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Il G7 Ambiente, Energia e Clima tenutosi a Venaria

Le balle che ci raccontano per farci tornare al nucleare

Fact-checking sulle dichiarazioni di Pichetto Fratin, ministro dell'Ambiente, sui consumi energetici e sui costi di produzione con le diverse fonti

Le balle che ci raccontano per farci tornare al nucleare

Il ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin

A margine del recente “G7 Ambiente, Energia e Clima” tenutosi a Venaria Reale, il ministro italiano dell'Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha rilasciato alcune dichiarazioni sulla situazione energetica italiana: consumi, fabbisogno, strategie per soddisfarlo.
Il ministro ha detto che «Oggi l’Italia consuma quasi 310 Terawatt di energia [elettrica, ndr], ma il fabbisogno potrebbe raddoppiare per il 2050. Ma le rinnovabili non bastano. E non possiamo rovinare questo bel Paese con pale e pannelli ovunque». Quindi l'intenzione del Governo italiano è di tornare alla produzione di energia mediante la fissione nucleare: «Abbiamo annunciato che il prossimo Piano energia e clima (Pniec) italiano, da inviare entro giugno all’Ue, riporterà degli scenari che includeranno il nucleare nel mix energetico dal 2030 al 2050».
Le dichiarazioni del ministro si prestano, sulla base dei dati, ad analisi e considerazioni.

I consumi
Dall'inizio del secolo, ogni anno in Italia sono stati complessivamente consumati fra i 300 e i 340 Twh di energia elettrica; negli ultimi dieci anni ci si è attestati intorno ai 320.

Nel rapporto di Ispra “Scenari di consumi elettrici al 2050”, che analizzando i vari settori - industria, residenziale, terziario, trasporti - simula tre possibili scenari (uno “base”, tendenziale a legislazione vigente; uno con il massimo utilizzo delle tecnologie di efficienza energetica a parità di domanda di servizi energetici ed uno di “alta domanda”), anche nella peggiore delle ipotesi la domanda al 2050 non supera i 540 Twh. Che «il fabbisogno potrebbe raddoppiare» nei prossimi 25 anni (raddoppiare significherebbe passare dagli attuali 320 a 640) è quindi una fantasiosa ipotesi del ministro, non suffragata dai dati dell'ultimo ventennio né dall'andamento tendenziale.
A 540 Twh, comunque, si arriverebbe se tutti continuassimo ad utilizzare elettrodomestici, apparecchiature e lampadine “di vecchia generazione”, e se tutti da qui al 2050 cambiassimo l'auto passando da quelle a benzina, gasolio, metano e gpl a quelle elettriche. Ma siccome i progressi tecnologici permettono di ottenere dai nuovi elettrodomestici prestazioni uguali o superiori con consumi inferiori a quelle di dieci o venti anni fa, e siccome il mercato dell'auto elettrica nel nostro Paese stenta a decollare (meno del 5% delle nuove auto immatricolate negli ultimi cinque anni è elettrica), lo scenario 540 Twh è piuttosto improbabile.
La tara principale nel ragionamento di Pichetto - e, con lui, della stragrande maggioranza dei partiti - sta però nel non riuscire ad uscire dal paradigma economico otto-novecentesco secondo cui «per stare bene dobbiamo consumare di più», e nel continuare a considerare l'aumento dei consumi - di energia elettrica, in questo caso - come principale e pressoché unico indicatore di benessere. Il “mito della crescita” - crescita dei consumi di merci e, in questo caso, di energia - è duro a morire, ed è il fondamento dello sfruttamento del pianeta oltre i suoi limiti fisici. Consumare meno (meno energia, anche) è una bestemmia nei santuari dell'economia capitalistica, ed è per questo che si è alla perenne ricerca di nuove fonti di energia. L'auspicabile stabilizzazione del fabbisogno energetico, permessa dalla razionalizzazione dei consumi e dalla maggiore efficienza dei dispositivi, confligge con questa logica dell'«è necessario consumarne sempre di più».

