Cerca

SETTIMO TORINESE

"Marika e i penultimi": la generazione silenziosa che soffre in una città dormitorio

Le parole degli amici di Marika, la ragazza suicida di Settimo: "Non ci sono spazi per noi, ci sentiamo inutili". Un grido d'allarme per una generazione fragile e smarrita

Parlano gli amici di Marika, i penultimi in cerca di se stessi

Marika Guerra, travolta dal treno venerdì 8 marzo

Marika, ma cos’è successo? Non lo sanno di preciso neanche i suoi amici, quelli che sono stati con lei fino a mezzanotte. Poi il vuoto. L’hanno accompagnata fin sotto casa di sua nonna, come voleva lei. Strano, ma non c’era motivo di pensar male. Poi la notizia delle 8 del mattino, la sua vita spezzata sui freddi binari a Settimo. Una tragedia assurda, una voragine buia e grande come la notte. Nessuno degli amici di Marika sa come far luce in questo che è ancora un mistero e per cui sono state avviate delle indagini. 

Ma Marika non è mai stata sola. Aveva una rete di amicizie con cui condivideva tempo e preoccupazioni per il futuro. Sono quelli del 2002. Tutti con il loro carico di incertezze in tempi difficili che accende riflettori soltanto sui primi della classe. Ma la maggior parte, invece, sono come loro: i “penultimi”. “Marika aveva il mal di vivere come tantissimi suoi coetanei. Incasinata ma coscienziosa. - introduce il discorso un suo ex educatore - Voleva conquistare la sua autonomia, diventare un’educatrice per restituire e donare un po’ di equità a questa società. Gli amici di Marika, in silenzio e con le loro sensibilità, sono schifati dai titoli dei giornali, sono amareggiati e disillusi dalle istituzioni, traditi dai sogni degli adulti, ma sono sinceri con le loro anime fragili”. 

“Chi di noi non è  fragile?”

Gli amici di Marika sono al tavolo in piazza Campidoglio davanti a caffè, cioccolata con panna e bibite. Niente di alcolico, anche se è l’ora dell’aperitivo. Sono trascorsi alcuni giorni da quella tragica mattina. Qualche giorno prima si sono presentati a casa di Marika con un mazzo di fiori per i genitori. Nessuno aveva una risposta. Domande, invece, tante. Anche la mamma di un altro giovane settimese, anche lui suicida, ha voluto incontrare questi ragazzi per cercare una risposta, un punto di luce per uscire dall’incubo.

“Chi di noi non è fragile?”: alla domanda formulata ad alta voce dal loro ex educatore, colui che li ha visti crescere tutti, annuiscono. Li ha radunati proprio lui, anche se non ha più a che fare con loro da qualche anno. Sono in otto. Hanno tutti una gran voglia di raccontarsi, ma senza squilli di entusiasmo: quelli sono rimasti, forse, sepolti nell’infanzia. Fino alle elementari, infatti, tutto bene, poi dai 12-13 anni in su, i ragazzi diventano invisibili. Se fanno sport o musica, bene. Sennò, diventano ombre a cui destinare progetti estemporanei o lasciarli in balia dei telefonini. Questi ragazzi hanno profondità d’animo da indagare, non hanno la spocchia degli influencer, non vanno a caccia di consensi. Da qui in avanti, userò per loro i nomi degli attori della compagnia teatrale PEM di Settimo, anche loro giovani, classe 1999. Rappresentano la medesima gioventù in cerca di se stessa. Loro, i PEM, recitano e hanno la capacità di prendersi cura del pubblico e delle persone durante i loro laboratori. La loro arte, senza la “pratica di cura” introdotta dal loro regista Gabriele Vacis, non avrebbe la stessa potenza in scena. Sono attori così raffinati e preparati in questa materia che potrebbero essere proprio loro ad aiutare i coetanei a cercare delle risposte. Ma bisogna crederci per affrontare la salute mentale dei cittadini, soprattutto quelli più giovani, in maniera diversa, più contemporanea e in prossimità, a diversi livelli.

