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Don Stefano di Castellamonte "Giusto tra le Nazioni"
23 Gennaio 2024 - 23:07
Don Stefano Cossavella, Giusto tra le Nazioni
La notizia risale a dicembre. Don Stefano Cossavella, parroco di Muriaglio di Castellamonte è stato riconosciuto come «Giusto tra le Nazioni» dallo Yad Vashem, l’ente nazionale per la Memoria della Shoah.
Il motivo di questo riconoscimento è stato ben raccontato da Mauro Rovetto in un articolo pubblicato dalla rivista Canavèis che vi riproponiamo.
“Non molti mesi fa - scrive Rovetto - mentre stavo ordinando i documenti di mio papà, mi è accaduto di ritrovare tra spartiti di musica per fisarmonica ingialliti e sgualciti dal tempo, un ritaglio di giornale, anch’esso abbastanza malandato, che mi ha riportato alla mente un racconto tante volte sentito sin da quando ero poco più che ragazzo.”
***
I protagonisti di questa storia sono un sacerdote e un giovane ufficiale, e le vicende sono avvenute a Castellamonte nella primavera del 1945. La memoria, sia dei fatti sia dei protagonisti, sta ineluttabilmente scivolando col trascorrere del tempo nell’oblio, per questo, forse, vale la pena cercare di preservarne, per quanto possibile, il ricordo.
Il sacerdote, che corrisponde alla persona di don Stefano Cossavella, prevosto di Muriaglio, nato Bollengo il 26 agosto 1885 e morto a Muriaglio, alla vigilia degli ottant’anni, il 2 luglio 1965, sopravvive solamente nel ricordo dei familiari e nella memoria dei suoi parrocchiani di Muriaglio che hanno ampiamente superato i cinquant’anni. Il tenente Sergio Morello, nato a Casale Monferrato il 18 giugno 1922 e morto ad Ozegna il 2 maggio 1945, la città di Castellamonte l’ha invece commemorato intitolandogli il viale alberato che conduce all’ex stazione ferroviaria.
IN FOTO Anni Trenta, ingresso di Muriaglio. A destra, scorcio della casa dove visse il tenente Sergio Morello.
Una lettera a «La Stampa».
I fatti che uniscono il destino di questi due uomini sono ben sintetizzati dalla lettera che il fratello di Sergio Morello, Armando, indirizza, in occasione della morte del prevosto di Muriaglio, alla rubrica Specchio dei tempi, che il quotidiano «La Stampa» pubblica il 7 luglio 1965. Questa lettera è appunto l’oggetto del mio ritrovamento. Lo scritto, preceduto dalla formula Un lettore ci scrive da Casale Monferrato, recita testualmente:
«Caro “Specchio”, è deceduto, in povertà ed umiltà cristiana, il 2 luglio scorso in Muriaglio Canavese (frazione di Castellamonte) don Stefano Cossavella, parroco di questa frazione. Chi da Lui ha avuto protezione ed amore, aiuto morale e materiale sente il bisogno di rendere pubblico un vivissimo sentimento di riconoscenza che, Lui vivente, a causa della sua modestia infinita e ritrosia, non poté mai manifestare, ben sapendo che non gli sarebbe tornato gradito. Ora che non è più, adempio a un dovere, spinto dalla gratitudine, parendomi lecito che l’opera compiuta da questo Sacerdote negli anni bui del nazifascismo venga ricordata e pubblicamente additata.
Perseguitato e ricercato, nel settembre ‘43 capitai a Muriaglio colla mia famiglia; don Cossavella ci accolse e sistemò in parrocchia — esponendosi a gravissimo rischio — con amore, affetto e assoluta dedizione. Ci difese da ogni pericolo, arrivando a costruire in casa un rifugio sicuro, inaccessibile. Stemmo con Lui oltre venti mesi, durante i quali affrontò i vari rastrellamenti con fermezza, coraggio e abnegazione, per difendere i suoi parrocchiani, per proteggere me e la mia famiglia. Alla fine di aprile del ‘45 l’orda barbara di nazisti in fuga attraverso il Piemonte raggiunse Ozegna e Castellamonte: qui catturarono ed uccisero mio fratello, tenente Sergio, che di Castellamonte liberata aveva preso il comando.
Don Cossavella fu tra i primi ad affrontare i nazisti per cercare di ricuperare i poveri resti di Sergio; e, poiché le belve inferocite non davano il permesso di traslare la salma a Muriaglio, Egli attese la notte, e con alcuni fedeli amici, la trafugò e la trasportò in parrocchia dove allestì la camera ardente.
Mente elevatissima, dotato di immensa cultura, sensibile alle più alte manifestazioni dello spirito, aiutò tutti i sofferenti che si rivolsero a Lui, perché la sofferenza del mondo era la sua sofferenza. Visse poverissimo, umile, francescano. Molto vorrei ancora dire di Lui: questo sia sufficiente; un piccolo doveroso cenno, un modesto fiore di riconoscenza da parte di chi ha avuto la somma ventura, nel momento più disperato della sua vita, di trovare un secondo Padre».
Firmato:
Dott. Armando Morello
Se queste parole rendono un giusto omaggio all’opera ed alla figura di don Stefano Cossavella, che fu parroco, amatissimo, di Muriaglio per oltre trent’anni dal 1932 al 1965, doveroso è anche ricordare l’altro protagonista che nella lettera rimane un po’ sullo sfondo: Sergio Morello.
Non c’è dato sapere come e perché la famiglia Morello giunse a Muriaglio. è ragionevole, però supporre che tra le ragioni della persecuzione e della caccia cui questa famiglia era soggetta vi fosse l’origine ebraica dei suoi componenti.