Le rinnovabili
Anche l'affermazione del ministro «le rinnovabili non bastano» è opinabile e si presta a confutazioni. Tra il 2014 e il 2022 le fonti rinnovabili (solare, geotermico, idroelettrico, eolico) hanno coperto fra il 31 e il 39% della domanda di elettricità, e un'adeguata programmazione potrebbe portarle entro il 2030 al 50%. Inoltre, secondo i dati di Terna, rispetto al 2022, il 2023 ha registrato un aumento del 15,4% della produzione di energia elettrica proveniente dalle fonti di energia rinnovabile, che hanno contribuito per il 43,8% alla generazione elettrica nazionale totale.
Contrariamente a quanto afferma Pichetto, non occorrerà «rovinare questo bel Paese con pale e pannelli ovunque»: a parte il fatto che buona parte di questo Paese è già stata «rovinata», negli ultimi trent'anni, dalla cementificazione e dalle “grandi opere” promosse dall'area politica di cui fa parte Pichetto, è evidente che il ministro non sa di cosa parla. Il giorno dopo questa sua dichiarazione Agostino Re Rebaudengo, che non è un ambientalista utopista bensì il presidente di Elettricità Futura, associazione di Confindustria che riunisce le imprese della filiera industriale nazionale dell’energia elettrica, dalle colonne de La Stampa gli ha risposto: «Credo che il ministro si sia confuso, perché per raggiungere l’84% di energia dalle fonti rinnovabili utilizzeremmo solo lo 0,2% del territorio italiano, quindi 70 mila ettari di terreno». Quindi non occorre coprire di pannelli né i tetti degli edifici dei centri storici né i terreni agricoli: lo 0,2% del territorio italiano è costituito da tutte quelle aree industriali, stabilimenti, centri commerciali, capannoni degli hub logistici, tettoie di parcheggi, caselli autostradali e autogrill, ecc. che ancora non hanno installato pannelli sulle loro coperture. Un grande piano di “solarizzazione” (con una normativa finalmente chiara) permetterebbe al Paese di raddoppiare in pochi anni la percentuale di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Oltretutto sarebbe energia prodotta e in gran parte utilizzata localmente: si ridurrebbero così le perdite degli attuali grandi elettrodotti che la trasferiscono per centinaia di chilometri, da una regione all'altra: perdite che attualmente paghiamo con le bollette (la voce "spesa materia energia"), energia che paghiamo ma che non consumiamo.
Nel 2010 la potenza fotovoltaica installata in Italia era inferiore ai 5 GW, nel 2021 ha superato i 22 GW; la Germania, che ha un irraggiamento solare medio inferiore del 30% a quello dell’Italia, aveva a fine 2021 una potenza installata di oltre 60 GW, tre volte la nostra. C'è quindi ampio margine di incremento della produzione di energia elettrica da solare fotovoltaico, senza «rovinare» l'Italia.

Il nucleare
Veniamo ora all'auspicato (dagli interessati) ritorno alla produzione di energia elettrica dal “nucleare”, che il ministro vuole inserire nel “Piano energia e clima” che il Governo sta per inviare all'Unione Europea.
Innanzitutto, Pichetto omette di dire che l'Italia non ha ancora chiuso i conti con il nucleare del passato. Le centrali che hanno funzionato nel XX secolo sono ancora in via di smantellamento (a più di trent'anni dal loro spegnimento), e il loro lento e difficile decommissioning - che, di ritardo in ritardo, andrà avanti ancora almeno fino al 2035 - costerà complessivamente al nostro Paese circa 8 miliardi di euro.
Inoltre resta tuttora irrisolto il problema di dove immagazzinare il materiale radioattivo prodotto: dopo la pubblicazione della Cnapi (Carta delle aree potenzialmente idonee) e della Cnai (Carta delle aree idonee) redatte da Sogin, il Ministero retto da Pichetto s'è incartato e l'individuazione del sito in cui costruire il Deposito Nazionale resta una chimera. Insomma: il Governo non sa dove stoccare le scorie radioattive "vecchie" e intanto prepara un Piano per produrne di nuove.
Sul fronte economico, poi, la produzione di energia mediante la fissione nucleare resta la modalità più costosa in assoluto: anche senza essere no-nuke, ma guardando solo al rapporto costi-benefici, il costo di ogni MWh prodotto da centrali nucleari è decisamente superiore a quello prodotto con altre fonti. I costi unitari della realizzazione di impianti a “rinnovabili” sono oggettivamente molto più bassi di quelli di realizzazione, gestione e futuro smantellamento degli impianti nucleari. Altro che “ambientalismo ideologico”: son palanche!
Senza contare che in Italia di centrali nucleari che potrebbero essere operative in breve tempo non ne esistono: non è che «basta accenderle», non ci sono proprio. E vista l'opposizione dei territori - in tutta Italia - a ricevere materiale radioattivo di scarto da immagazzinare in un deposito, è prevedibile un'opposizione ancor più forte e determinata a qualsiasi ipotesi di installazione di reattori, impianti in cui la fissione avviene e la radioattività e altissima.
Infine, Pichetto e gli altri “nuclearisti” (la Lega di Salvini è il partito più sensibile alle pressioni della lobby del nucleare) continuano a far finta di dimenticare che il popolo italiano, sulla produzione di energia elettrica con centrali nucleari, nell'ultimo quarantennio si è già espresso più volte: con i referendum del 1987 (80% di no) e nel 2011 (94% di no). Ma siccome la lobby del nucleare è affamata quanto e più del secolo scorso, continua a chiedere ai politici di stanziare miliardi di euro in questo settore: soldi pubblici a industrie private. Altro che transizione “green”: qui di green c'è soltanto il colore delle banconote che le multinazionali dell'atomo vogliono farsi dare, ancora una volta, dallo Stato.

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