“Ma noi chi siamo?”

“Da quanto tempo avete smesso di andare all’oratorio?”, chiede l’educatore. “Ah, quelli sono stati i miei anni più belli, ma poi si diventa grandi..” racconta Raffaella, una ragazza dai capelli folti, castani e riccioli. Occhi scuri, grandi e delusi. Raffaella ha superato un corso da parrucchiera. “Ho cominciato a lavorare ma poi non mi trovavo bene. Si viene sfruttati, difficilmente ti fanno crescere. Eppure mi piace così tanto cambiare l’aspetto delle persone, renderle felici. Lo trovo stupendo”. Sognano una casa, l’indipendenza, non necessariamente una famiglia. “Sono fluidi” dice l’educatore, e loro confermano: le relazioni sentimentali, quando e se nascono, non sono così totalizzanti. Hanno più il senso dell’amicizia, dell’affetto reciproco.

Il lavoro

Alcuni si sono diplomati da operatore sociosanitario. Altri hanno cominciato a fare qualche lavoretto sottopagato, uno soltanto ha un contratto: Pietro, diploma da metalmeccanico, un ragazzo dalla carnagione scura con occhi attenti e fermi. Ha appena finito di lavorare, è arrivato con la sua tuta da lavoro. Ha iniziato alle 8 e ha staccato alle 18. Già, il Tempo: è una costante che aggrega le anime di questi ragazzi. In città, come loro, ce ne sono a decine. Una moltitudine silenziosa e smarrita. “Ma che senso ha oggi lavorare fino a tardi senza avere il Tempo e lo Spazio di curare gli affetti, le amicizie, le passioni…”. Lo dice Letizia, una ragazza minuta con un piercing al naso e gli occhi nocciola. “Marika a volte diceva di sentirsi inutile in questo tempo, si sentiva sprecata, diceva di conviverci con questa sensazione. Eppure, non andava mica male a scuola, anzi..”: Lorenzo è deciso nel sostenere che Marika fosse una delle migliori della classe. Anche lui è iscritto a scienze dell’educazione proprio come lo era Marika. “Andava meglio di me di sicuro. Aveva un carattere complesso, ma non mancava di determinazione. Poi, come tutti noi, aveva dei momenti negativi. E chi di noi non ce li ha? - poi prende il telefonino in mano - . Sono questi social a farci vedere una realtà distorta, ad alimentare l’infelicità. Qui appaiono tutti belli, ricchi, allegri, felici, irraggiungibili. Modelli sbagliati per persone come noi. Marika ci soffriva, lo so per certo, si faceva rapire per ore dal telefonino. Questi social sono da demonizzare”. 

Le passioni 

C’è chi cerca sollievo nella musica come Edoardo, riccioli da rockstar, che ama la sua chitarra. “Nella musica mi ritrovo quando mi sento giù” dice. E Lorenzo invece ama scrivere per sfogarsi: “Quella sera, Marika mi aveva chiesto di mandarle le ultime cose che avevo scritto, era curiosa”

“Loro sono i penultimi - interviene l’educatore - perché gli ultimi li riconosci subito. Quelli stanno magari a picchiarsi in giro per la città, ma anche loro sono vittime. Questa è una generazione che non sta bene, che fatica a trovare un senso nella vita”. Un tempo c’erano le fabbriche. Era dura, ma arrivava uno stipendio e c’erano anche argomenti per cui battersi, i diritti da conquistare per un posto di lavoro migliore. La politica. Già la politica. “Ah lì non mi ci metto”  dice il chitarrista. “La politica fa fatica a star dietro ai cambiamenti - interviene l’educatore - Per esperienza, i giovani cambiano ogni quattro o cinque anni. La struttura burocratica dovrebbe essere più agile e mutevole”.

