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Qualcosa di sinistra
22 Novembre 2023 - 18:09
Giulio Cesare e Meloni
«Alea iacta est». Secondo Svetonio, il motto fu pronunciato da Giulio Cesare nel gennaio del 49 a. C., al passaggio del Rubicone, il confine che separava l’Urbe dal resto del mondo. La presidente Meloni dev’essersi detta così, avviando l’iter per la modifica della Costituzione, assumendo una decisione irrevocabile (vi ricorda qualcosa?).
Il sociologo Giuseppe De Rita, mettendo a fuoco l’esperienza di governo di Bettino Craxi (1983-1987), riferiva di una frase dello stesso Bettino: «In questo paese, per uscire fuori dalle sabbie mobili democristiane della mediazione cattolica e dell’insipienza democristiana, bisogna imparare a decidere. Per decidere bisogna concentrare il potere, bisogna verticalizzare il potere. Per farlo, bisogna personalizzarlo. Per personalizzarlo, bisogna mediatizzarlo, cioè renderlo pubblico, e per fare tutto questo ci vogliono un sacco di soldi».
Bettino Craxi
Proprio su quest’ultimo punto (il sacco di soldi) sappiamo com’è andata a finire.
Sulla «mediatizzazione» del potere e della politica (cioè comunicare secondo le logiche dei media), invece, riuscì Silvio Berlusconi, anche se poi non resse alla prova del referendum del 2006: gli italiani bocciarono la modifica della Costituzione relativa a struttura dei poteri, presidente della Repubblica, parlamento e governo.
Dieci anni dopo, il 4 dicembre 2016, è la volta del terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana, quello sulla legge di revisione di Matteo Renzi, i cui contenuti sono simili alla riforma del Berlusca: via il bicameralismo perfetto, modifica del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, eccetera.
Il numero dei votanti è molto alto (ben di più delle altre volte), e quasi il 60 per cento respinge la modifica, di fatto decretando la fine del governo Renzi.
Tutto questo non per dire che siamo in una botte di ferro, che – ogni volta – gli italiani rispondono no alla manomissione della Carta, e chi ci ha provato mal gliene incolse. Stavolta è diverso.
I tempi rischiano di essere maturi: nel corso della XVIII legislatura (2018-2022, governi Conte 1 e 2 e Draghi), «per la prima volta nella storia repubblicana, è entrata in vigore una revisione costituzionale dei principi fondamentali di cui agli articoli da 1 a 12 della Costituzione», quelli che abbiamo sempre definito «immodificabili», tutto senza grandi clamori.
All’articolo 9 («La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione») sono state aggiunte le seguenti parole: «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Cose sacrosante (la tutela costituzionale del paesaggio forse non si estende all’ambiente, all’ecosistema, ecc.) ma intanto il tabù è caduto.
Inoltre i consensi personali della presidente sono ancora alti e, fin dall’inizio, Meloni ha detto agli italiani che intendeva cambiare la Costituzione, non per vezzo o vana gloria - per carità - ma per «fare del bene all’Italia», per «governi stabili e frutto delle indicazioni popolari chiare». Magari, stavolta, gli italiani ci credono.
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