte di Lucio Gasparella.

Venti secondi.

Nel clima arroventato degli anni di piombo, il lasso di tempo in cui un essere umano normalmente respira quattro o cinque volte è sufficiente per condannare a morte una persona.

Accade in località Perosa, al confine tra Rivoli e Rosta, il 1° marzo 1981.

Sono circa le 11 e una coppia di amici, Lucio Gasparella e Marcello Andrea Destefanis, 20 e 21 anni, sono sulla Ritmo del padre del primo. Stanno tornando alle loro abitazioni di Rivoli da Avigliana, dove Lucio ha partecipato a una gara di tiro con la pistola al poligono.

Lucio Gasparella e Marcello Destefanis

All’altezza del sottopassaggio della linea ferroviaria Torino-Modane, i due decidono di abbandonare la Statale 25 e di imboccare una stradina di campagna che si infila nei boschi. Quella è una zona dove vengono abbandonate le auto rubate ed è frequentata da prostitute ma i ragazzi non hanno in mente di levarsi un capriccio piccante. Fermano l’auto dopo un paio di centinaia di metri e scendono portandosi dietro una rivoltella. Non la Walther calibro 22 usata per la gara, che viene lasciata dentro la sua scatola in macchina, ma una Beretta 9 mm con la matricola abrasa. Non sono in quel posto per commettere un omicidio o un qualche reato: vogliono solo sparare ancora a dei barattoli appoggiati a un albero.

Non si sono accorti che, dall’altra parte della strada asfaltata, una gazzella dei Carabinieri ha notato la loro svolta nello sterrato. I militi li seguono molto lentamente e, giunti a una cinquantina di metri dai ragazzi, si qualificano in tre e intimano l’alt sparando col mitra in aria. Al momento delle detonazioni, Gasparella si trova con la cuffia para-rumore intorno al collo e la Beretta in mano scarica, mentre Destefanis stringe nelle mani due caricatori della stessa arma. Istintivamente Lucio alza le mani in alto ma la distanza tra lui e i Carabinieri tramuta un gesto di arrendevolezza in uno di presunta minaccia. Passano 20 secondi, quattro o cinque respiri che sembrano durare un’eternità. Uno dei gendarmi si stende a terra, punta il mitra ad altezza uomo e fa partire una serie di colpi in rapida successione. Destefanis scappa nella boscaglia abbandonando dietro di sé le cartucce e lasciandosi alle spalle Gasparella che rimane fermo, pietrificato. Una raffica lo colpisce in pieno, ammazzandolo sul colpo.

Il cadavere di Gasparella

Figlio di un ingegnere dell’Aeritalia, è proprio il padre a raccontare chi era la vittima: “In questi casi si dice di solito che l'ucciso era il più bravo ed il più studioso dei ragazzi. Ebbene, mio figlio non era il più bravo né il più studioso fra tanti giovani della sua età. Anzi, a scuola non andava troppo bene. Però non era un fascista, né tantomeno un terrorista: era solo un ragazzo appassionato di armi, con la pistola da tiro a segno regolarmente denunciata e la stanza colma di libri sull'argomento. Un giovane pulito, che non voleva saltare il servizio militare, e sperava di farlo proprio nei Carabinieri. Dopo una gara in poligono ad Avigliana ha continuato il tiro a segno nei prati: una cosa illegale, che ha pagato con la vita. Ma etichette vergognose non ne merita”.

L'ingegner Gasparella

Anche gli amici concordano: “Volevamo dirvi soltanto che non ha mai fatto politica. Nella disgrazia risparmiategli almeno le accuse di estremismo e di tentato omicidio”. Il padre di Marcello è sulla stessa linea: “Macché terroristi e neofascisti: per quanto riguarda mio figlio dopo le mattane di quando era ragazzino la politica è una cosa finita. Ha appena finito di fare il militare ed è cambiato. È partito con una testa ed è tornato con un'altra”.

La pista politica viene seguita perché i due avrebbero avuto simpatie di destra e molte conoscenze nell’ambiente neofascista di Rivoli, a quei tempi molto agguerrito. Oltre a questo, perquisendo i due alloggi, vengono sequestrati cimeli della Seconda guerra mondiale, elmetti di diversi eserciti, cinturoni, maschere antigas e tute mimetiche.

Si ipotizza che i due stessero preparando un attentato e negli archivi della polizia viene trovata una denuncia a carico di Destefanis che, un paio di anni prima, aveva partecipato a una spedizione squadrista nei confronti di esponenti di sinistra.

Questi sospetti vengono corroborati dalla versione dei fatti fornita dai gendarmi nell’immediatezza dei fatti. Secondo la loro testimonianza, l’intervento in armi si sarebbe reso necessario a seguito di una pistolettata che sarebbe stata sparata per prima da Destefanis. Il ragazzo poi sarebbe fuggito e avrebbe abbandonato il revolver e i caricatori della 9mm abrasa in un canale di scolo. Il problema è che questi, arrestato la sera stessa della tragedia a casa di un’amica a Leumann, nega recisamente e che, soprattutto, l’arma che avrebbe rivolto verso i Carabinieri non verrà mai ritrovata.

Creduto dal giudice istruttore, Destefanis viene processato per direttissima esclusivamente per porto e detenzione di arma da guerra, escludendo quindi il tentato omicidio. Viene condannato a due anni e due mesi, venendo subito scarcerato. Nessuna comunicazione giudiziaria per i tre tutori dell’ordine.

In aula la sua ricostruzione è ancora diversa e più dettagliata: “Io tenevo in mano il caricatore con la scatoletta dei proiettili quando Gasparella ha avvertito la presenza dei Carabinieri che, notata l'auto posteggiata ai bordi della strada, erano ormai sulle nostre tracce. Ho detto al mio amico <<Andiamocene!>>. Subito dopo è arrivata l'intimazione da parte di uno dei tre Carabinieri che impugnavano tutti e tre un mitra. Mi sono spaventato, ho lasciato cadere pallottole e caricatore, mi sono girato verso il bosco e sono scappato. Uno dei militari si lanciato al mio inseguimento. Lucio è rimasto come paralizzato”. I periti accertano che l'arma in mano alla vittima non ha sparato un solo colpo quella mattina.

Una storia da anni di piombo sostanzialmente sconosciuta e rimasta impressa su poche pagine di verbali e giornali ingialliti. Sintomatica, come altre, di un periodo in cui una bravata in qualche istante poteva tramutarsi in tragedia.

In cui un sospetto o troppa foga (e paura) erano sufficienti per passare da un “alt” a una sventagliata di mitra in pochi secondi.

Una ventina, quattro o cinque respiri appena, per uccidere un ventenne come Lucio Gasparella.

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