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Ombre su Torino

Un incubo di oltre 120 anni fa. Il mostro di Piazza Savoia

Il killer delle bambine terrorizza il centro di Torino.

Un incubo di oltre 120 anni fa. Il mostro di Piazza Savoia.

Veronica Zucca è una bambina di cinque anni. Figlia di Edoardo, proprietario insieme alla moglie del Caffè Savoia (che prende il nome dall’omonima piazza su cui si affaccia) ha una sorella gemella e un fratello di due anni più grande.

Il 12 gennaio 1902 sta giocando davanti all’ingresso del locale, quando, verso le 17, vede arrivare un giovane. La ragazzina lo riconosce subito: si chiama Alfredo Conti, ha 16 anni e fino a qualche giorno prima faceva il garzone al bar degli Zucca.

Viene descritto come un insolente, un avido, un attaccabrighe ed è per questo che stato licenziato da poco. Qualcuno giura di averlo sentito meditare vendetta. Si trova da quelle parti perché ha un credito con un altro dipendente del Savoia e, non volendo incrociare il titolare, chiede alla bimba se glielo va a chiamare. I due si incontrano, parlano brevemente e poi si separano.

Passano cinque minuti e, non vedendola tornare, i coniugi Zucca fanno una scoperta angosciosa. Veronica è sparita. La cercano nelle vie circostanti, chiedono ai passanti, urlano il suo nome ma è tutto inutile: la piccola è svanita nel nulla.

Le indagini della polizia scattano immediatamente e il sospettato numero uno non può che essere Alfredo Conti. Ha il movente, è una persona che la bambina conosce e di cui si fida ed è l’ultimo a essere stato visto insieme a lei. La polizia lo arresta il 14 gennaio. Viene interrogato a lungo e si tenta in tutte le maniere di farlo confessare, ma il sedicenne non crolla. Dopo qualche giorno, gli inquirenti lo devono scarcerare.

Pare che nessuna pista porti a qualcosa. Veronica sembra un fantasma, sparita in un abisso, come se non fosse mai venuta al mondo. Poi però, quasi due mesi dopo, succede qualcosa.

Davanti al Caffè Savoia si trova Palazzo Paesana, l’enorme residenza del marchese Saluzzo di Paesana. Il 7 marzo, intorno alle 18, Angelo Damiano, di professione falegname a libro paga del nobile, scende nei sotterranei della magione in cerca di alcune assi di legno. Queste si trovano in una cantina e quando l’uomo apre la porta sente subito un odore terribile. Di fianco alla legnaia scorge un enorme baule con sopra un pesante vaso pieno di terra.

L’odore viene da lì. Damiano lo apre e quasi sviene dall’orrore. Coricato su un fianco, parzialmente decomposto e con un evidente strato di muffa a ricoprirlo c’è il corpicino di una bambina. Non ci sono dubbi: è Veronica.

A quel punto il susseguirsi degli eventi diventa improvvisamente frenetico. L’autopsia viene effettuata dopo qualche ora e si scopre che la fanciulla è stata uccisa da 16 coltellate.

Ad assistere alle operazioni viene chiamato anche il padre e un suo presunto atteggiamento freddo e distaccato davanti al cadavere lo farà finire, incredibilmente, in carcere il giorno stesso. La polizia sembra in preda al delirio e nel giro di tre giorni il signor Zucca viene liberato, finisce dentro di nuovo Conti (subito nuovamente scagionato) e, il 10 marzo, viene arrestato un altro uomo.

Carlo Tosetti, 40 anni, cocchiere del marchese, abita al piano terra della proprietà. Casa sua ha la porta di ingresso proprio davanti al Caffè Savoia. A suo carico, anche questa volta, non c’è molto.

Si dice che sotto il suo letto è stato trovato del fieno insanguinato e che conoscesse la vittima. Diventa per tutti il mostro ma dura poco anche lui. In quei giorni ha ospitato un militare amico del suo nobile datore di lavoro e questi giura di essere stato in sua compagnia praticamente ogni minuto. È il 6 maggio e anche Tosetti torna in libertà.