Alcuni di loro dopo il diploma si sono iscritti a Scienze dell’Educazione, altri hanno smesso di studiare perché mica è gratis. “La mia famiglia non ce la fa”. Una, Eva, ha smesso di studiare in terza media e fa l’animatrice. E’ una precaria, come tanti altri come lei. Erica, invece, bionda, occhi azzurri e viso acqua e sapone, ha studiato al professionale da falegname: “Sarà come sarà, eppure dei miei compagni di classe solo io non lavoro - dice - eppure è un mestiere che mi piace e che so fare. Ma non so perché, nessuno mi dà fiducia”. Sarà una questione di genere? “Boh, ormai ho perso le speranze…”. “Io invece ho provato a lavorare in una ludoteca - racconta Lucia, occhi scuri e occhiali - ma quante ore e quante responsabilità. Troppe. E pagata poco. Quando è così, ci sentiamo truffati. Infatti, ora sono disoccupata”. Sorride amaramente. 

I luoghi

“Sai cosa c’è? - aggiunge Letizia - E’ che ci mancano spazi per parlare, per confrontarci. Non può funzionare la storia che sto male e vado dallo psicologo. Eh no! Basterebbe un posto in cui incontrare liberamente i propri coetanei”. Connessioni umane autentiche. “Non può essere il solito bar, perché bisogna avere dei soldi in tasca che non sempre ci sono. E poi, dopo un po’, che noia..”. In biblioteca? “Ma lì si studia o al massimo si ascolta qualcuno che parla. Niente di nuovo. Sport? Mah.. ci vuole il fisico e c’è sempre qualcosa da pagare. Servirebbe un luogo accessibile a tutti, per non starcene sempre sulle panchine sotto ai palazzi”. Dai ragazzi, ho capito, vi devo portare al cinema - dice l’educatore, cercando di sollevare il morale - Ve l’avevo promesso”. Sorridono. E a teatro? “Magari - dice Lucia, rimarcando ancora - Magari!”. “A me piacerebbe molto - poi aggiunge - anche fare teatro, interpretare un’altra persona, recitare. Ma tutto ha un costo, come la musica. Alla Suoneria, se hai soldi entri, sennò cosa puoi fare gratis? Niente”. E il Dega? (Al parco De Gasperi) “Ma è un buco e poi che ci vai a fare lì? E’ poco inclusivo”. “Questa città - aggiunge Lorenzo - è un dormitorio. Si fanno cose, ma non sono per noi. Infatti, quando riusciamo ad andare a Torino, ci sentiamo su un altro pianeta. Il brutto è tornare”. Capisco, però questa è la vostra Casa. O no? “Mah.. sì. Però, qui ci rompiamo. Potrebbe anche essere un giusto punto di partenza, ma devono esserci le condizioni. Luoghi in cui ritrovarsi, fare qualcosa insieme senza tirar fuori soldi. E divertirci anche, perché no?”. “Il punto è che tutti noi abbiamo degli obiettivi, ma oggi bisogna essere fighi, sempre brillanti, avere le skill giuste come dicono quelli che fanno i colloqui. Ma cosa vuol dire? - conclude Letizia - Marika, per dirti, pativa molto questa prepotenza e l’arroganza. Tutti noi abbiamo, in qualche modo, quel suo stesso “male di vivere””. 

Non è la solita storia

“Ho voluto presentarti questi ragazzi perché deve passare un messaggio diverso - conclude l’educatore -  non è la solita storia, non può passare soltanto la narrazione di una ragazza che sta male e decide di farla finita. Non è così. Questi ragazzi sono i penultimi e andrebbero ascoltati. La famiglia è importante ma a volte non basta”. Pietro finora non era mai intervenuto. Conclude lui, un po’ sottovoce, dopo aver seguito tutti gli interventi dei suoi amici: “Però, devo dire: già questa chiacchierata sento che ci ha fatto bene - accennando ad un sorriso - . Grazie per averci ascoltato”. 

Tutti possiamo far di meglio per questi “penultimi” che poi son anime infinite che tendono alla luce, nonostante il buio di certi momenti. Ascoltiamoli e usiamo metodi nuovi per farlo. Meno tecnologie, meno numeri o statistiche da dare in pasto ai “like” dei social e più umanità vera. Mettiamo in campo alleati giovani, risorse in grado di far bene anche alla politica.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori