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Malasanità

Giornate di fuoco nei "Pronto Soccorso". Sempre la stessa storia

Presi d'assalto anche i nosocomi di Ivrea, Chivasso e Ciriè

Giornate di fuoco nei "Pronto Soccorso". Sempre la stessa storia

C’è Maria che sta lì seduta da ieri sera. Ha 85 anni e le gambe, la testa, il collo, la schiena la stanno facendo impazzire. Piange e si dispera. C’è Mattia, un bambino piccolo che a stento riesce a tenere gli occhi aperti. E’ stanco e febbricitante. E poi Guglielmo, sta lì in una barella parcheggiata nel corridoio. Ha la febbre alta. Dice a tutti, che vuole morire ma, ne siamo certi, “non morirà”.

Insomma, anno nuovo, stesso film, genere “horror”, in tutti gli ospedali del Piemonte.  Sono addirittura tornati i pazienti sistemati a terra.

pronto soccorso affollato

E sono migliaia le chiamate al 118, in aumento in questi giorni. Centinaia di pazienti che si riversano nei pronto soccorso superando ogni limite di capienza, di strumenti a disposizione e di condizioni di lavoro.

Ed è così che si moltiplicano le ore di attesa e le giornate di boarding, anche fino a 9 giorni. Succede ovunque e, guarda un po’, anche nell’Asl To4. Tanto per dire  (ma che lo diciamo a fare se poi la politica se ne frega), il 31 dicembre su Ivrea si sono contati la bellezza di 140 passaggi. Aldilà di questo numero, la verità è che la saletta dell’Osservazione breve intensiva conta sempre più di 24 persone “parcheggiate” che sono troppe.

Grazie al nuovo primario se la passano un po’ meglio a Ciriè, ma è un disastro a Chivasso proprio in quella stanza per le emergenze in cui lo scorso anno, correva il 3 gennaio, Rosaria Candela di Settimo Torinese cadde da una barella e morì. 

E parliamo di un’area idonea a contenere non più di 15 persone. In questi giorni se ne sono contate una media di 40 e lo scorso anno, nel giorno in cui si consumò la tragedia, erano in 37.  

Piccolo “post scriptum” al direttore generale Stefano Scarpetta. 

Ai tempi del Covid, con il piano Arcuri si erano programmati 10 posti letto in più di terapia intensiva a Chivasso, 2 in più a Ciriè, uno in più ad Ivrea (erano 7). Quindi, in totale, 16 a Chivasso, 8  a Ciriè e 8 anche ad Ivrea.  

E si sarebbero anche dovuti allestire 18 letti di terapia semi-intensiva, 6 per ognuno dei tre presidi ospedalieri  di cui la metà riconvertibili, all’occorrenza, in posti di terapia intensiva.

Questi lavori sono stati ultimati? Dopo l’inaugurazione in pompa magna dell’intensiva a Ivrea non s’è saputo più nulla di tutto il resto. Ecco, forse, sarebbe il caso di fare un piccolo “aggiornamento”!

“Ci spaventa l’indifferenza della politica chiamata a dare risposte - protesta il Nursind, il sindacato degli infermieri - La rassegnazione e la demotivazione sta prendendo il sopravvento con le conseguenze che questo comporterà per tutti... Basta farsi un giro per capire che è umanamente impossibile seguire e garantire le cure e l’assistenza necessaria a tutti quei pazienti ed è oltretutto da irresponsabili pretendere che si lavori in queste condizioni. Siamo oltretutto stanchi di sentirci dire che è un problema nazionale e che le responsabilità sono di chi ci ha preceduto come se non ci fosse nulla da poter fare. I motivi sono noti...”.

Il Nursind chiede alla Regione Piemonte di attivarsi per dare risposte strutturali affinché non continui e non si ripeta con maggiore gravità ciò a cui si sta assistendo.

“Non serve sperare che passi il momento per poi continuare a fare finta che il problema non esiste - insistono il coordinatore regionale Francesco Coppolella e quello locale Giuseppe Summa -  Stiamo trasformando un vero stato di emergenza in qualcosa di ordinario. Una follia...”.

Dal preavviso all’ultimatum il passo è breve... “In assenza di risposte e davanti all’indifferenza non mancheranno azioni da parte nostra. Ogni giorno come questo, in questi servizi ma non solo, c’è un infermiere che decide di lasciare, presto avremo problemi ancora più gravi, non vorremmo diventi un fenomeno di massa...”.

Il problema qual è?

Anni di spending review, di tagli al Fondo sanitario, di blocco delle assunzioni e di una visione sciaguratamente miope del fabbisogno formativo sanitario, hanno stremato l’offerta pubblica dei servizi al punto da impoverirli e renderli un calvario per molti pazienti bisognosi di cure e prevenzione.

Morale? Quel che occorre è un piano straordinario nazionale pubblico di assunzione di personale sanitario, con lo sbocco dei concorsi, l’ottimizzazione dell’impiego del personale in carico anche prevedendo il blocco delle prestazioni in intra ed extra moenia per favorire l’abbattimento dei tempi di attesa, vincoli per le strutture private accreditate in convenzione che optano per l’erogazione di prestazioni in regime di pagamento e molto altro ancora.

Curare gli italiani e i loro fabbisogni di salute significa, oggi, curare i mali della sanità ...

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