Da quel momento il tempo sembra fermarsi. Non succede più nulla e, dopo tanta frenesia, in mano alle forze dell’ordine non c’è assolutamente niente.

Passa esattamente un anno. È il 6 maggio 1903. Una bambina sta giocando per le scale di un palazzo signorile al centro di Torino, Palazzo Paesana. La mamma si è distratta un attimo e quando va a chiamarla non la trova più. Le ricerche sono inutili: è sparita nel nulla.

Familiare, vero?

Si chiama Teresina Demarta. Come un rituale che sembra ripetersi, Teresina sta giocando per le scale dell’edificio e, improvvisamente, non si trova più. Le ricerche scattano immediatamente e stavolta a tutti viene subito in mente di andare nei sotterranei.

A prendere in mano la situazione è il portiere del palazzo, Carlo Tosi, che, per altro, proprio dopo la tragedia di Veronica, è uno dei pochi ad avere le chiavi d’accesso ai piani inferiori. L’uomo scende e va proprio dove venne commesso l’omicidio ma non trova nulla. Il giorno dopo ci riprova e finisce in un locale sotto le cantine. Uno di quelli che i piemontesi chiamano “infernot” o “infernotto” e che, normalmente, serve per conservare il vino. È qui che trova Teresina. È stesa per terra, non si muove ma respira. È stata colpita da 3 coltellate ma è ancora viva.

Tosi è sotto shock, ma, come un lampo, un pensiero gli attraversa il cervello. Rabbrividisce. Lui sa chi è stato.

Gli viene in mente che il giorno prima, alle 16, aveva consegnato le chiavi dei sotterranei allo spazzino dello stabile. È un giovane, ha 23 anni. Il suo nome è Giovanni Gioli.

Giovanni Gioli

Il ragazzo viene immediatamente arrestato e passerà tutta la giornata del 7 maggio a negare. Lui, con quella storia, non ha niente a che fare. Il suo atteggiamento però, più vanno avanti gli interrogatori, è sempre più è strano. Gioli ha difficoltà ad articolare le parole. Sembra essere su un altro pianeta, si distrae, spesso si chiede per quale motivo si trovi davanti dei poliziotti che gli fanno tutte quelle domande.

Passa un giorno e confessa. È stato lui ad accoltellare Teresina, ma non sa spiegare il perché. Parla di strani sogni, di istinti animaleschi che non può controllare e del suo amore per le bambine. Ma non finisce qui. Perché prima dirà che in quei sotterranei di bambine ne aveva portate altre tre. E poi dirà che una di quelle l’aveva uccisa. È lui l’assassino di Veronica Zucca.

È una confessione farneticante quella di Giovanni Gioli. Arriverà a sostenere (e non si capirà mai bene cosa significhi) che “il coltello non tagliava, bucava solo”. Parla di fatti terribili ma ride. Racconta di come ha attirato la ragazzina con dei cioccolatini. Passa dall’avere gli occhi spiritati a sembrare anche lui di cinque anni. Nei pochi momenti di lucidità, però, rivela tratti di sadismo incontrollabile. Dirà, per esempio, di aver messo la piccola Veronica nel cassone ancora viva e di essere tornato più volte a controllare che fosse morta. Morta soffocata, chiusa in quel baule.

Il processo, che si tiene nel gennaio 1904, vedrà l’accusa affidarsi addirittura al celeberrimo dottor Cesare Lombroso. Il responso parla di un sadico, un degenerato, dai dati antropometrici senza dubbio criminali. Ma anche un “semi-cretino” e un “vero imbecille” come senza pudore alcuno si potevano definire gli infermi di mente a quei tempi.

Col pubblico a gran voce a chiedere la pena di morte, la sentenza sarà di 25 anni e 2 mesi più 3 anni di vigilanza speciale. Gioli la accoglierà ridendo e sbocconcellando dei pezzi di pane.

Morirà, in carcere, 8 anni dopo.

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