Le leggi razziali, emanate dal regime fascista nel 1938, è presumibile che abbiano costretto anche i Morello ad una vita errante in cerca di rifugio e protezione. Condizioni che trovarono proprio sulle colline del nostro Canavese, in un piccolo borgo, a casa di un sacerdote coraggioso. Un rifugio che si rivelò sicuro anche durante i rastrellamenti compiuti dalle Brigate nere che colpirono il paese e che portarono alla cattura e all’invio in Germania di alcuni suoi abitanti. In quei mesi Sergio, in coerenza con il suo credo antifascista, si avvicinò alle formazioni partigiane che operavano nella zona.
Nella primavera del 1945, con l’irrompere nella pianura padana delle armate alleate anglo-americane, le formazioni partigiane si apprestano all’insurrezione.
Nel pomeriggio del 25 aprile anche Castellamonte venne liberata dai partigiani del comandante Piero Urati (Piero Piero), e subito si pose il problema di organizzare la difesa e garantire l’ordine pubblico.
A questo scopo, già il 26 aprile vennero organizzate delle Squadre di Azione Patriottiche, alla cui guida, con l’incarico di comandante della piazza, fu chiamato proprio il tenente Sergio Morello.
La situazione, com’è noto, precipitò il 1° maggio, quando si affacciò alle porte di Castellamonte una colonna di tedeschi in ritirata con intenzioni che si riveleranno, ben presto, bellicose. I fatti accaduti in quei tragici giorni sono stati minuziosamente riportati sia nel «diario» di Giuseppe Demelchiorre, sia da Giuseppe Perotti nella sua Storia di Castellamonte, e pertanto sarebbe superfluo qui rammentarli.
Quello che andrebbe sempre ricordata è l’azione compiuta da Sergio Morello. Egli, seppur consapevole del rischio a cui si sottoponeva recandosi a parlamentare con il comando tedesco, non esitò a compiere quello che riteneva un proprio dovere morale: cercare di proteggere la città e gli abitanti che gli erano stati affidati e di cui si sentiva responsabile. Un gesto che pagò con il prezzo della vita e che, purtroppo, non scongiurò a Castellamonte dure giornate di occupazione, con saccheggi, angherie e violenze.
Dell’incamminarsi verso il proprio tragico destino ho impresso nella mente un’immagine che sembra uscita da una foto in bianco e nero o da un film neorealista. Non so dire quanto essa corrisponda alla realtà ma è quella che mi ha trasmesso il racconto fattomi, tante volte, dalla mia mamma.
Sergio lei lo conosceva bene, erano coetanei e vivevano ambedue a Muriaglio. In quel famigerato primo maggio era a Castellamonte, ospite di una sua insegnante, in una casa che si affacciava su quella che è oggi Piazza della Repubblica. Quando in casa arrivò la notizia che il comandante della piazza sarebbe andato a parlamentare con il comando tedesco si affacciò anche lei alla finestra.
Fu lì che, raccontava, lo vide per l’ultima volta, lo scorse arrivare, in bicicletta, dalla Rei Neuva (ora via Educ) e svoltare verso la strada che conduce a Sant’Antonio. Gli era accanto, anch’egli in bicicletta, l’arciprete di Castellamonte don Mario Coda. Avanzavano, fendendo l’aria, e la tonaca nera di don Coda ondeggiava ad ogni pedalata.
Entrambi avevano legato al manubrio della bicicletta un fazzoletto bianco in segno di tregua. Una misura che non servì, purtroppo, a sottrarlo alla cattura e alla successiva fucilazione. Quello che accadde in seguito in parte è noto e in parte rimarrà, forse per sempre, avvolto nell’oscurità.
Quello che è certo, e che emerge da questo modesto ritaglio di giornale, è l’incrociarsi di due vite così diverse, ma che avevano in comune anche in quel tempo terribile di ferro e di fuoco un grande senso di umanità e di solidarietà.
A tenere vivo il ricordo di questa storia è il casalese Davide Morello. E’ stato lui a presentare la pratica per l’inserimento di Don Cossavella tra i “Giusti” inviando anche un ritaglio di Specchio dei tempi del quotidiano La Stampa a firma del nonno Armando datato 7 luglio 1965 e che prendeva lo spunto dalla morte di Don Stefano avvenuta qualche giorno prima.
E’ stato lui, a dicembre, a informare Sandro uno dei nipoti di Don Cossavella.
Armando Morello, era medico a Casale Monferrato. Ebreo, per poter lavorare durante il fascismo aveva abiurato.
«Una rinuncia – mette le mani avanti Davide Morello in un’intervista a La Stampa – che durante la guerra, con l’arrivo dei Tedeschi, non valeva nulla. Quando, nel 1943, le cose precipitarono, Armando e la moglie, mia nonna Maria Gagliardone, che invece era cattolica, decisero di fuggire con i loro tre figli, mio padre Vittorio di 10 anni, mio zio Luciano di 7, che oggi vive negli Stati Uniti, mia zia Maria Grazia che ne aveva appena due, seguiti a ruota dai genitori di Armando e dal fratello Sergio. Si rifugiarono tutti in Canavese, dove viveva il fratello di Maria, trovando riparo i primi nella canonica di don Cossavella, i secondi in un’altra casa».
Davide nel 2020 ha cominciato una ricerca sulla storia della sua famiglia, aiutato anche da Rachele Bernardi Gra e dall’Anpi di Castellamonte.
Con quest’ultima sta lavorando per ricordare la figura dello zio Sergio morto a 21 anni, ucciso dai nazisti.
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